lunedì 5 settembre 2011

La caccia e la guerra



“Per fortuna nell’Africa ex inglese si uccidono poche giraffe. I cacciatori cominciano a vergognarsi di assassinare questi bei ruminanti. Quando arriveranno a vergognarsi anche dell’assassinio delle bellissime gazzelle e delle antilopi, l’umanità avrà fatto un passo notevole verso la vera pace, che non si riferisce solo alle lotte fra gli uomini, ma anche alla persecuzione che alcuni, fortunatamente pochi, esercitano sugli animali”
“Gli animali e la loro vita”, Autori Vari. De Agostini, 1971. Vol. II
La caccia e la guerra hanno la stessa matrice ideologica. Nascono, come idea, nelle stesse zone del cervello antico. Producono entrambe milioni di morti. Hanno gli stessi scopi di divertimento e profitto. Sono tutt’e due odiate dalla maggioranza delle persone, eppure godono di straordinaria vitalità e non sembrano destinate in tempi brevi a scomparire dalle abitudini umane, essendosi attaccate come zecche alla mente e alla coscienza degli uomini.
Non hanno, invece, una colorazione politica, poiché, sebbene esaltate ufficialmente dalla Destra, sono anche ben gradite dalla Sinistra, che all’occorrenza auspica un ricorso alle armi contro la Destra, il dittatore o il tiranno di turno. 

Che Guevara praticò la guerriglia, diventando perciò un mito per milioni di giovani. I partigiani sono chiamati anche Volontari della Libertà e hanno tuttora molte strade e piazze in Italia a loro intestate.
Mussolini era favorevole alla caccia perché voleva che i maschi italiani fossero addestrati all’uso delle armi.
L’ARCI Caccia va a braccetto con l’ARCI Lega Ambiente e non pare che abbiano mai litigato. Sebbene il Fuhrer si sia dichiarato contrario alla caccia (sempre che anche questa notizia non rientri nella propaganda che lo dipingeva come vegetariano, morigerato e astinente), molti suoi gerarchi la praticavano.
L’ideologia razzista che prevede l’esistenza di razze umane superiori e di altre inferiori è del tutto analoga a quella specista che afferma la superiorità della specie umana sulle restanti. E se il razzismo sfocia in azioni riprovevoli da parte di chi si sente superiore nei confronti di coloro che vengono indicati come inferiori, lo specismo fa la stessa cosa ai danni degli animali, tra cui anche la loro uccisione sistematica per divertimento.
Nella società italiana attuale, le persone che chiedono l’abolizione della caccia sono di molto superiori numericamente a quelle che chiedono l’abolizione della guerra, probabilmente perché con la caccia la gente ha a che fare per sei mesi l’anno, mentre con la guerra vera non ha a che fare nemmeno per un minuto. Se la situazione fosse ribaltata, le persone sarebbero contro la guerra totalmente, ma la cosa si fermerebbe lì, poiché, una volta iniziata, non avrebbero il potere di fermarla.
Siccome al momento siamo esportatori di guerra, al seguito dei nostri padroni americani, non ci scandalizziamo per gli eventi bellici in paesi lontani perché ci viene spiegato che sono fatti a fin di bene, ovvero per combattere il terrorismo e quindi per la nostra sicurezza. Anche della caccia ci viene detto che è fatta a fin di bene, per lo meno quando si tratta di eliminare i cosiddetti nocivi.
Se si è arrivati ad accettare ciò, è perché siamo stati sottoposti a subdola propaganda, che è quella che le associazioni venatorie fanno quando parlano di controllo degli ecosistemi e quando si proclamano paladine dell’ambiente.
La differenza è che a credere alla propaganda venatoria sono solo i cacciatori e le loro famiglie, mentre a credere alla martellante propaganda che le nostre guerre in giro per il mondo siano umanitarie è la quasi totalità degli italiani, dato che la fonte da cui tale informazione proviene è il governo stesso, ovvero la massima autorità apparentemente esistente.
Non va taciuto che, come molti comici, per rendere più efficaci le loro performances, si servono di una spalla, così anche i guerrafondai che dirigono i destini del mondo usano i governanti della politica visibile, ma con l’ausilio della Chiesa, benché di segno apparentemente opposto, così che essa, in questo caso, regge il sacco dei saccheggi e funge da spalla all’attore principale.
Non mi stupirei se si venisse a sapere che, quando i carnefici in terre esotiche, concluso il massacro, si spartiscono il bottino, una parte venga consegnata segretamente agli emissari del Vaticano. D’altra parte, si sente parlare spesso con una certa insistenza dei loschi traffici della Chiesa, che è azionista anche in fabbriche d’armi, e non occorre chiamarsi Dan Brown per dar sufficiente credito a tali dicerie.
Le implicazioni connesse all’uccisione delle prede sono leggermente diverse a seconda che si tratti di fagiani o di talebani, poiché nel primo caso può aver luogo una consumazione gastronomica dei cadaveri, anche se molto spesso i fagiani uccisi vengono regalati agli amici. I talebani e gli altri terroristi non vengono mangiati ma solo cucinati con bombe al fosforo o altre armi elettromagnetiche, quando a ucciderli non sono altro che proiettili di metallo.
In entrambi i casi, siano esse prede animali o umane, c’è un certo spiacevole spreco di risorse, poiché la carne umana, a detta degli antropofagi della scuola russa, è delicatamente saporita, specie quella degli infanti e se i nostri soldati sono stati addestrati a violare il tabù dell’omicidio, non si capisce perché non siano stati addestrati a violare anche quello del cannibalismo. Se lo fossero stati, avrebbero semplicemente portato alle estreme conseguenze il loro comportamento di assassini tribali.
Che i valorosi soldati occidentali non si nutrano di carne di talebano è il risultato delle migliaia d’anni di divieto morale a nutrirsi di cadaveri umani, cosa che parallelamente non è stata perseguita nei riguardi dei cadaveri animali, anche se a volte, in casi sporadici, scatta il corto circuito e qualche cannibalata ci scappa.
L’alto comando delle operazioni belliche non richiede che i soldati si nutrano del nemico ucciso, come avviene talvolta presso alcune tribù indie e papuasiche, perché si accontenta del risultato finale che è quello della soppressione del maggior numero di nemici e della distruzione delle loro città.
Viceversa, presso i cacciatori, non esiste un comando superiore che li mandi a caccia, perché i volenterosi carnefici d’animali non ne hanno bisogno. E’ sufficiente che vi sia una regia occulta, ma neanche tanto, rappresentata dalle industrie armiere della Val Trompia, che traggono i maggiori profitti dalla vendita di armi e munizioni. Le stesse fabbriche ci guadagnano anche con le armi da guerra.
E mentre nel caso della caccia a farne le spese sono in primis gli animali uccisi e feriti e, successivamente, gli italiani contrari all’esercizio venatorio, che vedono invasi regolarmente i propri fondi agricoli, nel caso della guerra d’esportazione, oltre alla selvaggina umana del posto, ad essere danneggiati siamo tutti noi, qui in patria, con enormi somme del nostro denaro prima derubatoci e poi stornato ignominiosamente per usi eticamente condannabili.
Se il cittadino medio non si ribella a tale furto da parte delle autorità, è per via della minaccia costituita dalle forze dell’ordine, nei secoli fedeli come cani da guardia, ovvero dagli sgherri del governo cleptocrate che ci opprime. La minaccia diventa reale nel momento in cui la Ladra di Finanza irrompe nelle fabbriche e negli uffici, a mettere a soqquadro gli archivi e a stilare rapporti.
Il che succede tutte le volte che serve, quanto basta e in maniera sporadica, poiché è sufficiente la demonizzazione dei cosiddetti evasori – e di questa battaglia la Sinistra sembra essersi fatta paladina – per tenere l’intera popolazione sotto ricatto e minaccia, ovvero in stato d’ipnosi e sudditanza.
Dicevo poc’anzi che il tabù del carnivorismo è stato applicato finora solo nei confronti della carne umana, ma non anche nel caso di quella non umana e di questa discrasia, che a noi pare ovvia, si è accorto anche Marston Bates, laddove, ne “Il mondo degli animali”, uscito nel 1963, così si esprime: “Ha l’uomo il diritto di farsi largo a spese della natura, sterminando deliberatamente gli animali che non gli garbano? E’ probabile che la risposta s’ispiri alla norma che il potere dà il diritto. Noi abbiamo la necessità e il potere, e i nostri interessi sono i supremi. Ma come possiamo giustificare moralmente il principio che il potere dà il diritto tra uomini e animali e, nel contempo, smentire questo valore morale tra uomini e uomini? Il concetto che gli uomini abbiano il diritto di distruggere i lupi solo perché non garbano loro, fa il paio con il modo di ragionare dei nazisti a proposito degli ebrei; e nel passato si pagavano ricompense per i crani degli indiani d’America, né più né meno di come si faceva per le pelli dei lupi”.
In condizioni di pace, i due pesi e le due misure reggono, nonostante la loro forzata artificiosità; in caso contrario assistiamo a violazioni punite dalla legge e classificate come criminalità. In condizioni di guerra, il differente trattamento etico riservato ai membri della nostra specie e a quelli delle altre, salta insieme a molti altri tabù da cui è normalmente protetta la persona umana. In caso di guerra spariscono tutti i valori considerati sacri e inviolabili e a rimetterci sono prima di tutto le categorie deboli della società, donne, vecchi e bambini, che vanno ad aggiungersi alla categoria degli animali, che ci rimetteva anche prima.
Se molte persone provano un istintivo fastidio verso la pratica venatoria è forse anche perché, al di là dell’invasione di orti e giardini, ci si rende conto che è come tenere acceso sotto le ceneri il fuoco della cattiveria belluina che si manifesta durante i periodi di guerra. La caccia – e Mussolini aveva visto giusto – è come se tenesse il motore acceso alla macchina della guerra, in attesa che quest’ultima abbia il segnale di partenza.
Cacciare è azione propedeutica sia tecnicamente, che psicologicamente. Infatti, quel cerebroleso di Umberto Bossi passerà alla Storia per aver minacciato la calata dei lanzichenecchi su Roma Ladrona da parte di migliaia di polentoni armati. E da dove avrebbe voluto far partire quella fatale rivolta? Dalla bresciana Val Trompia, dove le armi in effetti ci sono e, se aggiungiamo le vallate limitrofe, ci sono pure i deficienti disposti ad usarle, anche se forse non arriverebbero a qualche decina di avvinazzati montanari. Bossi: il più grande pallone gonfiato della storia italica, dopo D’annunzio e Berlusconi!
Come i mass-media sono impegnati a glorificare le nostre imprese e a rendere onore solo ai nostri caduti, tacendo quelli dell’avversario, così gli stessi mass-media danno notizia degli incidenti di caccia e degli omicidi compiuti con fucili calibro 12, tacendo dei milioni di vittime animali ferite o uccise. Talebani e fagiani accomunati dallo stesso destino di inutili comparse in un palcoscenico dove il ruolo dei buoni è assegnato sempre alle stesse osannate carogne. Di modo che, quando i nazisti scatenavano rappresaglie uccidendo 10 italiani per ogni soldato tedesco assassinato, ci facevano anche un onore e un complimento, rispetto ai calcoli mentali che i nostri giornalisti e propagandisti vari fanno tra i 41 morti del nostro esercito in Afghanistan e le migliaia di anonimi pecorai sbudellati senza tanti scrupoli. Per tacere dei milioni di uccelli e mammiferi che subiscono lo stesso trattamento senza neanche avere l’onore di un trafiletto in ultima pagina.
Come disse un esperto di strategia militare, in guerra la prima vittima è la verità, tant’è vero che nella guerra che i cacciatori fanno agli animali se ne sono sentite di tutti i colori. Anzitutto che li uccidono perché li amano, senza accorgersi che si tratta di un ossimoro irrisolvibile. Poi, che il loro intervento serve per equilibrare il numero di certe specie che altrimenti diventerebbero troppo numerose, tacendo il fatto che ad eliminare i loro predatori naturali sono stati essi stessi. E infine, che la loro opera di sterminatori è insostituibile quando si tratta di gestire i cosiddetti nocivi.
Per analogia, noi occidentali andiamo a combattere nei paesi arabi perché amiamo gli arabi e vogliamo far loro dono della sacrosanta democrazia. Poi, che il nostro intervento serve per portare pace fra tribù tradizionalmente ostili tra loro, con tanti piccoli signori della guerra che opprimono la popolazione, mentre la nostra presenza serve per portare ordine ed equilibrio tra le fazioni perennemente in lotta. E infine, che la nostra opera di sterminatori è insostituibile quando si tratta di gestire animali nocivi come i terroristi. E poco importa che a creare i medesimi siano stati i nostri servizi segreti.
L’importante è l’immagine che verrà recepita dalla nostra opinione pubblica.
Infine, sulle pulsioni più recondite che soggiacciono allo scatenarsi periodico delle guerre, al di là dei proclami deliranti di chi vedeva in esse la massima igiene del mondo, c’è un aspetto poco conosciuto messo in evidenza da Massimo D’azeglio, nei suoi ricordi, dove afferma che “la guerra è moralmente più salutare ai popoli che le lunghe paci. La fedeltà ad un dovere difficile e pericoloso tempera gli animi, e li rende atti a far bene e fortemente anche fuori dell’armi. Da tutto questo ne verrebbe però una conseguenza curiosa; che un popolo, cioè, per serbare le virtù che lo salvino dalla decadenza, debba per necessità uccidere ogni tanto un dato numero dei suoi vicini”.
Sembrerebbe che l’intuizione di D’azeglio calzi a pennello con Israele che non ha bisogno di salvarsi dalla decadenza, ma che deve lottare per la sua stessa esistenza come nazione. Il che è comprensibile, anche se non accettabile nelle conseguenze pratiche.
Altre nazioni guerrafondaie come gli USA, se seguiamo lo stesso ragionamento, devono far scoppiare conflitti con i vicini (meglio se lontani) per salvarsi dalla decadenza, ma noi vediamo che la decadenza del popolo americano avanza ugualmente, se non altro sul piano economico. E quindi l’assioma del D’azeglio non è del tutto corretto.
Applicando lo stesso principio al fenomeno venatorio, si dovrebbe concludere che 750.000 italiani uccidono per diletto un numero incalcolabile di nostri vicini animali, perché è il popolo italiano che ha bisogno di salvarsi dalla decadenza. Il che mi ricorda ciò che dissero alcuni boy scout in merito all’uccellagione, la quale terrebbe lontano i giovani dalla droga, perché se ci si alza al mattino presto per andare nel roccolo, non si ha tempo di andare in discoteca a impasticcarsi.
A me i boy scout sono sempre stati antipatici! Sono la versione postfascista degli avanguardisti e dei balilla, con la differenza che questi maneggiavano fucilini di legno, mentre i boy scout maneggiano, o almeno ci provano, le loro teste di legno. Ho imparato a diffidare di chi fa vita all’aria aperta, perché è all’aria aperta che i loro padri vanno a caccia e i loro zii vanno in Afghanistan. Ma perché non se ne stanno tutti a casa a collezionare soldatini?

Note:

2 commenti:

  1. Io non ho mai fatto il boy scout e nemmeno il chierichetto.
    Sono andato però in colonia marina tutti gli anni, d'estate, dai sei ai dodici, perché mio padre era dipendente statale. L'azienda che organizzava le colonie si chiamava ENPAS. Ora non esiste più. E nemmeno mio padre.
    :-(

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