lunedì 19 dicembre 2011

L'assalto all'indigenza



Qualche secolo fa, in Sicilia, una compagnia di guitti ebbe la sfortuna di transitare nelle vicinanze di un paese dove era appena successa una moria di persone uccise dalla peste o da qualche altra malattia infettiva. Non ricordo dove l’ho letto, né sono riuscito a trovarne traccia su internet, ma l’epilogo di questa storia è esattamente quello che avete pensato: gli artisti girovaghi furono fermati e massacrati sul posto, in quanto riconosciuti colpevoli di aver portato la sventura in quelle contrade. Ovviamente, ancora non si conosceva l’esistenza dei microbi e tale episodio, del tutto verosimile, è uno dei tanti esempi dell’atteggiamento ostile di una particolare comunità o tribù nei confronti di un’altra comunità, di un altro gruppo o etnia o comunque del cosiddetto diverso.


Sulla paura del diverso, che si trasforma in odio dando luogo ai pogrom, sono stati scritti fiumi d’inchiostro, che vanno a mescolarsi con quelli di sangue. La storia della Colonna Infame, del Manzoni, racconta un fatto specifico, paradigmatico, che è passato nel sentire comune con il modo di dire: “Dagli all’untore!”.
C’è chi dice che l’assassinio dei due senegalesi, l’assalto al campo Nomadi di Torino e la strage del Belgio, siano esperimenti segreti per mettere a punto tecnologie di condizionamento mentale tra cui la più famosa è quella denominata MK-ultra.
Dell’episodio di Firenze e di quello del Belgio non so, ma per quanto riguarda l’incendio delle roulotte dei Rom lo escludo. Ci riusciamo benissimo da soli. Senza aiutino. Prima che arrivassero le ondate di extracomunitari dal nord Africa, dall’America latina e dall’Asia, la presenza degli zingari in Italia creava a volte situazioni imbarazzanti e ci obbligava a interrogarci sul nostro essere o meno razzisti. Film come“Italiani brava gente”, con Raffaele Pisu, forse hanno contribuito a fornire un’immagine falsata della nostra vera natura, per nulla diversa da quella dei peggiori WASP responsabili del razzismo statunitense o dei sudafricani bianchi dell’Apartheid.
Un articolo uscito su un quotidiano nazionale [1] ha messo a confronto due episodi di segno opposto. Secondo le intenzioni dell’articolista, tali due episodi avrebbero dovuto evidenziare le opposte anime del popolo italiano, ma secondo me non è così.
Nel primo caso, successo a Palermo, una ventina di bambini Rom rischiava di morire di fame perché, in seguito ad una perquisizione, essendo state trovate pellicce, argenteria e gioielli rubati nel loro campo, ventuno zingari maschi erano stati arrestati e sei donne messe agli arresti domiciliari nelle loro roulotte. Non potendo allontanarsi, non potevano nemmeno procacciare il nutrimento ai loro figli. Accortasi della situazione, la gente del posto, prima, e il Comune, poi, portarono vestiti, giocattoli e pasti caldi, finché alle donne gli arresti domiciliari non furono revocati.
Nel secondo caso, successo a Genova, una quarantina di uomini adulti assalì i poliziotti fuori dalla pretura mentre tre ragazze Rom venivano fatte uscire per essere trasferite in carcere. Quando arrivarono i rinforzi della polizia, i Rom scapparono, ma non ci fu alcun intervento della popolazione civile. Dunque, se l’episodio di Palermo denota encomiabile spirito di solidarietà, quello di Genova non mostra necessariamente un atteggiamento ostile da parte della popolazione, perché i protagonisti furono i Rom da una parte e i poliziotti dall’altra.
La stessa cosa non si può dire della raccolta di firme fatta a Pozzuolo del Friuli [2] per chiedere il divieto di accampamento degli zingari nel territorio comunale, dopo che erano stati allontanati da Mortegliano, un paese delle vicinanze.
A Prato, in Toscana, è andata anche peggio [3] perché gli abitanti di Via Purgatorio (!) hanno alzato una barricata con i cassonetti delle immondizie, per impedire ad una carovana di tre roulotte e altrettante macchine di accedere al campo nella zona dell’ex ippodromo.
Ma ciò che è successo a Palermo sette anni dopo [4] il summenzionato episodio di solidarietà è preoccupante, dal momento che i genitori degli alunni della scuola Bentivegna chiesero al preside di sfoltire le classi frequentate da troppi bambini Rom, oltretutto non molto rispettosi dell’igiene. A detta di tali genitori, i troppi alunni Rom avrebbero rallentato i programmi didattici non capendo bene l’italiano e danneggiando quindi i bambini palermitani. Le maestre, però, presero le distanze da tale petizione.
Verrebbe da chiedersi come nel giro di sette anni la percezione del “diversamente sedentario” sia cambiata agli occhi dei palermitani, oppure se il caso dei pasti caldi elargiti ai bimbi Rom sia stato già da prima l’eccezione che confermava la regola.
In ogni caso, la storia dei “figli del vento” in Occidente è costellata di episodi di ostilità nei loro confronti. Che i furti siano causa o effetto di tale atteggiamento da parte di noi sedentari, conta poco, perché l’essenza del fenomeno vede la maggioranza ricca dare addosso a una minoranza povera. Nel corso della storia è sempre stata la maggioranza ad imporsi sulle minoranze. Lo si è visto nelle guerre di religione, laddove la lotta consisteva principalmente nel cercare di ribaltare le percentuali, così da guadagnare maggior potere sulla parte avversa. Di modo che non si è dato solo il caso di cattolici che sterminavano protestanti, ma anche di protestanti che sterminavano cattolici e in India si sono visti induisti sterminare musulmani, ma anche musulmani sterminareinduisti.
Gli unici che si chiamano fuori da queste carneficine sembrano essere i buddisti, a meno che non si voglia citare la repressione poliziesca da parte della polizia cingalese, buddista, nei confronti delle Tigri Tamil, induiste, ma in quel caso non si può parlare di razzismo allo stato puro, bensì di rivendicazioni identitarie nazionali, analoghe a quelle corse, basche e sudtirolesi.
Un episodio apparentemente avulso da quanto detto finora, mostra invece che le masse sono capaci di aggregarsi e diventare insensatamente pericolose quando pensano di subire un determinato disagio e di volervi porre rimedio.
Un centinaio di uomini provenienti da una vicina sagra paesana [5], molti probabilmente ubriachi, circondò la roulotte in cui viveva l’allora quarantanovenne Gabriella Boato, insieme a parecchi cani. Il comune di Pasian di Prato le aveva concesso lo spazio per parcheggiare vicino al polisportivo. La causa scatenante erano proprio i cani, colpevoli di essere stati lasciati liberi, quel giorno, per qualche ora. Non risulta che sia stato fatto del male alle bestiole, ma decine di uomini che lanciano insulti a una donna sola, asserragliata in una fragile roulotte, è già di per sé un evento disdicevole.
Per essere presi di mira dalla marmaglia non è necessario quindi essere Rom, basta essere cinofili e isolarsi dalla comunità. Anche a me è successo qualcosa del genere, ma non intendo parlarne qui, ora, perché l’argomento di questo articolo è la tendenza dei cosiddetti normali, omogenei tra loro e socialmente integrati, ad infierire sugli indigenti, forse in base al proverbio che dice: “Pancia piena non capisce pancia vuota”. E poi, fino a questo momento, non sono mai stato un indigente.
Le barricate di Prato, le petizioni di Palermo e Pozzuolo del Friuli e gli ubriaconi di Pasian di Prato (che non c’entra con la città toscana dei tessuti), non scaturiscono tanto da gente ricca che non capisce i disagi e le vicissitudini della gente povera, ma da persone che si fanno forza del numero e che credono di essere dalla parte della ragione, mentre i diversi, per il solo fatto di essere diversi, starebbero da quella del torto.
Se le condizioni economiche attuali andranno sempre più peggiorando, sarà sempre più evidente che si tratta di una guerra tra poveri ed episodi di razzismo come quello di Torino saranno sempre più frequenti.
La casta dei banchieri illuminati che domina perfidamente il mondo si frega le mani e gongola tutte le volte che ci scanniamo tra di noi e che diamo ascolto al scimmiesco cervello rettiliano invece che all’evoluta corteccia cerebrale, dove hanno sede i migliori sentimenti di pietà e compassione che siamo riusciti a generare come specie.
Fare assalti all’indigenza, che si tratti di gitani malfamati o di zoofili squinternati, significa manifestare il peggio del peggio del nostro repertorio, offrire squallidi spettacoli alla vista dei visitatori alieni che ci osservano e fornire una pessima educazione ai nostri figli. Che sicuramente s’incaricheranno, prima o poi, d’imitare i loro sciagurati genitori.



Note:
[1] Repubblica del 24.11.87
[2] Messaggero Veneto del 3.10.94
[3] Manifesto del 31.08.94
[4] Manifesto del 5.10.94
[5] Messaggero Veneto del 5.09.94

8 commenti:

  1. Caro Roberto
    la bellezza dell’articolo è racchiusa nell’equilibrio delle parole e delle riflessioni e dall’essere svincolato da pensieri presi a prestito da altri (cosa rarissima di questi tempi).
    Io sono un solitario, un isolato, un “non facente parte”. Tento in tal modo di sfuggire, istintivamente, alle logiche del “gruppo” quale agglomerato di individui che nella “quantità” (numero) trovano la forza protettiva del branco e, nella condivisione a tutti i costi di pensiero, ideologia, tifo, religione etc., l’arsenale bellico con cui dichiarare, al momento giusto, “guerra” agli altri gruppi che, per definizione, sono potenziali nemici.
    Tutti i meccanismi di “agglomerazione” si basano sulla condivisione di una qualsiasi cosa (tranne l'amore universale) e sul contestuale odio verso gruppi diversi dal proprio.
    Parlo di agglomerato di persone (come sommatoria forzata) e non di unione poiché ritengo l’unione una condivisione di pensieri “propri” e non un cercare a tutti i costi di stare con gli altri per sentirsi protetti.
    La principale “condivisione” degli umani dovrebbe essere l’educazione civica, il rispetto di ciò che è in comune sul pianeta, il non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.
    Ed invece si cresce sotto la spinta inconsapevole di scegliersi al più presto possibile una religione, un partito, una squadra.
    In tal modo, una volta entrati a far parte del gruppo scelto, si può essere esentati dal pensare. Una sorta di sindacato che ti protegge in una vertenza o di un amministratore che risolve per te le beghe condominiali.
    Tant’è che infatti, allorquando ci si trova al cospetto di un nuovo interlocutore, la mente tenta subito di classificarlo come “amico” o “nemico” tentando di capire a quale partito appartiene, a quale religione, per quale squadra tifa.
    Questo rispondere “ancora” ad impulsi ancestrali ci confina in una razza sostanzialmente mai evoluta ed ancora schiava di meccanismi elementari quali il soddisfacimento dei propri istinti (fame, sesso etc.).
    Ne conseguono i comportamenti ripetitivi, competitivi e guerrafondai che gli illuminati usano per dominare le masse perennemente troppo intente a procacciarsi il piacere (istinti naturali e/o indotti) e che non hanno mai tempo per guardarsi dentro e per guardarsi intorno.
    Ciao.

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  2. Certo che non è una questione di tifoseria,ma questo articolo e gia piu riflessivo del altro che sembrava piu un lasciarsi andare( ai pregiudizzi..) un po'dici quel che sostenevo,che in realtà la "tribu" fa del diverso un "nemico" e un scaricabarrile,poi certi casi sono ormai patologici...
    Una cosa vorrei precisare il fatto che pensi e ne sei convinto che "l'occidentale" trati meglio i cani...penso tu sapia dove è nata la prima scuola di adestramento di cani al mondo per la polizia,in Prusia,tu hai mai visto la forma di "educare"questi cani?? lo sai che il giro d'affari della lotta fra cani in Italia è siderale?? o che ogni anno solo in Europa con l'inizio delle ferie,vengono abbandonati piu cani e gatti che nel resto del mondo?lo sai dove è nato l'uso di tagliare orechhie e coda ai dobermann e altri ?? gia forse le migliaia di canili in Italia ti fanno pensare nel perbenismo e la atenzione verso i nostri fratelli pellosi,ma lo sai anche il giro di soldi e contributti che giranno dietro questi,e che se non fosero i soldi in mezzo, il solo volontariato non c'è la farebbe a sostenere neanche la meta di questi,credo la tua visione sia un po'parziale nel considerare l'Occidente un paradiso canile ( o dove meglio vengono tratati questi)...
    Buona giornata

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  3. Gianni, non mi chiedi come ho fatto a pubblicare tutte le foto?
    E' pazzesco! Ho provato a copiaincollare l'articolo da Stampa Libera e metterlo sul mio blog. Incredibilmente mi sono ritrovato sia con tutti i riferimenti di ipertesto, sia con tutte le foto al loro posto. Era una cosa così facile eppure non l'avevo mai provata!
    Sono state le tue istruzioni di qualche giorno fa a stimolarmi a tentare e perciò ti ringrazio nuovamente.
    Questo tuo passaggio mi sembra semplicemente geniale:
    "una volta entrati a far parte del gruppo scelto, si può essere esentati dal pensare. Una sorta di sindacato".
    Tu dovevi fare il sociologo! :-)
    Un abbraccio.

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  4. Martin, tu valuti i miei articoli in base alle tue convinzioni, così se ciò che scrivo si avvicina al tuo pensiero, per te è un articolo decente, ma se ciò che scrivo si allontana dal tuo pensiero, allora per te è un pessimo articolo.
    C'è qualcosa che non quadra, poiché io, in tutti i casi, scrivo solo ciò che penso.
    Riguardo a quello che dici, non posso darti torto: nei paesi mediterranei non solo i cani ma anche gli altri animali vengono trattati malissimo.
    Tuttavia, facendo un confronto tra il Madagascar, che conosco bene, e l'Italia, qui i cani sono in paradiso; là sono all'inferno.
    Ieri si è presentato su S.L. un utente di nome Sharman, che ne ha sparate di veramente grosse, a proposito dei cani.
    Credo che, siccome l'argomento è vastissimo, sarò costretto a scrivere un articolo apposito.
    Vai intanto a leggerti i nostri botta e risposta sul precedente articolo, che tanto ha fatto arrabbiare Elisabetta, Mariano e anche un po' te.
    A presto e grazie.

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  5. Ciao Roberto
    sono veramente felice di esserti stato utile per le immagini ed i link (l'ipertesto) negli articoli.
    Lo avevo notato, naturalmente, e me ne rallegravo in cuor mio.
    Buona serata

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  6. Martin, ancora persistono i problemi. Questo blog non è sottoposto a censura e quindi i commenti dovrebbero essere pubblicati in automatico, ma il tuo ultimo non c'è. Me lo ritrovo nella posta ma non sul blog. Non saprei cosa consigliarti per evitare questi inconvenienti.
    Ti ringrazio per le precisazioni, ma non mi sento attaccato. Non da te di sicuro.
    Un cordiale saluto.
    Ciao

    P.S.
    Torna su Stampa Libera, dai!

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  7. Il titolo calembour è un accorgimento arguto per un articolo acuto.

    Ciao

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  8. Ormai ho preso l'abitudine! :-)

    http://www.treccani.it/vocabolario/tag/calenbour/

    Grazie Zret!
    Un saluto.

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