Si è spesso dibattuto sull’importanza dei giornali e degli altri mezzi d’informazione, in primis la tivù, nel plagiare i comportamenti e le opinioni delle folle, tanto che chiamarli d’informazione è più un eufemismo che altro.
Dovrebbero essere chiamati mezzi di propaganda. Ma, se nell’atto di propagandare una certa idea o un certo prodotto c’è il destinatario, il pubblico, e c’è il medium, di carta o via etere, chi è il propagandista?
In alcuni casi è facile riconoscerlo, o almeno intravederlo, ma nel caso del circo, chi è che vuole farcelo vedere bello a tutti i costi? A chi interessa che continui ad esistere? Nato dalla tradizione dei Sinti girovaghi, che facevano ballare gli orsi e le scimmie, e sviluppatosi attraverso i secoli ferali della fantasia applicata allo sfruttamento animale, il circo non ha mai smesso di maltrattare le bestie e nemmeno ha intenzione di farlo.
Forse gli odierni circensi non sono più d’origine zingara, essendosi imparentati con genti del posto. Nel caso degli italiani, Togni e Orfei hanno poco in comune con cognomi tipo Levacovich e Hudorovich, ma a tormentare gli animali son capaci tutti, anche i Gagi, specie se c’è gente disposta a pagare per assistere al loro camuffato maltrattamento.
E come nel caso della corrida spagnola c’è chi giura che si tratti di un’arte, così anche da noi non mancano gli apologeti di quello che retoricamente viene definito il più grande spettacolo del mondo.