lunedì 16 gennaio 2012

Gli scemi del villaggio globale



Confesso che l’ho trovato divertente. Mi è scappato da ridere come alla Mussolini.
Forse perché da bambino ho subito l’imprinting di Paolo Villaggio che scendeva di corsa la scalinata di non so quale teatro con il pupazzo di un cammello stretto al petto e faceva al pubblico la surreale domanda: “Chi di voi vuole un cammellino di peluche?” Era vestito con un improbabile frac e da lì deriva il cognome Fracchia, mentre dal piccolo fantoccio che teneva il mano è venuto quello di Fantozzi.
In effetti, suggerire che in Sardegna si verifichi un fenomeno di denatalità perché i pastori sardi si accoppiano con le pecore, anziché con le loro mogli, è talmente assurdo che diventa immancabilmente ridicolo. Sarebbe come avanzare l’ipotesi che gli Illuminati incrementino l’omosessualità perché vogliono a tutti i costi ridurre la popolazione mondiale e se non ci riusciranno con le buone, alla fine lo faranno con le cattive.


Se poi si pensa che Israele è il paese dove i gay sono meglio trattati, e si considera che i Rothschild, la più importante famiglia dell’oligarchia che comanda il mondo, sono ebrei, ne esce un sillogismo che rinforza la tesi dell’omosessualità come strumento di depopolazione.
In entrambi i casi si perde di vista il fenomeno in sé, ovvero che il bestialismo e l’omosessualità sono talmente antichi e connaturati con la psiche umana che difficilmente si prestano ad essere strumentalizzati dall’élite mondialista, per scopi che, se fosse vero, impiegherebbero migliaia d’anni per produrre risultati, in senso evoluzionistico, ammesso e concesso che la riduzione della popolazione umana rientri negli scopi degli Illuminati.
Abbandonando per il momento ogni velleità dietrologica, osserviamo i fatti in sé e vediamo, nel caso dell’omosessualità, persone dello stesso sesso cercare di trarre piacere fisico dalle reciproche manipolazioni sessuali e nel caso del bestialismo, persone umane che cercano la stessa cosa con persone animali.
Se si dà credito al precetto biblico del “crescete e moltiplicatevi”, allora in entrambi i fenomeni c’è un peccato, nel senso etimologico di “mancare il bersaglio”. Se invece, più laicamente, si vuole intendere il sesso primariamente come fonte di godimento psicofisico e molto secondariamente come scopo per incrementare la specie, allora ogni atto diventa lecito, purché sia rispettata la regola aurea del non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te e i soggetti interessati siano consenzienti.
Regola che non può applicarsi assolutamente nel caso in cui un umano si accoppi con un animale, poiché non c’è consenso da parte di pecore, mucche, asine, cavalle, cagne, galline, anatre e oche. Recentemente un uomo ha violentato un chihuahua e quanti hanno esaminato da vicino un apparato genitale esterno di tale razza canina si chiedono come quell’individuo, che fra l’altro è stato penalmente condannato, abbia potuto meccanicamente fare una cosa del genere.
Gli annali ci riportano che un cavalleggero di Federico il Grande di Prussia abbia commesso tale riprovevole atto con una cavalla e il regnante, venutolo a sapere, diede nuove disposizioni sul suo conto con queste parole: “L’individuo è un porco, sia passato in fanteria!”.
La mia ex moglie malgascia mi ha raccontato che in Madagascar un uomo si è accoppiato con una scrofa. Venutolo a sapere, il capo villaggio ha messo a morte la maiala e ha imposto un periodo di ostracismo all’uomo. Io avrei preferito il contrario e cioè che venisse messo a morte l’uomo e dato l’ostracismo alla maiala, anzi no, avrei preferito che venisse punito l’uomo dandogli in sposa la più arcigna zitella del villaggio, punizione più che sufficiente. Federico II, almeno, non ha messo a morte la cavalla e qui si nota la superiorità dei bianchi rispetto ai neri (o forse solo l’intelligenza del sovrano).
E ora scatenatevi pure, miei cari benpensanti. Invece d’indignarvi verso gli umani degeneri che tormentano gli animali, indignatevi con me dandomi del razzista, così da dimostrare che le armi di distrazione di massa funzionano anche in ambito moralistico.
Durante il Medioevo venivano messi al rogo maiali e altri animali colpevoli di aver causato la morte dei loro padroni e questo dovrebbe farci pensare che, almeno noi qui in Occidente, il Medioevo ce lo siamo lasciati alle spalle, mentre in Madagascar e in altri paesi del Terzo Mondo ci sono dentro in pieno. Ricordate la recente uccisione di una scimmia in Sud Africa accusata di essere indemoniata?
Che in Madagascar il maiale sia stato messo a morte, anche se solo con un po’ d’anticipo rispetto al previsto, e che l’uomo abbia avuto un trattamento più blando, ci fa capire per l’ennesima volta che gli animali vengono universalmente considerati schiavi, esattamente come nell’antica Roma in cui il padrone aveva diritto di vita e di morte sulle sue “risorse umane”. Ma anche in tempi più recenti, gli schiavisti degli stati del sud degli USA potevano vendere i membri delle famiglie dei loro raccoglitori di cotone, separando i figli dalle madri e i mariti dalle mogli. Se ancora nell’Ottocento poteva succedere una cosa del genere da parte di sedicenti cristiani, era perché il profitto economico veniva anteposto ai principi religiosi del cristianesimo, denotando da una parte un basilare fallimento delle sette cristiane e dall’altra una sospensione temporanea delle conquiste di civiltà che bene o male si erano raggiunte già nel diciannovesimo secolo. O si stavano faticosamente raggiungendo.

Tornando alla battuta di Paolo Villaggio sui sardi, che ricalca un luogo comune di antica data (ricordate la barzelletta sulla pura lana vergine?), i sardi si erano già arrabbiati dopo questa boccaccesca accusa nei loro confronti quando nel 1977 uscì il film dei fratelli Taviani intitolato Padre padrone, tratto da un racconto di Gavino Ledda, e in cui si vedevano scene di accoppiamenti tra giovani pastori e asine. Poiché il romanzo era stato scritto da un sardo, all’epoca la faccenda non andò oltre la protesta verbale, mentre al momento attuale, poiché Villaggio non è sardo ma ligure, sembra che il governatore dell’isola voglia querelare il comico genovese.

Forse dipende anche dal fatto che il cinema rientra nelle sette arti, mentre la televisione no e mostrare scene di bestialismo in un film è meno scandaloso che fare una battuta in tivù. Poiché qualche giorno prima Villaggio aveva insultato anche i friulani, con le modalità che spiegherò in seguito, c’è da chiedersi quale sia lo scopo di quest’uomo, che ha alle spalle una carriera considerevole e che ha fatto ridere milioni d’italiani. E c’è da chiedersi anche se un comico resta tale tutta la vita o se ad un certo punto va in pensione, giacché se Villaggio è intrinsecamente comico, allora gli è lecito fare battute anche alla rispettabile età di ottant’anni, ma se fare il comico è un mestiere come un altro, allora è giusto che Paolo Villaggio si goda la sua meritata pensione e non si permetta d’insultare i suoi connazionali.
E inoltre, se l’unificazione mai del tutto avvenuta dell’Italia, voluta dalla massoneria in vista del governo unico mondiale, è solo una fase di passaggio, che prevede il prima possibile l’abolizione degli stati nazionali e la costituzione del NWO, allora i tentativi di Villaggio di offendere sardi e friulani, con un innocuo accenno agli altoatesini, è un modo goffo di unirsi al coro di benpensanti che vorrebbero cancellare del tutto le culture locali di cui ancora esistono tracce.
Tutti stanno dando addosso alle lingue minoritarie, e non da ora, definite di volta in volta campanilismi e particolarismi. Mi viene in mente Veltroni, ma ultimamente, gettare fango sulle culture minoritarie, sembra sia diventato lo sport nazionale da parte di politici e altri maestri di pensiero. Non so cosa stia succedendo negli altri stati europei, ma in Italia sta succedendo proprio questo.
E non lo fanno solo i big della politica, ma anche gli scalzacani delle ultime file come Alessandro Colautti, del Partito delle Libertà, che, pur essendo di nascita friulana, non esita a prendere le difese della lingua italiana e a giustificare le infelici frasi di Paolo Villaggio. Ecco le sue testuali parole:
“si tratta di una ferrea critica che castiga quanti stanno lasciando morire la nostra lingua, la lingua di Dante, Petrarca, Boccaccio, la lingua nazionale che è sempre meno vissuta e sentita come simbolo di identità».
Io, al signor Colautti, vorrei dire: “Parla per te, buzzurro ignorantone, servo cameriere degli internazionalisti massoni!”. La lingua – o dialetto, se si preferisce – friulana è stata sottoposta a decenni di boicottaggio, censure e denigrazione, come le altre parlate locali, compreso il sardo. Guarda caso, friulani e sardi, che hanno stretto legami di amicizia e che in Italia sono isole alloglotte, vengono presi di mira dalle battute di Villaggio, per iscritto, nel suo prossimo libro, e a voce, in televisione.
Ma vediamole, queste frasi con cui il comico genovese ha mancato di rispetto ai friulani:
“i friulani, che per motivi alcolici non sono mai riusciti a esprimersi in italiano, parlano ancora una lingua fossile impressionante, hanno un alito come se al mattino avessero bevuto una tazza di merda e l’abitudine di ruttare violentemente”.
Ipse dixit Fantocius. Insomma, per far ridere la gente bisogna andare sul sicuro, cioè sui luoghi comuni. Sardi che si accoppiano con

pecore e friulani ubriaconi e maleducati. Immagino che la cosa rientri nel vecchio piano di denigrazione il cui effetto a lungo termine sarà che un bambino sardo e uno friulano neanche se i genitori lo frustano si esprimerà nella sua lingua madre, pensando che l’essere sardo e l’essere friulano significhi perdere la stima delle persone importanti, cioè i compagni di scuola, gli insegnanti e il resto della società in generale.

Le parole di un Colautti mi fanno capire che il danno forse è già stato fatto e che le autorità scolastiche, insieme agli altri creatori di tendenza, abbiano già a disposizione un esercito di servi accondiscendenti, che rinnegano le proprie radici senza neanche accorgersi e considerano la lingua di Dante, il dialetto toscano, la propria lingua madre.
Vi dirò, in tutta onestà, che io stesso considero l’italiano la mia lingua madre, ma solo perché mi è stata imposta durante l’infanzia, quando non potevo difendermi, ma almeno ho la consapevolezza che una tale operazione, volta a cancellare le lingue minoritarie, è stata fatta su di me e sulle generazioni precedenti e seguenti alla mia, così da portare alla nascita di mostri inconsapevoli come il signor Colautti.
Tornando alle esternazioni di Villaggio, in un primo momento anche Renzo Tondo, governatore del Friuli VG, voleva querelare il comico, per frasi che ancora non sono a disposizione del pubblico dato che il libro uscirà in marzo, ma poi ha ricevuto una mail e una telefonata di scuse del signor Villaggio e l’intenzione di adire le vie legali si è smorzata. Chissà, se facesse la stessa cosa anche con i sardi, l’avvocatessa Anna Maria Busia, di Cagliari, potrebbe lasciar correre.
In Friuli però non tutti hanno intenzione di perdonare Villaggio, nonostante le scuse. La Filologica Friulana, infatti, vuole andare avanti con la denuncia, ma l’atteggiamento più consistente, dopo l’iniziale sdegno, è quello di invitare Paolo Villaggio in Friuli per riempirlo di……vino di botte, formaggio e salumi. Un modo subdolo di vendicarsi, a lungo termine, facendogli venire un cancro o qualche altra malattia degenerativa. L’assessore alle Risorse agricole Claudio Violino, della Lega Nord, gli ha spedito una lettera d’invito accompagnata da una bottiglia di vino, dando così conferma della propensione dei friulani all’alcolismo.

La sua missiva, che qui riporto, abbina una sottile volgarità a un’inconsistente spessore culturale, degno di popoli forgiati in funzione di mano d’opera e carne da cannone. Dopo la sviolinata di Colautti, ecco il Violino che suggerisce anche le date del 25 e 26 novembre, per una fantozziana e rappacificante abbuffata:
«In quella circostanza saranno presentati anche i “250 ottimi motivi”, ossia i 250 migliori vini friulani in abbinamento con il prosciutto di San Daniele il cui Consorzio di tutela festeggia il 50° anniversario dalla fondazione. Accettare il presente invito potrà essere per Lei un’ottima occasione per conoscere i veri sapori della nostra terra, osservare e apprezzare le bellezze territoriali ed enogastronomiche della regione Friuli Vg.”
Così, dopo essersi rimpinzati di formaggio e prosciutto, innaffiati da buon vino, gli anfitrioni di Villaggio potranno anche “ruttare violentemente”. Da notare la locuzione “i sapori della nostra terra”, neanche il maiale fosse un tartufo o un prodotto vegetale come gli ortaggi e i frutti di bosco. L’orrore si annida nelle frasi più innocenti e anche qui forse si può parlare di banalità del male. A forza di far lavorare i succhi gastrici a pieno regime, i friulani hanno cessato di far funzionare cuore e cervello, cioè compassione e senso di giustizia. Tutti casa, osteria e….stomaco.
Enogastronomia, parola magica per i miei conterranei. Dopo “gratis”, “Frecce Tricolori” e “Udinese Calcio”, sembra diventata Verbo divino. E di-vino, è proprio il caso di dirlo!
A me, quando sento parlare di enogastronomia, la mano corre al revolver, come a Goebbels correva, iperbolicamente, quando sentiva la parola cultura.
Non ho particolari simpatie per la Filologica Friulana, nata in periodo fascista con il subdolo scopo di cancellare ancora di più la parlata indigena, ma stavolta sono d’accordo con Lorenzo Pelizzo che, a proposito dell’invitare a mangiare come amico e compagno (dal latino cum panis), colui che ci manca di rispetto, ha affermato “par lâ sul gjornâl al à copât so pari”, cioè pur di ottenere visibilità e fare pubblicità alla grande abbuffata di affettati, si è disposti anche a uccidere il proprio padre.
Io penso che purtroppo, tra madre lingua e padre assassinato, noi friulani abbiamo già da un pezzo ucciso i nostri genitori. Non perché sia stata una nostra scelta, ma perché massoni come Garibaldi e Mazzini ci hanno detto di farlo.
E noi stupidi ad obbedirgli. Credere, obbedire e combattere. Forse i veri scemi del villaggio siamo noi e questo vale per tutti gli italiani. Milioni di scemi manovrati da Vaticano e Massoneria, Giano bifronte dello stesso diabolico potere, per essere alla fine condotti al pascolo come pecore in Sardegna.
E, nel nostro caso, senza vaselina!

8 commenti:

  1. Avevi ragione, l'argomento mi interessa. La lingua può essere svillaneggiata solo se uno ne ha profonda conoscenza, ma se la conosce a fondo non può permettersi di considerarne il valore, riconoscendolo per l'appunto. Si può parlare di contraddizioni, ma non di assenza di valori, altrimenti relativizziamo tutto. Ci sono culture che vantano intellettuali di peso maggiore, peso determinato spesso dalla potenza economica, militare o politica. Se i romani non fossero stati tali, forse oggi in chiesa pregheremo il etrusco e non in latino. Se i Savoia scelsero il dialetto fiorentino (ergo italiano) lo fecero a discapito del francese che loro comunemente parlavano. Cavour non mi risulta fosse molto avvezzo nella grafia toscana, altresì lo era in quella francese, ma l'Italia doveva distinguersi e non poteva essere France 2. (PS: nella seconda guerra di Indipendenza italiana 1859, morirono più soldati francesi che non tutti i volontari italici "accorsi" nelle varie guerre di indipendenza). Suggerirei a Villaggio di conoscere meglio ciò che prende in giro, ma nel contempo direi a noi friulani o altri popoli minorizzati, di alzare la testa e prendere coscienza di esserci e di avere alle spalle una storia che non inizia il 1861 o nel 1866 o 1918 (il Friuli ebbe in queste due date la sua annessione al regno d'Italia). Sembra che tra l'impero romano e il 1866 non ci sia stato nulla. La lingua non nasce dal nulla, ma nel nulla finisce se lasciamo che noi per primi ignoriamo chi siamo. Nessuno ce lo dirà, al massimo ce lo sussurerà. Tocca a noi non a Paolo Villaggio o ai politici ignoranti o ad abili prestigiatori di masse. Mandi!

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  2. Ottimo ragionamento, Sbilff. Ti ringrazio. Forse i friulani si sono sentiti offesi (mai quanto i sardi) perché Villaggio ha detto cose giuste (nel senso di reali). Le statistiche parlano del più alto tasso di tumori, suicidi e alcolismo. Non è un comico a dirlo, ma la realtà di fatto. Perché la gente non si chiede come mai?
    Qualcuno (gli Illuminati massoni?) ha fatto di noi carne da cannone, manovalanza pronta per le guerre (alpini) e questo ci ha sprofondato nella depressione e nell'alcolismo, come reazione magari inconscia a un sopruso che ci veniva da fuori, dai potenti. Secondo me, la consapevolezza delle catene che ci hanno imposto facendoci diventare emigranti e, all'occorrenza, combattenti, va di pari passo con la presa di coscienza degli altri soprusi che ci stanno gentilmente fornendo: scie chimiche in testa, ma anche veleni e pesticidi nel cibo e tutte quelle altre forme di sfruttamento della natura che il potere occulto attua in tutto il mondo.
    Noi, io, te e tutti, tendiamo a settorializzare e a specializzarci, ma....sbagliamo.
    Un abbraccio.

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  3. Alcuni si accoppiano con animali domestici esattamente come i latifondisti americani nell'Ottocento si accoppiavano con donne di colore.
    Quando un essere umano viene messo nella condizione di schiavo, oltre a lavorare gratis per il padrone è tenuto a offrire ogni altro genere di servizi.
    Ogni tanto gli schiavi si ribellano, siano essi umani o animali, ma succede troppo raramente, purtroppo.
    Ciao

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  4. Forse non sono attratti, ma obbediscono solo a pulsioni irrefrenabili.
    Siamo nel campo della patologia mentale, un po' come quelli che mangiano letteralmente escrementi (coprofagia).

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  5. Le perversioni ci aiutano a capire cos'è la normalità e grazie ad esse ci sentiamo bene.
    Ci sentiamo a posto.
    Purtroppo a volte è la normalità ad essere la peggiore perversione.
    Anzi, quasi sempre.

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