lunedì 26 novembre 2012

Clan dei clandestini





Fino a quattro anni fa non aveva mai portato occhiali. Poi si è messo a lavorare con la fiamma ossidrica e ora non riesce a leggere il Corano senza lenti, né a fare lavori di precisione. Temendo di diventare cieco e di dover andare in giro con il bastoncino bianco, è andato dal medico, che gli ha chiesto:
-       Quanti anni hai?
-       38
-       Che lavoro fai?
-       Saldatore
-       Beh, sai, trentotto anni, può dipendere dall’età
-     E come mai gli occhi mi bruciano e mi lacrimano dal lunedì al venerdì, mentre il sabato e la domenica non mi lacrimano?

Tipico caso di medico di m.
Laddove m. non vuol dire mutua, ma menefreghista. Così il mio intervistato si è iscritto alla CGIL. Ha avuto un colloquio con un responsabile del settore metalmeccanici. Gli ha spiegato la situazione e il sindacalista ha fatto una telefonata. La mattina dopo il datore di lavoro gli è andato incontro con una maschera nuova, dotata di vetro schermante più potente, dopo che per quattro anni gli aveva risposto che di più potenti non ce n’erano.

Non so se devo vergognarmi per lui, il padrone dell’azienda sita nella zona industriale di Sedegliano (UD), o se mi devo considerare già in fase di rassegnazione cronica, avendo sentito cose ben peggiori. Dopo che per decenni – noi friulani – ci siamo fatti rispettare come onesti lavoratori in giro per il mondo, adesso che siamo diventati piccoli industriali ci mettiamo a fare i micragnosi (quello lo siamo sempre stati). Ci mettiamo a risparmiare sulle Risorse Umane. E chissenefrega se i nostri operai perdono la vista!

Almeno ci sono i sindacati, che qualcosa di buono – di concreto – fanno, per i lavoratori. Ma tutto il resto del mondo del lavoro è una vera schifezza. Infatti, il mio ospite, prima di fare il saldatore ha lavorato in un cantiere stradale con sede in provincia di Venezia, per undici ore al giorno, senza che gli straordinari gli venissero pagati.

E’ però arrivato il momento di fare le presentazioni. Ramazan Mohamadi è arrivato in Italia come clandestino il 18 dicembre del 2006 e la sua storia è davvero incredibile. Il suo paese d’origine è l’Afghanistan, ma prima di venire in Europa è stato dieci anni in Iran, dal 1996 al 2006, dove ha fatto il muratore. Siccome gli USA hanno invaso l’Afghanistan dopo l’attentato alle torri gemelle del 2001, Ramazan non ha visto gli orrori della guerra americana, ma quelli della guerra contro i russi.
I russi sono entrati nel suo paese nel 1979 e in quello stesso anno suo padre è stato ucciso, insieme a 3.500.000 altri suoi connazionali. I russi se ne sono andati nel 1989, lasciando sul terreno 3.000 dei loro soldati morti, più 300 dispersi. Una sproporzione pazzesca, che mostra come anche quella fosse più un’ecatombe che una guerra vera e propria. I russi, in fondo, non sono meno imperialisti degli americani.
In fatto di guerre, però, il popolo afgano ha una lunga tradizione e se regioni della Terra come il Friuli o il Bangladesh hanno come una maledizione che le rende sfortunate, anche l’Afghanistan non scherza in fatto di sfiga cosmica.

All’epoca di re Amanullah, infatti, nel 1920, gli inglesi attraversarono il confine con l’India pensando di fare una passeggiata, ma trovarono pane per i loro denti, cioè armi bianche, zappe e forconi per i loro fucili automatici. E’ così che come i friulani si sono fatti la nomea di onesti lavoratori, gli afgani si sono fatti quella di indomiti e fieri difensori della loro terra. Magari si sentono così anche ora, dopo novantadue anni. Solo che adesso a morire è la gente comune, tra cui molti bambini, e la cosa non ha i precisi contorni di una guerra di liberazione. A meno che, a mettere le bombe, siano soggetti diversi da quelli ufficialmente indicati come tali.

Prima di raccontarmi le avventure rocambolesche con le quali è arrivato in Italia, Ramazan mi ha fatto un excursus storico della sua terra d’origine. Scacciati gli inglesi, scacciati i russi, dal 1989 al 1995 in Afghanistan c’erano diversi gruppi armati che si combattevano tra loro, il che mi ricorda le notizie dei giornali che, un tempo, a seguito delle manifestazioni, scrivevano: “Scontri tra dimostranti”.
Già nel ’96, anno in cui Ramazan andò in Iran, era al potere quel Mullah Omar di cui le cronache ci hanno per molto tempo deliziato, ma comandava all’interno dell’Afghanistan, mentre all’esterno c’era già il suo amico Osama Bin Laden, di cui le cronache ci hanno deliziato ancora di più.
Se tanto mi dà tanto, e se Bin Laden era amico della famiglia Bush, con cui intratteneva affari, mi viene da pensare che nella seconda metà degli anni Novanta gli americani svolgessero un ruolo di regia occulta sul territorio afgano e che il destino dell’Afghanistan fosse già segnato.

Con quel metodo tipico e collaudatissimo della “Confraternita Babilonese” - di cui parla David Icke - in base al quale gli amici diventano nemici in un batter di ciglia a seconda degl’interessi del momento, dopo che la Confraternita nella versione yankee aveva passato armi e istruttori militari ai Mujaheddin per combattere i russi, facendogli fare il cosiddetto lavoro sporco, improvvisamente i Mujaheddin diventano nemici della Libertà e dell’Occidente.
Diventato nemico degli USA per motivi strategici, Osama Bin Laden ha portato con sé nella sua caduta all’inferno anche il popolo afgano, compresi i combattenti Mujaheddin, reo di non voler consegnare alla “giustizia” americana il bombardatore di grattacieli.

C’era però anche un terzo elemento: i Taleban! Come mi ha spiegato Ramazan, i talebani erano truppe mercenarie provenienti da Marocco, Tunisia, Iraq, Arabia Saudita e altri paesi musulmani. Erano già lì sul posto, a combattere anche loro contro i russi, partiti i quali ai talebani prudevano le mani, volevano una paga più alta e comunque erano disposti a servire l’antico padrone americano, anche impersonando il ruolo di nemici, se necessario.
E così, quelli che non hanno voluto tornare alle loro case – ammesso che ne avessero una – sono rimasti in Afghanistan a “combattere” gli americani. Gli altri vennero negli anni seguenti impiegati nelle primavere arabe e ora sono concentrati in Siria ma con Assad non se la passano molto bene.

Quando erano al potere i talebani, a partire dal 1995, vennero fatte buone leggi, a detta del mio intervistato, perché venne instaurata la legge coranica. Alla mia domanda se fosse vero che le ragazze che andavano in giro per strada a Kabul senza il chador venissero bastonate, Ramazan non solo mi ha detto che è successo in qualche occasione, ma che di norma le ragazze non andavano in giro da sole, ma sempre e soltanto accompagnate da un membro maschile della famiglia, fratello o marito.
E qui Ramazan ha aggiunto sale sulla ferita, dicendomi una cosa che non avevo mai sentito: se una coppia, un uomo e una donna, fermati per strada dai talebani, non avevano con sé il certificato di matrimonio, cioè non potevano dimostrare di essere legalmente sposati, venivano portati in prigione, perché due fidanzati, da soli, non possono andare in giro senza accompagnatori, quelli che in francese si chiamano chaperon.

E questo mi fa venire in mente una notizia che ha avuto l’onore delle cronache, ma che è successa sulle montagne venete. Una coppia andava a fare una passeggiata in montagna con il cagnolino. Li fermano le guardie forestali e chiedono loro il certificato di vaccinazione del cane. Non avendolo con sé, hanno preso una multa di 3.000 euro. Talebani di casa nostra, in divisa verdolina.

A un certo punto, tornando ai famigerati talebani, quando hanno preso possesso del 90 % del territorio afgano, hanno deciso di cambiare la legge in peggio, ovvero forse di attenuare le asprezze della legge del Profeta. Anche questo mi fa sospettare che siano manovrati dagli americani e che lo siano sempre stati.
A riprova della bontà dell’amministrazione talebana, prima che peggiorassero la legge, Ramazan mi ha detto che si poteva andare in giro con grosse somme in tasca senza il rischio d’essere rapinati (da noi si diceva che con Mussolini i treni partivano in orario). Ciò non mi stupisce perché se ai ladri si amputa una mano e un piede, voglio vedere dopo le prime amputazioni quanti abbiano voglia di intraprendere la carriera del delinquente. Il proverbio “Il medico pietoso fa la piaga purulenta”, che verrebbe spontaneo applicare alle nostre latitudini, sembrerebbe convalidare tale islamica durezza legislativa.

Non so com’è ora la situazione in Afghanistan, a parte gli attentati terroristici, e penso che se io, bianco, dovessi andare in giro di notte per un quartiere poco illuminato di Kabul, con il borsello e la macchina fotografica bene in evidenza, non ci sarebbero né santi, né madonne, né profeti a salvaguardarmi da qualche brutto quarto d’ora.
Forse neanche Ramazan sa com’è ora la situazione in Afghanistan, perché anche quando nel luglio scorso è andato a trovare sua moglie Saera e le loro quattro bambine, si sono dati appuntamento in Iran, dove ha molti amici, e dalla sua patria per il momento preferisce tenersi alla larga. Il suo sogno infatti è di far venire la famiglia a Codroipo, magari dopo che avrà trovato un lavoro meno nocivo per la sua vista.

Noi dai telegiornali sappiamo che i musulmani si dividono principalmente in Sunniti e Sciiti, e Ramazan mi ha portato l’esempio dei cattolici e dei protestanti (ma gli ortodossi?) e ora so anche su cosa vertono le loro dispute. I Sunniti hanno scelto di conformarsi allo stile di vita dell’epoca di Maometto e questo spiega le lunghe palandrane e la barba, mentre gli Sciiti si sentono musulmani anche se non si vestono come i beduini del settimo secolo. I Sunniti accusano gli Sciiti di non seguire la tradizione religiosa autentica, mentre gli Sciiti accusano i Sunniti di essere fanatici ed esagerati nelle loro prescrizioni.
Ho spiegato a Ramazan che anche fra i cristiani c’è una situazione simile, con gli Amish americani, oriundi tedeschi, che per seguire un ideale vangelico di purezza rifiutano auto, telefono ed elettricità e si spostano da un villaggio all’altro con i calessi trainati da cavalli. Non sono vegetariani, ma in compenso non portano i baffi (come i mormoni, credo) perché considerati simbolo di militarismo.

Ho chiesto a Ramazan, forse con troppa morbosa insistenza, che mi raccontasse scene di guerra a cui ha assistito, ma a parte le centinaia di morti per le strade, comprese due mucche, da lui visti quando aveva quattordici anni, non ha saputo o voluto scendere nei particolari. Una cosa però si ricorda, della sua adolescenza nella città di Ghazni: quando passavano i carri armati russi, se la gente non li infastidiva, i carristi comunisti non compivano atti ostili verso la popolazione civile, ma se c’erano scontri a fuoco con qualche “ribelle”, o anche solo un cecchino appostato in un palazzo, arrivavano subito i caccia a bombardare e di interi quartieri, dissipatosi il polverone, non restava più nulla, solo un cumulo di macerie e qualche arto umano o animale sparpagliato qua e là.

Tuttavia, anche se manca dal suo paese dal 1996, non ha mai mancato di tenersi informato sulla situazione dell'Afghanistan, un luogo in cui le giovani generazioni non vedono alcun futuro. Come ai giovani turchi viene in mente di andare in Germania e ai giovani algerini di andare in Francia, così per molti afgani anche l’Italia diventa una meta desiderabile, nonostante tuttora siamo al seguito del nemico occupante a stelle e strisce.
I soldati morti che fanno rientro in Italia sotto la bandiera tricolore, rientrano nella strategia sionista e americana di fomentare l’odio dell’Occidente verso i paesi “canagliarabi”, in vista di una eventuale, futura e sempre meno ipotetica guerra contro l’Iran. Che i “nostri” soldati muoiano per mano di autentici patrioti afgani o in virtù di attentati false flag, fa poca differenza: restano funzionali al sistema e graditi ai fabbricanti di armi. Ad aggiungere beffa al danno, come nel caso di Rashomon, in Italia tornano da eroi, mentre sul posto muoiono come invasori.

Di questo però io e Ramazan non abbiamo parlato. Mi ha raccontato invece come ha fatto ad arrivare in Italia senza un soldo in tasca e con solo un piccolo zainetto sulle spalle. Dall’Iran, dove lavorava come muratore, prese un pullman fino in Turchia, forse con gli ultimi spiccioli che gli rimanevano. Dalla costa turca alla Grecia c’era un breve tratto ci mare, che coprì con altri quattro compagni di viaggio a bordo di una barca a remi.
Ci misero cinque ore ad arrivare sulle coste elleniche. Da lì a piedi fino a Patrasso, dove attese il momento opportuno di salire, non visto, sul fondo di un camion diretto in Italia. Più che salire, bisognerebbe dire aggrapparsi e io che non ho mai visto com’è fatta la parte inferiore di un camion non so se c’è un anfratto, una rientranza che permetta a un corpo umano di rannicchiarsi più o meno comodamente.
So solo, in base a quello che mi ha detto Ramazan, che molti clandestini cadono dai camion in corsa e vengono investiti dalle macchine che seguono. Il resto, la paura di addormentarsi, lo sforzo di non perdere la presa, posso immaginarlo. Mi pare ne abbia parlato anche la Gabanelli, con un servizio che mostrava come gruppi di giovani in Grecia aspettino di salire sui camion in corsa, che dai parcheggi escono lentamente, aprendo però il portellone posteriore senza che il camionista se ne accorga.

Non fu il caso di Ramazan, che salì a camion fermo infilandosi in qualche vano tra le ruote del veicolo. Quando il camion passò Trieste, Ramazan non se ne accorse. Scese solo quando il camionista fermò il mezzo e si allontanò. Vagò per una città sconosciuta, sperando di essere in Italia, e solo dopo qualche ora capì che quella città si chiamava Modena. Poiché l’unica cosa che sapeva dell’Italia era che la sua capitale si chiama Roma, vi si diresse, perché così fan tutti i clandestini che giungono qui, a meno che non abbiano altri interessi a Milano.
Dormì tre mesi in un parcheggio, insieme a un numero variabile di una cinquantina di clandestini di varia provenienza, nella zona – coincidenza massonica – della Piramide . Come vengono fatte le retate di prostitute, per accontentare i benpensanti, così tecnicamente si potrebbero fare le retate di clandestini, se solo si volesse estirpare il fenomeno tanto inviso alla Lega Nord. Se non viene fatto e se Ramazan ha potuto dormire tre mesi sull’asfalto di un parcheggio, coprendosi di cartoni come i barboni, ma ricevendo di tanto in tanto gli aiuti alimentari dei volontari Caritas, è perché non lo si vuole fare, cioè perché esiste veramente un piano di destabilizzazione dell’Italia da realizzare tramite la silenziosa invasione di extracomunitari coraggiosi, capitani delle loro vite sfortunate.

A un certo punto, grazie forse al passaparola tra compagni di sventure (perché era pieno inverno e se di notte cominciava a piovere bisognava raccogliere coperte e nylon e correre al riparo), Ramanzan si recò in questura a Roma. Gli presero le impronte digitali e gli diedero una ricevuta. In breve tempo gli trovarono posto in un centro d’accoglienza della capitale, dove fece un corso di saldatore e uno, serale, di lingua italiana.
Dopo otto mesi ebbe la sua bella carta d’identità, ma la domanda di Rifugiato Politico gli venne respinta. Forse venire da un paese in guerra, invaso dalle nostre truppe, non è motivo sufficiente e se fosse arrivato dal Sudan, dove i musulmani bruciano le chiese cristiane, gli sarebbe stato più facile ottenere l’asilo politico.

Ora Ramazan ha il normale permesso di soggiorno, da Roma si è spostato nel Veneto grazie al consiglio di un amico, e dal Veneto in Friuli, grazie al consiglio di un altro amico. In attesa di congiungersi con moglie e figlie, si è comprato una macchina del ’93 che lo lascia spesso per strada.

Nota sociopolitica finale. Tra i due litiganti il terzo gode. Tra talebani e truppe occidentali, i cinesi l’anno scorso hanno cominciato le estrazioni petrolifere, forse perché gli stranieri si sono spartiti il bottino: agli americani il papavero da oppio e ai cinesi l’oro nero. L’accordo è che il 60% di petrolio estratto resta agli afgani e il 40 % va in Cina. Fra dieci anni i cinesi se ne andranno, lasciando in dono le infrastrutture per le estrazioni e tutto il petrolio che ci sarà ancora da estrarre. Strano che non abbiano fatto un contratto per 99 anni!

Oggi Ramazan Mohamadi è uscito dal Clan dei Clandestini, ma il flusso in entrata è ancora aperto e la silenziosa invasione di cui parlava la Fallaci è tuttora in fase d’attuazione.
Qualcuno, prima di mettersi ad asciugare per terra, dovrebbe chiudere il rubinetto. 

Questa però è logica umana e non sono del tutto sicuro che nei cervelli dei padroni del mondo agisca una logica come la nostra.



6 commenti:

  1. e questa e´ solo la storia di un individuo!
    pensa tutti gli altri!
    certo poraccio che e ´stato pure fortunato!
    scappato dal suo paese dopo tante peripezie ha trovato lavoro ed e ´in regola
    ma per questo ha rischiato la vita e mo pure la vista
    e gia´ difficile addattarsi quando esci dalla tua terra figurati questi poveri cristi! o mulsulmani
    tutta via non credo gli manchi la sua patria come invece puo´mancare a me!
    ciao rob

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    1. Grazie Nata Libera!
      Ciò che mi ha colpito in Ramazan è la forza di volontà che gli ha permesso prima di dormire tre mesi all'addiaccio e poi di seguire un corso di saldatore di otto mesi.
      Hai ragione a dire che è stato fortunato, ma ci ha messo anche molta convinzione e determinazione.
      Se io seguissi ora un corso di saldatore, troverei subito lavoro perché nei Centri per l'Impiego i saldatori, come anche i tornitori, sono richiestissimi.
      Ciao

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  2. non ti ci vedo a fare il saldatore
    come scrittore vai alla grande :-)

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    1. Eh, però....impara l'arte e mettila da parte, dice il proverbio.

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  3. Le dimensioni dell'uomo non sono così limitate come i pregiudizi fanno. Prima dell'aggettivo c'è il soggetto. Prima dell'immigrato c'è l'uomo. Siamo diversi per cultura, storia, geografia e lingua, ma ci sono dei punti ancestrali di contatto nel riconoscersi uomini. Quindi, benvenuto Ramazan, ci saranno tempi in cui ci incontreremo col tempo degli uomini, e ci riconosceremo come tali.
    Mandi

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