venerdì 15 novembre 2013

In nome della cultura



Justice Malala scrisse eloquentemente sulla macellazione del toro durante il rituale Ukweshwama dello scorso anno, in cui i giovani del villaggio hanno ucciso un toro a mani nude. Lo scopo dell'uccisione del toro era di celebrare i primi frutti del raccolto. La forza del toro morente, si ritiene, sarebbe stata trasferita al re. L’autore ha reso molto chiaro che le conseguenze, derivanti dal tentativo di fermare il rituale attraverso una corte di giustizia, siano finite in un nulla di fatto a causa della contrapposizione ideologica tra  nero e bianco, europeo contro africano, colonialista contro "combattente per la libertà". E nel furore delle discussioni tutti dimenticato il toro.
Un toro ucciso a mani nude, a forza di pugni e con tutte le altre terribili cose che gli vengono fatte, può richiedere alcuni lunghi minuti per morire, come notato da Capo Mlaba: 'Noi dobbiamo utilizzare le nostre mani nude. E' un atto di crudeltà, siamo d'accordo, ma è la nostra cultura. Non possiamo cambiare la nostra cultura". E prosegue dicendo: " Per 40 minuti  decine di persone calpestano il  toro, che geme il suo dolore, gli viene girata la testa prendendolo per le corna, per cercare di rompere il collo, gli viene tirata fuori la lingua, la sua bocca viene riempita di sabbia e si cerca anche di strappare il suo pene. Alla fine, luccicanti di sudore, alzano le braccia in segno di trionfo e cantano quando il toro finalmente muore".


Questo è in diretta contraddizione con il professor Jabulani Mapalala che ha detto in tribunale che la morte dell'animale è veloce e indolore e che il sangue non viene versato. Sangue o no, la morte è tutt'altro che rapida e priva di dolore!

La difesa culturale che il toro deve soffrire perché anche i suoi antenati animali venivano fatti soffrire, è irrilevante in una società in cui le persone vivono una vita completamente diversa da quella dei loro antenati e per di più ora sappiamo che gli animali soffrono per mano del genere umano, e soffrono immensamente. Se il toro deve morire (e, naturalmente, la nostra posizione è che non è mai accettabile uccidere nessuno, se non per legittima difesa), perché non può essere macellato rapidamente, con la minor quantità di dolore? Perché la crudeltà deve essere la questione determinante della fedeltà al re o il successo del rituale ?


Certo, è piuttosto strano che gli africani non possano celebrare in modo cruento l'uccisione di un toro in una cerimonia tradizionale, quando migliaia di animali vengono allevati in Occidente e poi uccisi in circostanze atroci, su base giornaliera, per soddisfare il desiderio della persona media occidentale di mangiare carne. E questo è stato uno degli argomenti a favore della cerimonia. Non possiamo argomentare contro questo. La differenza, naturalmente, è che queste cerimonie si tengono sotto gli occhi del pubblico, con pochi invitati in ogni caso, mentre le condizioni di vita negli allevamenti intensivi e la successiva macellazione, che vale anche per gli animali che vivono “ruspanti”, sono tenute ben nascoste alla vista del pubblico.

Ma torniamo al toro.

Paesi tra cui Tanzania, Sierra Leone, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Zimbabwe e delegati di ANAW (La Rete africana per il benessere degli animali) hanno firmato una petizione per chiedere al Parlamento di fermare Ukweshwama , ma senza alcun risultato.
                                                                                                                                                                 

Le cerimonie culturali sono protette dalle Costituzioni di vari paesi, comprese quelle che coinvolgono gli animali, però noi abbiamo una legge di protezione animali e come il toro in questione è in realtà torturato a morte, si potrebbe supporre che l'APA sostituisca la Costituzione in questo senso. Ukweshwama è ricominciata negli ultimi tempi, dopo essere stata sospesa per molti anni. Qualunque sia la ragione per cui è stata inizialmente fermata, sicuramente la ripresa avrebbe potuto prendere in considerazione le nuove conoscenze che abbiamo raggiunto sulla sensibilità animale? La tortura fa davvero parte del nuovo Sud Africa?

La macellazione per scopi culturali e religiosi viola chiaramente le cinque libertà  che il benessere degli animali accetta  e viola la legge sulla protezione degli animali.
 

Beauty Without Cruelty e il Living Without Cruelty rifiutano la nozione di cultura e di tradizione che consente o promuovere l'inflizione di dolore e sofferenza. La crudeltà e la sofferenza sono universali, indipendentemente dalla cultura, religione, origine o etnia. Siamo sia contro il massacro quotidiano di animali per il cibo, che l'uccisione di animali per la loro pelle, a prescindere da chi ne siano i colpevoli. Infliggere sofferenza, sia mentale che fisica, non deve essere considerato una caratteristica di cui essere orgogliosi o qualcosa a cui aggrapparsi.

Non c'è bisogno di uccidere un toro a mani nude per dimostrare virilità o la devozione a un re, non abbiamo bisogno di uccidere nessuno per placare gli antenati, per inaugurare una nuova casa o per qualsiasi festa religiosa o culturale.



7 commenti:

  1. A me questa storia che certi riti fanno parte della cultura e quindi non si discutono, ( sono i dogmi di fede che non si discutono, tutto il resto SI),
    mi ha "stufato" assai.
    E dico stufato per non dire di peggio.
    La Spagna la mena con la solita tiritera sulla corrida (che pare dovrebbe diventare patrimonio dell'Unesco),
    cacciare le foche è un atto lecito per difendere le tradizioni degli indigeni,
    la caccia alle balene idem con l'aggiunta che serve per scopi scientifici,
    più tutta una sfilza di massacri dove animali sono torturati col fuoco,
    buttati giù dalle rupi ancora vivi
    o immolati a qualche dio ....
    I bianchi non sono migliori dei neri,
    non stiano questi selvaggi a tirare in ballo quindi la solita storiella che contrappone l'uomo bianco a Kunta Kinte,
    fanno schifo entrambe,
    chi per un verso chi per l'altro.
    Un clamoroso impatto stellare di dimensioni cosmiche risolverebbe tutto.
    Simon.

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    1. Quando sento parlare di tradizioni - parafrasando Goebbels - la mano mi corre al revolver.

      I meccanismi mentali sono gli stessi. Qui da noi, per fare qualche esempio, sono le sagre paesane come quella di Sacile, detta "dei Osei", che vengono spacciate per tradizioni.
      Ma è un'etichetta che provano a mettere un po' dappertutto: corse degli asini, circhi, abitudini gastronomiche, ecc.

      Auspico anch'io l'impatto stellare ma è poco probabile.

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    2. Non esistono scusanti nemmeno a pagarle oro, tutto ciò va fermato, magari ricorrendo allo spirito di Priebke.

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    3. Citazione:
      "ricorrendo allo spirito di Priebke".


      Si spieghi meglio.

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    4. E' difficile se non impossibile, quindi ci rinuncio a priori, spiegarle il ricorso allo spirito di Priebke, dato che lei è squisitamente materialista e non ha mai sperimentato l'esistenza oltre la cornice del suo corpo fisico.

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    5. Posso accettare la sua accusa di materialismo, ma vorrei capire cosa c'entra Priebke.

      Domanda: Steiner non ha insegnato per caso che esprimendo giudizi a volte si prendono cantonate?

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    6. "Dai frutti li giudicherete", nel suo caso, in mancanza di questi, devo attenermi alle parole di cui è prolifico.
      Lei si è speso in una serie di scelte, sempre verbali, ed a queste mi riferisco, se in un'occasione empirica mi smentirà ne sarò lieto, per intanto valuto i "fatti".
      La vita è eterna solamente la materia è caduca, nel senso che si trasforma dal momento che non esiste, perciò lo spirito di Priebke non è sparito per incanto ma staziona in altre dimensioni.
      Quando si confesserà pubblicamente ragguagliandoci sulle sue esperienze nel devachan?

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