mercoledì 29 gennaio 2014

Il male che si fa ritorna sempre in mare



 
L'isola di plastica
"Sono Nicolò Carnimeo, insegno all’Università di Bari, ma sono anche uno scrittore e un navigatore, in questi ultimi tre anni ho compiuto un lungo viaggio, che mi ha portato dagli oceani al nostro Mediterraneo, e voglio raccontarvelo.
Il mio viaggio nel mare di plastica è partito a Londra, dove ho incontrato chi ha scoperto il "Great Pacific Garbage Patch", che cosa è? È un'immensa isola formata da tutti i rifiuti di plastica che abbiamo gettato negli ultimi 50 anni. Il mare, attraverso le correnti, li fa convergere in alcuni punti e lì restano e forse resteranno per sempre. 
Questo comandante si chiama Charles Moore. Siamo andati insieme a vedere l’isola di plastica. Nel mio libro "Come è profondo il mare" (Ed. Chiarelettere)la chiamo l’isola che non c’è, perché in effetti è formata da miliardi e miliardi di piccolissimi frammenti diventati pulviscolo, perché la plastica in mare si frantuma, si degrada. Perché sono così pericolosi? 


Perché imitano il plancton, la base della catena alimentare. I pesci poi si mangiano, dal più piccolo al più grande, e i frammenti di plastica entrano nella catena alimentare e arrivano fino a noi, con quali conseguenze ancora non sappiamo.
Come ci si rende conto se c’è la plastica? Magari l’acqua sembra cristallina, limpidissima, ebbene si cala una rete, detta "Manta Trawl", una specie di imbuto che filtra il mare. Quando viene fuori questa rete ci rendiamo conto della quantità di plastica. 
Dagli oceani siamo passati a monitorare il Mediterraneo. Ho partecipato a una spedizione scientifica che si chiama "Expedition M.e.d." e abbiamo scoperto una cosa devastante, nel nostro Mediterraneo, che è un mare chiuso, di plastica ce ne è ancora di più! Miliardi e miliardi di microframmenti. La stessa sabbia dove camminiamo, ormai è di plastica. Fate una prova, prendete una specie di rastrello, quello che usano i bambini per giocare e guardate quanti microframmenti ci sono!
Da dove viene l'isola di plastica? L’hanno formata i milioni di oggetti di plastica usa e getta, di polietilene, che utilizziamo ogni giorno, bicchieri, piatti, bottiglie.
Quando fu inventata la plastica un premio Nobel, Flory la definì l’elemento che la natura si era dimenticata di creare, siamo proprio sicuri? Non può esistere nulla che non venga poi risolto in composti semplici, che non sia biodegradibile assolutamente. Così deve essere il nostro passaggio su questa terra, non deve lasciare assolutamente traccia. Navigando ho imparato che deve essere come quando si va in barca a vela, la prua apre una scia, noi ci passiamo in mezzo e poi quella scia si richiude dietro di noi.
Il mercurio
La plastica non è l’unico elemento che sta devastando i nostri mari, e poi noi, come abbiamo visto,c’è anche il mercurio. 
                                                                                                                                                 
Me ne sono accorto sul Gargano quando sette giovani capodogli si sono spiaggiati. Erano dei giovani capodogli nati e cresciuti nel Mediterraneo. Qualcosa di terribile li ha spinti a correre verso le coste del Gargano, sette giorni, nuotando incessantemente senza mangiare, per morire lì. Tutte le cause non si sanno, ma sicuramente una è certa: il mercurio! Quando si analizzano i tessuti dei capodogli si trovano tutti gli inquinanti che noi sversiamo in mare, tra questi il mercurio è tra i più pericolosi. Abbiamo due tipologie di rischio, una quando c’è un inquinamento specifico, cioè c’è una fabbrica inquinante che sversa mercurio in una determinata zona e l’altra per la generalità dei consumatori. 
Nella Baia di Minamata, in Giappone ci fu l’inquinamento specifico per una comunità di pescatori, che mangiavano pesce, tanto mercurio entrò nell’organismo dei pesci, Ci furono circa mille morti! E non dobbiamo pensare che Minamata sia così lontana, perché c’è anche nel nostro Mediterraneo! Abbiamo Augusta Priolo, Taranto! Il mercurio per le donne incinte si accumula nel feto e nascono bimbi malformati, questo è avvenuto a Minamata ed è avvenuto anche da noi. 
Quindi, come i capodogli, così i nostri figli nascono già schiavi di qualcosa che gli abbiamo dato prima che nascessero, una forma di schiavitù prenatale, è questa l’eredità che vogliamo lasciargli?
 


E poi nel mio lungo viaggio, parlo anche di tritolo, degli arsenali bellici che sono stati sversati in mare, sì, perché il mare pensiamo che sia la nostra discarica, solo perché le cose non le vediamo più, e invece le bombe restano lì, gli armamenti pure, tutto ciò che viene sversato in mare, come in Giappone a Fukushima, dopo l’incidente della centrale nucleare, prima o poi ci ritornerà indietro!
Il nostro sistema economico non contempla la natura, pensiamo che le risorse naturali siano inesauribili, ma non è così! Siamo noi che dobbiamo adeguarci a essa. 
Ho incontrato moltissime persone che hanno dedicato ogni giorno la loro vita al mare, sono persone comuni, chi ha scoperto l’isola di plastica, il comandante Charles Moore, ha fatto il falegname! Ha avuto un lascito e ha dedicato tutti quei soldi per la ricerca e la diffusione di questa forma di inquinamento. Ho incontrato comandanti della Marina Militare, sommozzatori, i nostri eroi silenziosi, che scendono nei fondali e con picozza e scalpello tolgono le bombe di questa fondali, rischiando la loro vita, nessuno sa di loro. Noi dovremmo fare come loro nella nostra vita quotidiana, bastano gesti semplici, quando andiamo a fare la spesa al supermercato portiamoci la nostra borsa, usiamo bottiglie di vetro, che vengono riciclate, non gettiamo nulla nell’ambiente. Non tutte le buste che riteniamo biodegradabili lo sono, spesso arrivano in mare, si frantumano e diventano pulviscolo. Dobbiamo scegliere le plastiche che si degradano in composti semplici. Salvare il mare si può, Passate parola!"

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