Tratto da "I Fioretti di San Frumenzio"
Dovendo
estendere su un territorio il più ampio possibile, le buone idee di
misericordia e di giustizia verso le creature del Signore, in un mondo di
tenebre tutto dedito alla carneficina di queste ultime, Frumenzio pensò bene di
inviare in predicazione i suoi discepoli. Fra questi c'erano frate Eugenio, fra
Massimino, fra Dinuccio, frate Spingardone e altri.
Fece
né più né meno ciò che andava di moda tra le congregazioni religiose negli
ultimi quattromila anni: mandò i suoi apostoli a catechizzare le genti
cadaveriane. Li inviò come pecore fra i lupi, come gazzelle fra i leoni, come
topolini fra i gatti, galline fra le volpi e colombe tra i falchi. Se non fu
pazzia questa! Ma, si sa, gli utopidealisti sono sempre stati con i piedi
saldamente piantati fra le nuvole. Da quando si sono messi in testa di voler
imitare il lievito che solleva la pasta e rende commestibile il pane hanno
immolato se stessi e gli altri nelle fornaci del Maligno guadagnandoci tutt'al
più un posto nel calendario. E da quando si sono assunti l'onere di impersonare
il sale della terra, a dispetto delle indicazioni di segno contrario dei
chimici e degli astronomi, hanno dato un grosso contributo alla sconfitta delle Tenebre, nel senso che hanno fornito se stessi come materiale combustibile per
i roghi dell'Inquisizione. Questo era l'andazzo suicida dei mistici di tutto il
mondo e Frumenzio non poteva andare contro a tradizione. Diede a se stesso e ai
suoi amici in partenza un poeticissimo viatico induista.
"Siate
come il legno di sandalo che profuma la scure che lo taglia". Frumenzio era un gran copione, in fatto
di massime religiose, tanto che a volte gli intimi lo chiamavano il Gran
Maestro Orecchiante, e quindi attingeva a piene mani dal patrimonio di conoscenze
sapienziali dei mistici che lo avevano preceduto. Senonché, quella frase
botanico-nonviolenta poteva germogliare e svilupparsi in un contesto sociale
dove la metempsicosi era considerata dato certo, mentre la stessa frase,
trapiantata nell'Occidente materialistico di cui Frumenzio e seguaci erano
figli, non poteva attecchire né dare i medesimi frutti di devozione religiosa.
Sarebbe stato come prendere un fico d'india, trapiantarlo nei giardinetti della
stazione di Stoccolma e pretendere di vederlo crescere rigoglioso. E' chiaro che
una cosa del genere non funziona. Con tutti i barboni svedesi che bivaccano in
stazione: se lo prendono e se lo cucinano il giorno stesso!
Ma torniamo ai nostri fraticelli.
Poiché la loro prima regola era l'obbedienza, presero armi, bagagli e
videocassette e partirono per varie destinazioni, come San frumenzio aveva loro
ordinato. Come volevasi dimostrare, entro breve tempo, ciò che era capitato a
Apollonio di Tiana e a tanti altri predicatori vegetariani si avverò
regolarmente anche nel loro caso. A quel santo taumaturgo del primo secolo
dell'Era Volgare, detto il Cristo pagano, capitava che i fanciulli dei
villaggi, dove lui transitava, gli tirassero sassi. A frate Eugenio invece
capitò che la magistratura belga
sequestrasse la motocicletta; a fra Massimino successe che i colleghi
di lavoro lo prendessero in giro per la sua dieta vegetariana; a fratel
Dinuccio, capitò di subire alcuni processi pretorili per la sua attività
sindacale, mentre lo stesso Frumenzio, che non si era sottratto al dovere
morale di darsi in pasto alle feroci belve cadaveriane, incorse in un quasi
licenziamento dal suo lavoro di insegnante. Su tutti loro, le batoste ricevute
lasciarono il segno, chi in un modo, chi in un altro, a seconda della loro personale
tempra. I più ne uscirono rafforzati nella fede e continuarono a predicare la
non-violenza vegetariana ma alcuni anche, per gli urti psicologici ricevuti,
lasciarono la congregazione e tornarono a rotolarsi nel fango del porcile da
cui erano giunti e dal quale erano stati mondati.
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