martedì 21 gennaio 2014

Nel nome della tradizione

 
Fonte: Gazzettino

Testo di Anna Guaita

Sono mammiferi intelligenti. La scienza ha dimostrato che provano sentimenti ed emozioni, che hanno una loro “cultura” e una loro lingua, che sono leali l’un l’altro e capaci di amore, e spesso generosi con gli altri mammiferi, soprattutto gli esseri umani. Ma in Giappone i delfini sono visti solo come animali da sfruttare e mangiare. E nelle ultime ore ne sono stati catturati 250 nell’infame golfo di Taiji, già immortalato dal tragico documentario “The Cove”.
Qui sono sottoposti a una procedura che la stessa ambasciatrice Usa in Giappone, Caroline Kennedy non ha avuto remore a definire “disumana”: vengono avvolti in una rete, trascinati sulla spiaggia e studiati: se sono sani e belli vengono destinati a zoo acquatici, e a una vita di prigionia, sennò vengono pugnalati e destinati a diventare bistecche. Le acque del piccolo golfo sono già rosse di sangue. L’organizzazione umanitaria americana Sea Shepherd Conservation Society ha trasmesso sul suo sito un video live-streaming dei pescatori che ammazzavano i delfini, e continuerà a monitorare la situazione. I loro volontari trasmettono anche regolari tweet per denunciare cosa sta succedendo (@CoveGuardians). Dal canto loro le autorità della cittadina di Taiji sostengono che sin dal 2010, quando è uscito il documentario, i pescatori della zona sono stati soggetti a “persecuzione psicologica”. E protestano contro le interferenze “dell’Occidente in una tradizione antica”.

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