sabato 21 giugno 2014

Le nuove mediatiche aule di tribunale

 

C’è una questione essenziale  che sembra sfuggire ai protagonisti delle polemiche sulla presunta individuazione dell’assassino di Yara, e cioè che il suo eventuale riconoscimento parte da una procedura di “analisi di massa” del Dna (ben diciottomila i campioni raccolti) dall’assai dubbio profilo costituzionale. E’ di tutta evidenza che il prelievo di materiale biologico afferisce direttamente alle libertà fondamentali dell’uomo e all’inviolabilità della persona. L’articolo 13 della Costituzione, nel proclamare l’inviolabilità della libertà personale e del diritto alla riservatezza dell’individuo, fissa forti paletti procedurali per l’esercizio dei poteri di coercizione da parte della pubblica autorità. Tra questi c’è il principio di motivazione. Anche la richiesta di una meno invasiva “intercettazione telefonica” deve essere giustificata dagli investigatori con motivazioni esplicite e specifiche e non può essere generica o a vasto raggio. Del resto, anche nelle altre vicende in cui la prova regina è stata costituita dall’esame del Dna, sia nei casi di condanna (i delitti Claps e Filo della Torre) sia nei casi di assoluzione (l’omicidio di Garlasco e l’appello di Perugia per Meredith), l’esame è stato effettuato dopo che i sospetti erano stati individuati e circoscritti sulla base di altri riscontri investigativi e non grazie a un “rastrellamento” in una vasta e indefinita platea di potenziali colpevoli.


Ora anche se, contro ogni legge statistica, vogliamo ipotizzare che tutti e diciottomila i prelievi siano stati effettuati rispettando la procedura di acquisizione del libero consenso del soggetto, è il meccanismo stesso dell’operazione, effettuata in un clima di forte tensione emotiva della comunità, che mette in discussione l’essenziale presupposto della libera scelta e quindi, in ultima istanza, limita fortemente il diritto alla difesa del sospettato.
Anche in altre circostanze di emergenza giudiziaria e di grave allarme sociale, l’Italia ha tenuto duro non cedendo alle sirene del panottico. Le richieste di rilevazione di massa delle impronte digitali di determinati campioni della popolazione sono state respinte al mittente con l’opportuna combinazione di sdegno e sberleffi. Non vorremmo che, capitalizzando lo stato d’animo collettivo di forte empatia con la giovane vittima e i suoi familiari, passasse il principio che l’efficacia del risultato raggiunto (e qui non solleveremo tutti i dubbi opportuni sull’effettivo valore probatorio nel caso specifico) consente di fare strame di elementari e fondamentali principi del diritto. Al danno del pericoloso precedente si aggiungerebbe così la beffa di un micidiale passo in avanti nello spostamento del luogo del rito processuale dalle aule di giustizia (con tutte le garanzie processuali per l’acquisizione della prova) agli studi televisivi, nuovi santuari del barnum mediatico.

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