venerdì 1 agosto 2014

Frammenti di vita quotidiana



In un film con Jack Nicholson, che recita con tre belle streghe, Susan Sarandon, Cher e Michelle Pfeiffer, c’è lui, in una scena finale, che esclama: “Cosa desidera in fondo un uomo da una donna? Che gli faccia trovare una camicia pulita ogni giorno!”. Ebbene, a chi ancora tra i miei lettori dovesse chiedermi perché continuo ad andare in Madagascar nonostante tutte le brutture che capitano ai miei fratelli animali, potrei rispondere che quaggiù c’è una donna che riesce a stirarmi una camicia anche senza asse da stiro, improvvisando come ripiano addirittura il letto, cosa che non avevo mai visto fare da nessuno. Evidentemente, come la fame aguzza l’ingegno, così la mancanza di strumenti adeguati aguzza la creatività. Il risultato è dignitosamente apprezzabile.


Ovviamente, non tutti i giorni ci sono camicie da stirare. A volte ci sono panni da lavare e allora, in mancanza di lavatrice, subentrano due grosse bacinelle, in una delle quali si stempera la polvere detersiva e nell’altra si mettono i panni lavati da sciacquare più e più volte. Di acqua se ne consuma parecchia, è vero, ma quella del pozzo è praticamente infinita e così si risparmia sulla bolletta. Prima di far ciò, con me come aiutante, Tina non manca di fare miresake (ciacole, in triestino) con la vicina delle anatre, e qui va via una buona mezzora, poi con un tizio che è venuto a bussare al portone d’accesso al cortile, ma che Tina non ha fatto entrare, e anche qui va via una buona mezzora. Infine, viene Nazma, vecchia amica nonché moglie del nostro elettricista di fiducia, con la figlioletta legata sulla schiena da un foulard. E qui pure va via mezzora.

Alla fine, svegliatici alle sei al suono della campanella della missione ortodossa, sono venute le nove, la colazione a base di the e biscotti è fatta, la doccia è fatta e siamo pronti per uscire. Quasi. Perché io sono pronto da un pezzo, ma con le donne, tra un trucco e un orecchino, c’è sempre da aspettare. Con la prima moglie era così, con questa, seconda, è uguale e se questo è l’andazzo, prevedo che sarà così anche con la terza e la quarta. Un minimo comun denominatore delle mogli è quindi che ti fanno aspettare. Per un motivo o per l’altro.

Poiché avevamo deciso già dal giorno prima di andare a vedere i prezzi dell’unico vero supermercato di Tulear, dal nome altisonante di Jumbo Score, che sembra più adatto a un aereo per voli commerciali che a uno spaccio di alimentari, alle 9.30 siamo seduti sul ciclo-poussy di Alex, stessa etnia di Tina, nonché pousseur di fiducia. Qui, detto per inciso, è meglio farsi prestatori d’opera di fiducia, almeno sai che così non fanno vazaha-profit. Io ci tengo a questo, perché altrimenti, con un continuo stillicidio di imbrogli, alla fine ci si ritrova senza soldi. E in Madagascar non c’è niente di più vergognoso e scandaloso di un vazaha squattrinato. I prezzi del Jumbo Score, però, come sospettavamo, sono alti rispetto alla stessa merce che si trova nei chioschi, ma pur essendo la prima e forse anche l’ultima volta che ci veniamo, c’erano due bianchi a far la spesa, un residente e un ragazzo con tanto di zaino, che evidentemente non sono in grado di fare confronti. E quindi per loro va bene così.

Indi per cui, siamo andati al mercato popolare di Betania, dove trovo sempre inquadrature suggestive da fotografare, mentre Tina compra ciò che ci serve. Oggi per esempio mi sono messo in testa che voglio assaggiare la manioca fritta, che in malgascio si chiama Balahaso. Tina ne ha comprate alcune, ma le ha cucinate nel pomeriggio alle tre, in un orario poco consono al consumo di fritti. Saranno buone anche stasera. La schiuma da barba, che mi servirà per quando sarò nella brousse, al Jumbo Score non l’abbiamo presa perché troppo cara e nei chioschi del mercato perché non ce l’hanno. In tal caso, resta ancora la terza opzione: i negozi dei Karana, la minoranza araba. Lì hanno tutto e i prezzi sono abbordabili. 

L’unico inconveniente, per un palato mediterraneo, è che spaghetti e maccheroni sono di fabbricazione turca e fanno rimpiangere Buitoni e Barilla, che pure si trovano in vendita ma a prezzi astronomici. I furbi turchi mettono nomi di fantasia dal suono italiano, sperando di ingannare i loro clienti del Terzo Mondo. E infatti ci riescono, perché quegli spaghetti di seconda qualità sono in vendita nei chioschi sparsi per la città e sono alla portata della gente comune.
D’altra parte, trovandomi ai tropici e in assenza dei manghi perché non è la loro stagione, mi piace approfittare di ciò che offre la natura, qui e ora, e devo dire che patate dolci e manioca sono niente male. “Quant ca l’è fan, al è bon dut”, frase friulana che Tina ha imparato a memoria. Cosa volete di più dalla vita di una squisita manioca fritta?

2 commenti:

  1. Sei un impavido.
    Dopo tutto quello che hai raccontato e tutta quest'arte di arrangiarsi mi sono convinto che potresti sopravvivere anche a Napoli!
    Ho detto tutto!

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    1. Che ne dici del neologismo "Napolascar"?

      O preferisci "Madagascapoli"?

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