domenica 3 agosto 2014

Invidia e gelosia


Quando due settimane fa, appena arrivati a Tulear, siamo andai a trovare Nina e Mitia, c’erano due cagnetti nel loro cortile, uno bianco e uno nero. Ieri, 2 agosto, c’era solo quello nero perché l’altro gli è stato avvelenato dai vicini invidiosi e gelosi. Come possono essere gelosi i vicini di uno sloveno squattrinato che riceve 300 euro al mese dalla madre in Slovenia e di una ragazza Tanalana amica di Tina? Lo sono perché Nina è riuscita ad accalappiare un vazaha, magari senza conoscere bene, prima, il suo livello economico. Se si pensa che le ragazze malgasce vanno dall’ombiasy per impetrare l’aiuto di Zanahary a trovare un bianco come marito, si capisce che, povero o ricco che sia, un vazaha è sempre una risorsa umana e in ogni caso rappresenta un avanzamento nella scala sociale. Avere un figlio “pel blanche”, per dirla alla francese, è il massimo dello status simbol in Madagascar. Mitia, proveniente da Lubiana, mi ricordo di averlo visto aggirarsi spaesato in cerca di un ristorante ancora nel lontano 2006. Poi li ho visti insieme, lui e Nina e, quasi contemporaneamente, ho cominciato a frequentare Tina.

 
Per i primi anni Mitia si esprimeva in inglese e quindi erano ben pochi quelli che lo capivano. Ora che ha avuto un permesso di soggiorno decennale, parla bene anche il malgascio. Sicuramente meglio di me. Nina e Mitia hanno avuto un contenzioso con un Karana, che in teoria era proprietario del terreno su cui vivono. Se non che, il padre di Nina aveva fatto il guardiano per molti anni per il padre del Karana. Alla morte del vecchio, il padre di Nina aveva ereditato il terreno, ma il figlio non ci stava, ovviamente. Succede anche da noi. Portata la faccenda davanti al giudice, questi diede ragione al padre di Nina, che costruì la casa in lamiera in cui ora vive la coppia di sposi. Per tutta risposta, il Karana che ha visto sfumare l’eredità paterna, ha costruito un alto muro parallelo alla battigia, di modo che la sera Mitia non può più godersi la vista del mare a poche decine di metri, essendogli stato precluso questo piacere estetico. Il Karana l’ha fatto per vendetta o forse per invidia e gelosia.

A parte questo, nella casetta in lamiera, praticamente un monolocale, non c’è né luce né acqua, che deve essere comprata alla fontana e trasportata con taniche, come facciamo noi, che però abbiamo anche il pozzo nel cortile. Tina dice che Mitia passa la maggior parte del tempo disteso a letto a guardare il soffitto di lamiera. E questo va tenuto presente se ci si lascia andare a facili stereotipi pubblicitari, che ci portano ad immaginarci distesi su un’amaca, sotto le palme in riva al mare, con un cocktail ghiacciato a portata di mano. La realtà, per i residenti, può essere del tutto diversa da un depliant in carta patinata.

Nei primi anni del loro matrimonio, fatto con tutti i crismi, cioè con l’uccisione dello zebù, Mitia aveva qualche risparmio con cui lui e sua moglie si erano comprati sacchi di cemento, tondini di ferro, mattoni e piastrelle. Volevano costruirsi una casetta in muratura, sogno di ogni fanciulla che voglia metter su famiglia. Figli non ne erano previsti, perché Nina aveva già avuto alcuni aborti spontanei con il precedente marito malgascio. Fatto sta che a un certo punto si erano accorti che i soldi non sarebbero bastati e dalla Slovenia arrivava solo il sussidio materno di 300 euro, perché di più la madre non poteva. 

Così dovettero vendere tutto a prezzi stracciati, comprese le piastrelle al vicino hotel Al Shame, e accontentarsi di uno standard di vita di tipo malgascio. Le frustrazioni inevitabili che ne seguirono, crearono qualche screzio fra i coniugi, tanto che una volta, incassati i mensili 300 euro, Mitia andò a sbronzarsi al bar, pagando da bere a tutti i presenti. Nina dovette andare a recuperarlo, facendogli poi una lavata di capo da scorticarlo vivo. E questa è una scenetta che abbiamo già visto tante volte anche in Italia, e pure nel Friuli confinante con il paese d’origine di Mitia. Il quale conserva ancora sulla fronte la cicatrice del pezzo di duro carbone che sua moglie gli aveva scagliato addosso, in uno dei frequenti litigi, da ubriaco, in quel periodo di feroci disillusioni. Al di là delle umane debolezze, Mitia mi è simpatico, anche se, non possedendo un codice linguistico comune, non abbiamo molta comunicativa. Mi è simpatico perché ama i cani, a differenza di molti italiani e della totalità dei malgasci, che arrivano al punto, per invidia o gelosia, di avvelenare quelli del vicino.

2 commenti:

  1. SELVAGGI.
    C'è un proverbio che dice dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.
    Perché ti sei mischiato a questi baluba?
    A me fanno schifo, lo dico proprio chiaro.
    Sono già nauseata dalla barbarie di casa nostra, manco se mi pagassero a peso d'oro al mese andrei a mischiarmi con questa gente che vive da disperati, ma hanno il cellulare e l'ipod, ehhh troppo comodo.

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    1. Capisco il tuo modo di ragionare. In effetti, la maggior parte degli italiani residenti la pensa esattamente così, e anche i francesi suppongo, eppure c'è qualche fascino occulto dietro tutto ciò e continuano a viverci assieme.

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