domenica 15 maggio 2016

Semi di zizzania


Un animalista triestino che ho nelle amicizie Facebook, di nome Massimiliano Germani, mi ha lanciato una sfida morale: smettere di spargere semi di zizzania pubblicando articoli inerenti i presunti pericoli dell'immigrazione di stranieri. Il concetto non è nuovo e spesso lo sento espresso in tivù da esponenti di “sinistra” che invitano loro colleghi di “destra” a non fare sciacallaggio strumentalizzando i casi di cronaca nera che hanno per protagonisti gli stranieri. Anzi, se vogliamo andare ancora più a “sinistra”, come nel caso dei centri sociali, già l'uso della parola straniero è disdicevole e contiene a loro dire una certa parte di razzismo. “Nessuno è illegale”, “Clandestino non è reato” e “No ai confini”, per esempio, sono tre slogan di quegli anarchici che sono andati di recente a scontrarsi con la polizia al Brennero.


Dunque, sto io, con i miei articoli dall'amico Germani definiti xenofobi, spargendo semi di zizzania? Il dizionario m'insegna che tale espressione è sinonimo di diffusione di discordia e quindi, se io non volessi diffondere discordia tra africani in arrivo e italiani residenti, dovrei fare di tutto per creare concordia, cioè l'esatto contrario di discordia. Come posso creare concordia tra immigrati e indigeni? Immagino, per esempio, perdonando le loro scorrettezze come stupri, scippi, ubriachezza molesta e ruberie varie, compresi i colpi di matto in stile Kabobo. Dovrei quindi non solo perdonare, ma accettare di buon grado la loro presenza sempre più numerosa e prodigarmi a fornire cibo, riparo e accoglienza. Cosa che in verità gli italiani stanno facendo loro malgrado tramite le tasse che lo Stato sanguisuga estorce loro.


In questi termini, bisogna riconoscere che è una bella sfida. Per secoli gli italiani si sono comportati ipocritamente come insegnato dal clero cristiano, maestro d'ipocrisia, facendo orecchie da mercante riguardo agli insegnamenti di Cristo e ora, di punto in bianco, ci viene richiesto lo sforzo di mettere in pratica sul serio i principi cristiani secondo cui ogni uomo è nostro fratello. Se ogni uomo è mio fratello, ne deriva che devo trovare spazio nella mia casa al fratello in visita, anche se non si era annunciato e non era stato da me invitato. Insomma, è un fratello che ha voluto farmi un'improvvisata. La vita reale, che quasi mai coincide con i principi cristiani di amore fraterno, mi dice un'altra cosa. Mi dice “fratelli coltelli”. Mi dice “buoni steccati fanno buoni vicini”. Mi dice anche “l'inferno è lastricato di buone intenzioni”.


Pertanto, se dalle buone intenzioni possono nascere situazioni spiacevoli, se il cosiddetto fratello potrebbe rivelarsi una vipera in seno (vedi Esopo), se la convivenza sotto lo stesso tetto mostra statisticamente un alto numero di omicidi, incesti e violenze varie, perché dovrei aspettarmi che un estraneo, così come appare ai miei occhi, dovrebbe dimostrarsi così amabile con me una volta fatto accomodare nella mia casa? Io per esempio, non vado d'accordo con mia sorella e infatti non viviamo sotto lo stesso tetto perché natura e cultura occidentali vogliono che, una volta diventati adulti, si lasci la casa avita e ognuno vada per la sua strada, formando famiglia propria. Perché io dovrei mettermi in casa uno o più africani se questo è l'andazzo da sempre stabilito come regola sociale? Personalmente, già faccio fatica a vivere con me stesso e tutti i tentativi di convivenza con esponenti dell'altro sesso, che ho fatto in passato, sono falliti. Dovrei, ciò non di meno, accettare che un africano condivida con me i miei spazi vitali?


Per essere sinceri, ho provato a convivere con un'africana originaria del Madagascar, dopo averla legalmente sposata, ma il matrimonio è durato solo nove mesi e poi Tina ha voluto ritornare nella sua terra, scelta naturale e saggia. Presumo che anche gli africani che stanno arrivando qui ora vogliano, prima o poi, ritornare nella loro terra perché là sono nati ed ivi hanno le loro radici, come tutti i migranti. Quindi, se, come dicono, vengono in Europa per cercare lavoro, dopo qualche anno presumo che se ne vorranno tornare a casa loro. Idem con i rifugiati: quando la guerra nelle loro contrade finirà presumo che vorranno tornare da dove sono venuti, magari anche maledicendo i bianchi che gli hanno portato la guerra in casa. Il che sarebbe comprensibile.



Io che faccio fatica a convivere con un'esponente del gentil sesso, ho scoperto che invece un cane non mi crea gli stessi casini di una donna e infatti al momento con me vive una cagnetta ed entrambi siamo affezionati l'uno all'altra. Viviamo in pace senza litigare, anche se lei dipende da me per cibo e alloggio. Non le ho mai chiesto di dividere le spese d'affitto, tra l'altro. Certo, con un cane non si può intavolare un discorso troppo impegnativo, come ci aveva provato Giuseppe Berto, ma la cosa importante è che non rompa le palle come spesso fanno mogli e fidanzate. Idem, se fossi donna, potrei dire di mariti e fidanzati, ma questo è un altro discorso.


Ciò che mi preme sapere è, posto che sia auspicabile cercare la concordia piuttosto che la discordia (e qui sono d'accordo con Massimiliano Germani), fino a che punto devo spingermi per creare concordia con africani e arabi, che sono quelli problematici, visto che cinesi e filippini si sanno integrare senza problemi? Rumeni e albanesi meritano un discorso a parte. Fino a che punto devo chiudere un occhio con i loro atti criminali e la loro arroganza nel volermi imporre le loro regole?


Conosco Tina da molto tempo e i primi anni mi indispettiva la sua mancanza di gratitudine, perché dava per scontato che io fossi la sua banca personale. E che tutto le fosse dovuto. Ora, a forza di frequentarci, anche se in maniera discontinua nel corso del tempo, si è ammorbidita e qualche accenno di gratitudine nei miei confronti riesce ad affiorare. 


Ecco, se gli africani mostrassero rispetto e gratitudine sarebbero meglio accetti dagli italiani. E invece, le notizie che ci giungono sono di segno opposto: molti stranieri manifestano vero e proprio razzismo verso gli italiani che, loro malgrado, li stanno accogliendo. Sarà forse un problema di percezione? Può essere che ci venga mostrato il fenomeno come se lo guardassimo, ingigantito, attraverso le lenti di un binocolo? In questo caso avrebbe ragione Massimiliano Germani, perché si tratterebbe di episodi di criminalità compiuti da una minoranza e, nel complesso, del tutto insignificanti. 


C'è stato anche qualche esponente della Chiesa, per esempio, che ha giustificato gli stupri e le molestie accaduti in Germania a Capodanno, classificandoli come espressione di esuberanza di giovani carichi di testosterone e il governo tedesco ha divulgato, poi, opuscoli per spiegare alle donne come comportarsi durante gli stupri. In pratica è come se avessero invitato le donne a lasciarsi stuprare e a non opporre resistenza. Ecco, vorrei sapere se anche questo significa creare concordia anziché discordia.


Nella nostra cultura occidentale, che bene o male è sopravvissuta a 17 secoli di cristianesimo (tolgo i primi tre dell'Era Volgare poiché secondo me il cristianesimo è nato con Costantino) esiste il detto “Chi pecora si fa, il lupo se la mangia”. Ho il sospetto che tale principio sia universale e che anche arabi e africani lo conoscano. Dunque, se questa premessa è vera, un Papa che lava i piedi a un africano o una scuola che toglie i crocifissi dalle aule non sono visti come un atto volto a creare concordia, ma un atto di sottomissione dei bianchi a favore dei ….diversamente bianchi. Sottomissione che i musulmani conoscono molto bene, visto che Islam significa proprio quella cosa lì. Il che ci rimanda ai rapporti di forza, che sembrano essere caratteristica non solo del genere umano, ma del regno animale tutto, di cui l'uomo fa parte. I rapporti di forza, benché addolciti dall'idea di fratellanza cristiana, sono la norma di ogni essere umano, sia in senso verticale che in senso orizzontale. Ovvero, sia che sia tratti di gerarchia (lo Stato che comanda ai cittadini), sia che si tratti di persone pari grado (il cittadino che prevarica un altro cittadino).


Ne deriva che ogni e qualsiasi atto di concordia e amorevolezza verso i migranti è visto più come una debolezza che non come un atto nobile di buona volontà. La mano tesa per aiutare potrebbe essere morsa, come avviene spesso e volentieri a prescindere che si tratti di stranieri o di autoctoni. Probabilmente, l'ingratitudine fa parte della natura umana, non è di sicuro una prerogativa degli africani e storia e cultura occidentali c'insegnano che a pensar male si fa peccato, ma s'indovina. Anzi, in modo ancora più spietatamente cinico, ci dice: “Non fare il male ché è peccato, non fare il bene che è sprecato”. La Caritas, i cattolici, i papa-boys, i vetero comunisti e gli anarchici dei centri sociali avranno da sudare le proverbiali sette camicie, per tendere una mano ai migranti, ma dovranno scontrarsi con la realtà storica della mancanza di armonia tra gli esseri umani. Questa esisteva da molto tempo prima che cominciassero ad arrivare gli stranieri. Credo che tutti i cosiddetti buonisti dovranno tenerne conto, perché qui mi sento innocente, giacché non sono io a spargere i semi della discordia. 


Anzi, dovranno tenere conto del fatto che i principi del cristianesimo, nobili quanto si vuole, non hanno mai importato una cippa al clero cattolico o alle altre sette cristiane, né tanto meno ai governi laici guidati da chi giura sulla Costituzione e non sul Vangelo, ma ora, in questo momento storico, e con una precisa finalità, vengono strumentalizzati da coloro che detengono il vero potere, che non è quello di facciata, e se ne stanno ben nascosti nell'ombra.


Molte volte l'ho detto all'amico Germani e ad altri – se mi si consente il termine – cattocomunisti, ma senza venir preso sul serio. C'è una regia che muove tutte queste pedine. Loro, i migranti, li muove come una forza d'urto destabilizzante. Noi, gli autoctoni, per altro già attaccati su altri fronti, veniamo mossi come insieme di persone frastornate, stressate e vessate fino al punto di saturazione, sperando di aggiungere quella goccia che faccia traboccare il vaso, facendo scattare quella scintilla che faccia scoppiare qualche serio disordine sociale. Anzi, questo è proprio ciò che hanno in mente da molto tempo. Dal disordine, poi, passerebbero all'ordine: il loro.


Io non so se con i miei articoli, o con la scelta di pubblicare analoghi testi di altri autori, sto spargendo i semi della zizzania. Conto sull'apporto di brave e intelligenti persone come Massimiliano per evitare di farlo, ma non vorrei che anche i miei consiglieri (aggiungo anche quel caro amico di cui ho già parlato), stiano prendendo un abbaglio, sulla base delle loro convinzioni cristiane. Anch'io sono stato cristiano e so quanto affascinanti siano le idee di quel personaggio passato alla storia come Gesù Cristo, ma ciò non toglie che la zizzania potrebbero essere altri a spargerla o che magari sia già a un livello tale di fioritura che il mio apporto sia insignificante. Insomma, siamo ancora in tempo ad evitare la catastrofe? Siamo ancora in tempo ad evitare che i sionisti conosciuti come Illuminati attuino il loro piano di dittatura mondiale tramite il meticciamento dei popoli europei? 

 

1 commento:

  1. Gli Africani vengono senza essere chiamati.
    Per il discorso del gentil sesso è differente.
    Mi sa che qua ci sta a pennello la storiella della volpe e dell'uva.

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