mercoledì 14 dicembre 2016

Il gatto della Sabine


Il marcio è qui. E’ proprio vero che il pesce puzza dalla testa. Lo Stato fa finta di combattere la Mafia, gli USA fanno finta di combattere il terrorismo islamico e il governo del Madagascar fa finta di combattere la corruzione. Tutti e tre questi demoniaci organismi, Stato italiano, USA e governo malgascio, se veramente dovessero combattere Mafia, terrorismo e corruzione, dovrebbero suicidarsi. Non sto dicendo niente di nuovo, ma martedì 13 dicembre l’ho toccato con mano. E’ infatti giunto per me e Tina il fatidico momento di consegnare i documenti preparati da Francine a un’altra donna, Sabine, proprio all’interno della tana del lupo. Quando, uscendo dall’ufficio di Sabine perché dovevamo aspettare l’arrivo di un suo collega, quello veramente preposto al rilascio del permesso di soggiorno, Tina mi ha detto che le erano stati chiesti 400.000 ariary (120 euro) per….velocizzare la nostra pratica, sono stato categorico: non se ne parla proprio! E’ fuori discussione! Il “koly koly” può andar bene se si tratta di piccole somme e se un servizio è stato veramente svolto, ma quando si esagera, si esagera.




In un secondo momento, Tina mi ha spiegato che a chiedere tutti quei soldi è il titolare dell’ufficio “Carte di residenti”, un Merina dalla faccia che somiglia a un gatto e che, per tutto il tempo in cui si è fermato con noi nell’ufficio della collega, non faceva che occhieggiarmi con una faccia sorniona, con un sorrisetto stampato sul suo ignobile muso. Lombroso avrebbe qualcosa da dire in proposito. Sto parlando di un funzionario del ministero degli Interni, un raccomandato che è stato messo lì a prendere un lauto stipendio grazie a parentele con qualche pezzo grosso della politica e che si esercita nell’onorevole arte di spillare denaro ai vazaha che intendono stabilirsi in Madagascar. In questo, non è dissimile da tanti altri suoi colleghi di diverso grado, piccoli e grandi personaggetti disonesti che si credono furbi, essendo il “vazaha-profit” lo sport nazionale dei malgasci, dopo il “malgache profit”.




Aspettando seduti nel taxi del nostro autista di fiducia, Michel, di rientrare per le ultime consultazioni, il nostro autista ci ha parlato di uno spagnolo di nome Victor che da tre anni aspetta di avere la Carta di residente definitiva, avendo consegnato tutti i documenti nel 2013. Non avendo sottostato all’estorsione da parte dei funzionari, quello dalla faccia da gatto o altri, Victor Manuel Martinez viene tenuto nel limbo dell’incertezza. E non si sa per quanto ancora. Io sono disposto a fare la stessa cosa perché 120 euro, a ladri matricolati che approfittano del loro ruolo di potere, non glieli do neanche morto, anche se Tina mi ha fatto notare che io non chiedo di diventare un “definitivo”, ma solo di avere un permesso di soggiorno di due anni. Già è previsto un costo, per legge, per me, di 381 euro: cosa vogliono ancora?




Fatto sta che, come dice il proverbio africano secondo cui se si vuole una cosa si trova la strada, ma se non la si vuole si trova un pretesto, qualcosa che non andava nella mia domanda, compilata – è bene ricordarlo – da una funzionaria della prefettura di Tulear, doveva saltar fuori. Manca un certificato che attesti le mie risorse economiche, ovvero come farò a mantenermi in Madagascar per i prossimi due anni, senza rapinar banche, presumo. Quindi, quello che alle orde di africani clandestini, che arrivano in Italia, non viene richiesto in nome della cristiana accoglienza, a un vazaha che da dieci anni va in Madagascar - e ha sempre avuto i soldi per farlo - ora viene richiesto: dove trovo i soldi per mantenermi? A nulla è servito spiegare che sono di famiglia benestante, che ho lavorato tutta la vita mettendo da parte i risparmi, eccetera. Anzi, poi, nel taxi, in camera caritatis, ho anche dovuto subire le sfuriate di Tina, che mi rimproverava di aver parlato troppo e a sproposito.




Sono d’accordo, io non devo rendere conto di nulla al governo del Madagascar che, tramite i funzionari ivi convenuti, mi chiede un certificato di “héritage”, cioè un attestato nel quale si afferma che ho ereditato un grosso gruzzolo dal mio povero babbo. Pace all’anima sua. A questo punto, sarebbe stato interessante chiedere ai funzionari riuniti in consesso a quale autorità italiana, secondo loro, io dovrei chiedere un tale certificato: al municipio di Codroipo? All’autorità giudiziaria? Al governo italiano? A Matteo Renzi, per caso? Tanto vale, poiché un simile certificato in Italia non esiste, che i funzionari mi avessero chiesto di presentargli Babbo Natale. O di portargli in ufficio un unicorno.





Alla fine, si è trovata la via d’uscita, la soluzione alla mia...povertà di disoccupato. Ci tocca tornare a Tulear, iscrivere Tina al registro dei commercianti, farci rilasciare tutti i documenti richiesti dal ministero e tornare fra un mese a Tana, nella tana del lupo, di modo che il ricongiungimento familiare possa avere un senso ed essere valido e ufficialmente riconosciuto. Io, senza risorse economiche dimostrabili, mi farò mantenere da mia moglie, tralasciando il piccolo particolare che per il commercio di vestiti il capitale lo metto io. Il governo del Madagascar ha per ora incassato una prima vittoria, costringendo il commercio in nero, fatto finora da noi, a venire allo scoperto, cioè obbligando Tina a pagare le tasse. Ladri vampiri, solo chiacchiere e distintivo! Mafiosi impuniti, che Dio li maledica! In quanto ai 400.000 ariary di “koly koly”, il funzionario dalla faccia da gatto se li può scordare. E’ già tanto se daremo una piccola mancia alla sua collega Sabine.

2 commenti:

  1. "mi farò mantenere da mia moglie"

    E si era capito, se no, che ci andava a fare laggiù?

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    1. Fino a questo momento, e negli ultimi dieci anni, succede il contrario.

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