martedì 18 aprile 2017

Niente morti, solo puro amore


Mi avevano descritto la giornata di Pasquetta come una delle più nefaste che si presentano annualmente a Tulear, giacché c’è tanta di quella gente in giro, con qualsiasi mezzo di deambulazione, che l’indice degli incidenti, con relativi morti e feriti, schizza alle stelle. Solo nella stagione dei cicloni di febbraio si possono avere così tanti morti, per annegamento o per crolli delle abitazioni, ma qui siamo al 17 aprile, anche in Madagascar è un inverno un po’ anomalo e la gente non vuole rinunciare al pic nic con la famiglia. Due sono le mete preferite, se tralasciamo Miary: Ankilibe, dove pochi si arrischiano a fare il bagno perché l’acqua del mare è sporca e Mangily, dove spiagge e mare sono presi d’assalto. I tratti pericolosi sono dunque i 12 Km della RN7 dalla città ad Ankilibe e i 27 da Tulear a Mangily. Che quest’ultimo tracciato sia stato recentemente asfaltato, invoglia a correre e ciò fa aumentare le probabilità di incidenti. Avevo intenzione di partecipare all’evento, per documentare gli eventuali incidenti che avremmo trovato sulla strada, ma quando Tina mi ha detto che il mare di Mangily è occupato dai bagnanti fino all’ultimo centimetro d’acqua, ho cambiato idea. Siccome mi sono portato pinne e maschera, vorrei approfittarne un’ultima volta, considerato che l’acqua, benché sia inverno, è ancora calda.



Alla fine, abbiamo optato per una festicciola in cortile, sotto il mango, con Zemeny e alcuni bambini, che per altro erano già stati in passato. Di solito, non mi piace avere estranei per casa e questo è uno dei motivi di contrasto tra me e Tina, ma stavolta ho aderito senza fare obiezioni, poiché l’attaccamento che Tina ha verso i membri del clan, o etnia che dir si voglia, i Tanalana, è qualcosa di straordinario. Si sono presentate in cinque, un adulto, Zemeny, e quattro minori, quattro sorelle figlie della stessa madre: Sidika, Saniky, Franjelina e Asiky. Subito dopo Annika è rientrata insieme a Odillon e Sammy, la cui madre in questo periodo è a Ilakaka per lavoro, mentre quella delle quattro sorelle è a Besely nord. Zemeny e le piccole hanno portato due baguette e una lunga, contorta canna da zucchero, da tagliare a pezzi, scorticare per poi succhiarne il liquido zuccherino. E’ una consuetudine anche fra la povera gente di non presentarsi mai a mani vuote quando si va a pranzo da qualcuno.

Mentre Zemeny non ha voluto toccare il vino rosso argentino fino alle undici, io ho cominciato un po’ prima con il bianco di Fianarantsoa. Questo mi ha facilitato nel compito di intrattenere gli ospiti, abbassando la mia naturale ursaggine. A un certo punto, ho cominciato a fare il pagliaccio, con grande divertimento delle bambine. Con quello stentato malgascio che conosco, ho chiesto se Zemeny porterà via le bottiglie di plastica vuote la prossima volta che torna a Besely nord e ho cominciato a gettarle in cortile, prendendole dalla casetta degli attrezzi dove le conserviamo. La scena, per i piccoli, contando anche Odillon e Sammy, è stata esilarante. I giochi erano cominciati e, mentre le sorelle, a turno, si cimentavano con la bici di Annika, facendo un percorso circolare attorno al mango, io distribuivo figurine di cantanti, ritagliate da un foglio più grande. Aspettando il pranzo vero e proprio, i bimbi hanno gradito gli immancabili “kakapigeon” e le patatine di taro, oltre alle bibite. Nel pomeriggio, come dessert, insieme allo yogurt fatto in casa ci sono stati i “boko boko”. Ma io, nel pomeriggio, ero già fuori gioco.

Il pranzo, preparato da una Tina irritabile e autoritaria, è consistito in una una porzione di pasta corta al sugo di pomodoro, una di “composé” con verdure cotte e maionese, e un po’ d’insalata, tutto nello stesso piatto, come si usa qui per non sporcare troppe stoviglie. Anche così, i piatti che poi mi sono ritrovato a dover lavare, visto che quello è il mio compito, erano una montagna, praticamente tutti quelli che avevamo in casa. Il bello è venuto subito dopo pranzo. Spostate le stuoie più vicino alla casa, da dove proveniva la musica ritmica amata dai malgasci, con lo stereo a tutto volume, il decenne Odillon ha cominciato a ballare. Io l’ho imitato e per una buona mezzora è stato il mio maestro di danza. L’alcol in corpo era al livello giusto, la musica mi aveva acchiappato e io mi sono lasciato andare a sfrenati sculettamenti e agitamenti di braccia e gambe, seguendo i movimenti tipici dei balli malgasci. A dieci anni, Odillon ha incamerato quanto basta per sembrare un vero ballerino. E anch’io ho fatto la mia sporca figura.

Ovviamente, ho ballato tutto il tempo tenendo nella mano destra il “kobay”, il bastone appuntito degli “ombiasy”, cosa che fa di me uno stregone bianco, anche senza altri segni distintivi. L’Ombiasa vazaha è un ruolo che mi sembra congeniale e da tempo medito di comprarmi un filo di perline colorate, da portare al collo, come quelle usate dagli stregoni e un cappello a lobbia di feltro che è il copricapo caratteristico di chi pratica la magia in Madagascar. Certo, dovrei portare anche i sandali, la giacca scura, un pareo a mo’ di sciarpa e i calzoni corti, per sembrare in tutto e per tutto un “ombiasy”, ma non credo che arriverò a tanto. Per ora, ho solo il mio “kobay”, interamente in legno e senza punta di ferro. Non è quindi un vero “lefo”, una lancia, e se andassi in giro così per la città non violerei nessuna legge. Solo mi farei ridere dietro dalla gente, che mi prenderebbe per un vazaha “adala”, scemo.

C’è però un modo per andare in giro in città con un bastone in mano, che è, non dimentichiamolo, un simbolo di comando, come lo scettro per i re, ed è quello di tenere in mano un’asta di “manjakabetana”, un albero sacro, contorto come una pianta rampicante, che viene lavorato, levigandolo, e può diventare sia un bastone da passeggio, sia, se di spessore maggiore, un elemento decorativo da tenere in casa. Anche lui, senza ballare, fa la sua sporca figura e se la gente mi vedesse andare in giro così, non penserebbe che sono scemo, ma un turista innamorato delle bellezze del Madagascar e che ha appena comprato un oggetto rispettabile, la cui rispettabilità, in parte, si riverserebbe su chi lo detiene.


La più piccola del gruppo, la più birichina, Sidika, prima di congedarci ha giocato un po’ con me, tirandomi foglie di mango, finché non l’ho presa in braccio, sotto l’occhio vigile della nonna Zemeny, e ho ammirato la sua carnagione: marrone come la Nutella. Credo che il colore della pelle sia ciò che di più affascinante noi bianchi troviamo nelle donne malgasce. Io, seduto sotto il mango, l’ho agguantata e lei si è lasciata andare come una gattina pigra, allungandosi di traverso sulle mie gambe e facendo ciondolare la testa. La similitudine tra donne e gatte non è certo una novità e l’eterno femminino, di cui parlava Goethe, lo si può trovare anche in una bambina di cinque anni. Ad ogni latitudine. Il 9 maggio prossimo, secondo le mie previsioni, vorrei ripetere la festa, essendo il compleanno di Tina e per allora spero di avere la collanina di perline colorate, la lobbia di feltro e il bastone di “manjakabetana”. La mia marcia verso le scienze magiche procede, anche se solo esteriormente.  

2 commenti:

  1. Due cose: la prima, tutte le foto dell'artocolo moattano visi sereni e sorridenti il ché fa pensare a quando poco evidentemente serva per essere contenti. La seconda évimmaginafe coms un friulano sia diventato (quasi) uno stregone laggiù, magari anche per la dimestichezza culturale che in Friuli viene (non sempre) tramandata. Certo che in video dei tuoi balli avrebbe attratto molti utenti... sarà per la prossima, il 9 maggio, giusto? Mandi

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    1. Mi piacerebbe organizzare una festa anche prima del 9 maggio, perché mi sono troppo divertito, ma Tina è cauta. C'è un certo imbarazzo da parte sua quando sono leggermente....brillo.

      Vedremo.

      Intanto, cominciamo a sfatare la diceria che a me non piacciano i bambini.

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