Fonte: Lifegate
In un villaggio della
Cisgiordania una trentina di famiglie palestinesi sono rimaste senza
elettricità, gli israeliani hanno confiscato l'impianto fotovoltaico
donato dal governo olandese. Israele ha confiscato un
impianto fotovoltaico donato al villaggio di Jubbet Adh Dhib,
in Cisgiordania,
dai Paesi Bassi nell’ambito di un programma di aiuti alla
popolazione palestinese. Il progetto era costato mezzo milione di
euro e il suo epilogo ha suscitato le proteste del governo olandese
che ha presentato una denuncia formale al governo israeliano. L’impianto per la produzione
dell’elettricità, ora smantellato, era costituito da un sistema
ibrido di diesel e solare che,
completato un anno fa, dava energia ai 150 abitanti di Jubbet
al-Dhib, un villaggio sulle montagne a circa 6,5 chilometri a sud est
di Betlemme. L’impianto fotovoltaico è stato
confiscato, secondo fonti israeliane, perché non aveva i permessi e
le autorizzazioni necessarie. Alcuni osservatori sottolineano che i
permessi di costruzione di nuove case e infrastrutture palestinesi
sono quasi impossibili da ottenere. Questo fa sì che, spesso, le
agenzie umanitarie non richiedano nemmeno i via libera necessari
affidandosi alla buona volontà di Israele. Razzia e distruzione:
quel che rimane dell’impianto fotovoltaico donato dai Paesi Bassi. Il sindaco del villaggio ha
detto all’agenzia Ma’an
News che opera nei territori palestinesi che i pannelli sono
stati distrutti; Comet-ME,
l’organizzazione umanitaria israeliano-palestinese che ha
installato i pannelli, ha fatto sapere che circa 60-90 pannelli sui
96 complessivi sono stati tolti senza alcun danno mentre il resto
delle attrezzature è stato distrutto dalle forze israeliane
intervenute. Il ministero degli Esteri olandese ha chiesto che
l’attrezzatura venga restituita a Jubbet al-Dhib e, secondo il
quotidiano israeliano Haaretz, sta valutando possibili ulteriori
passi da intraprendere per risolvere la questione.
Il costo dell’apparecchiatura
confiscata o danneggiata è stato valutato in circa 40mila euro,
anche se i danni sociali sono “molto maggiori, dal momento che il
loro sequestro ha subito portato alla perdita della possibilità di
utilizzare energia per le 30 famiglie del villaggio e i suoi edifici
pubblici” ha scritto Haaretz. Lo stesso quotidiano ha aggiunto che
“La decisione dell’amministrazione civile israeliana di non
concedere una licenza per l’attuazione del progetto per portare
l’energia solare nel villaggio di Jubbet al-Dhib significa privare
i residenti palestinesi dei loro diritti umani più semplici,
l’accesso ai diritti fondamentali quali l’istruzione, la salute,
il diritto al lavoro e il senso d’umanità”. La popolazione palestinese
contesta all’agenzia militare israeliana Cogat,
responsabile del coordinamento della politica israeliana nelle aree
palestinesi, il mancato preavviso su quanto stava per succedere. A
quanto riferito dai residenti del villaggio, nulla era trapelato fino
al momento in cui gli israeliani hanno agito. Viceversa, Cogat ha
dichiarato di aver ripetutamente informato la cittadinanza il giorno
prima allo smantellamento della struttura. Jubbet al-Dhib si trova
molto vicino ai villaggi israeliani di avamposto, insediamenti
illegali non solo secondo il diritto internazionale ma anche per
quello israeliano, dove invece esiste il collegamento alla rete
elettrica principale. Una situazione complicata se si pensa che,
secondo quanto riferito da un ufficiale militare israeliano citato in
un reportage del
quotidiano israeliano The Jerusalem Post, dal 2010 sono state
abbattute il 40% delle strutture illegali palestinesi presenti
nell’Area C e nel 2016 sono state più di 300 le strutture erette
grazie al sostegno delle organizzazioni umanitarie internazionali o
con l’aiuto dell’Unione Europea demolite dalle autorità
israeliane.
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