domenica 29 ottobre 2017

Dopo Anna Frank, Tal Flicker



Quanto successo negli Emirati Arabi Uniti dove un judoka israeliano, Tal Flicker, dopo aver vinto la medaglia d’oro nel torneo Grand Slam ad Abu Dhabi si è visto negare l’inno nazionale dopo che gli arabi avevano impedito persino di indossare le divise con il nome di Israele, è qualcosa che non può passare in sordina nel comitato olimpico e negli organismi sportivi mondiali. Negare l’inno nazionale a un atleta di una nazione democratica è un fatto di una gravità inaudita, un fatto che se non adeguatamente affrontato si potrebbe ripetere in altre manifestazioni sportive organizzate dai paesi arabi. Cosa succederebbe per esempio se Israele dovesse qualificarsi per i mondiali di calcio che si terranno in Qatar nel 2022? Cosa fanno, non li fanno giocare? Li fanno giocare con la maglietta anonima? Non suonano l’inno israeliano all’inizio delle partite?



Non si può lasciar correre su questo gravissimo episodio perché se lo si accetta oggi, domani i paesi arabi nei quali si svolgono manifestazioni sportive si sentiranno liberi di rifarlo. L’odio anti-israeliano è già sufficientemente presente nelle manifestazioni sportive per essere tollerato ulteriormente per di più con un atto gravissimo qual è stato quello commesso dalle autorità sportive degli Emirati Arabi Uniti. E francamente c’è da rimanere basiti del fatto che nessuno tra le “grandi democrazie” occidentali non abbia trovato nulla da ridire, come se fosse una cosa normale, come se trasformare una manifestazione sportiva in un attacco politico a una intera nazione fosse del tutto normale. Stando così le cose l’unica azione sensata che rimane da fare è vietare le manifestazioni sportive nei paesi arabi, ripagare la loro discriminazione con la stessa moneta. Di trasformare lo sport in una corsa all’odio antisemita ne abbiamo abbastanza.

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