Il cocktail

Versare in un bicchiere lo spaesamento che coglie normalmente le persone in terra straniera, aggiungere la sensazione di essersi pentiti di venire in Italia, diluire la consapevolezza di sé con abbondanti dosi di alcol e mescolare il tutto. Ecco servito il migrante che afferra un coltello da cucina e comincia a dare fuori di matto. Gli astanti ci mettono un attimo a chiamare le forze dell’ordine, che provano prima a neutralizzare l’energumeno con peperoncino spray (il teser cosa l’hanno inventato a fare?), per poi passare alle maniere forti con proiettili veri, di piombo, per fortuna sparati alle gambe. Ammettiamo che non si sia trattato di manipolazione mentale eterodiretta messa in opera da strutture militari segrete nell’ambito della guerra psicologica in atto, non sarebbe il caso, visto che ormai il migrante si trova qui, fargli il piacere di rimetterlo in seno al suo contesto sociale, caricandolo su un aereo, uno qualunque purché diretto in Africa? Nella sua terra, da cui si sente sradicato, episodi del genere non si sarebbero verificati, ma nella malaugurata ipotesi che anche laggiù andasse fuori di testa, ci penserebbero i suoi concittadini a legargli un pneumatico al collo e a dargli fuoco, com’è consuetudine da quelle parti. Tutto sommato, gli è andata bene di aver preso solo qualche proiettile nelle gambe, a Milano, ma è meglio se se ne torna a casetta sua. E’ meglio prima di tutto per lui.