Testo di Paolo Sensini
Siccome il genere umano è composto da due polarità, maschile e
femminile, se si parla di "femminicidio" allora si dovrebbe
introdurre anche il termine "maschicidio". Ma è
palesemente un assurdo, perché c'è una parola che le sintetizza
entrambi: omicidio. Come tutte le morti, quella di una donna per mano
di un uomo è una tragedia. Ma il "femminicidio" –
termine osceno visto che scinde il valore di una persona a seconda
del genere sessuale – è uno di quei crimini che è sempre esistito
e sempre esisterà. Non è "eliminabile" per legge, come
dimostra l’approvazione del reato servito solo a scardinare il
sistema giuridico creando fattispecie ad hoc rispetto
all'universalità del Diritto. Esattamente come non è eliminabile il
reato di infanticidio, vecchicidio o il dramma del suicidio. I
cosiddetti "femminicidi" sono stati nel 2016 poco più di
100, cioè "solo" il 30% del totale degli omicidi:
significa che vengono uccisi oltre il doppio degli uomini rispetto
alle donne. Il che non è strano, ma pone l’Italia ai minimi al
mondo in quanto a omicidi di femmine.
Dunque campagne mediatiche
apparentemente slegate ma virali sulle cosiddette quote rosa,
violenze di genere, molestie, femminicidi, discriminazioni e
quant'altro sono dei grimaldelli politicamente corretti che servono
per alimentare vittimismo e trarne spesso vantaggi del tutto
indebiti. Se ne deduce, dai freddi numeri, che l’emergenza
"femminicidio" è quindi un'invenzione mediatica creata per
accalappiare fondi pubblici e posizioni di potere da parte delle
associazioni boldrinesche. Insomma è solo business mediatico o, per
dirla con un termine oggi molto di moda, una bufala.
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