domenica 29 aprile 2018

L’integrazione è impossibile: la mia testimonianza


Cercherò di essere il più obiettivo possibile, perché non ci tengo a passare per razzista, e mi limiterò a raccontare cosa mi è successo ieri sera, arrivando però alla conclusione, spero corretta, che non ci può essere alcuna forma di integrazione fra etnie differenti.

Il primo antefatto. Gana è una grassa donna del Senegal, sposata a un omone alto due metri, anche lui originario dello stesso paese. Vivono in una casa popolare di Sedegliano e hanno un numero imprecisato di marmocchi, quelli che gli hanno permesso di scavalcare la graduatoria delle altre persone in lista d’attesa per le case ATER. La signora Gana si è avvalsa dei miei servigi in qualità di autista già diverse volte. La portavo dalla stazione di Codroipo a casa o, viceversa, l’andavo a prendere a Sedegliano, che dista poco più di 5 Km, per portarla in stazione. Di mestiere vende bigiotteria comprata dai cinesi. Suo marito fa il buttafuori in una discoteca. Almeno, questo è ciò che sapevo fino a ieri sera quando sono andato a prenderlo in stazione, previa telefonata della moglie, che mi avvisava del suo arrivo.



La prima avvisaglia l’ebbi quando una sua compatriota, che mi era stata presentata come sua sorella, mi doveva 5 euro e la volta successiva in cui Gana chiese i miei servigi, ne approfittai per domandarle se poteva saldare il debito. Mi rispose che lei rispondeva solo per se stessa e che Nay rispondeva per sé. “Ma è tua sorella”, replicai. Allora mi spiegò che loro si chiamano sempre sorelle, ma è già tanto se vengono dallo stesso villaggio, se non dalla stessa nazione. E dunque, in Senegal, secondo il modo di dire di Gana, ci sono 14 milioni di fratelli e sorelle. Vabbé!

Il secondo antefatto. Una sera c’era mia figlia ospite da me, a Codroipo, poiché abitualmente vive a Trieste. Mi chiama Gana e mi chiede di andarla a prendere in stazione per portarla a casa. Era buio e Gana sapeva, come le avevo detto fin dal principio, che di notte applico una tariffa superiore, in quel caso di 10 euro. Smontata dalla macchina davanti a casa sua, Gana mi allunga 5 euro e mi dice: “Scusa sai, ma non ho venduto niente. Oggi ti posso dare solo 5 euro”. Non volendo fare storie in presenza di mia figlia, che era rimasta seduta davanti, dissi a Gana che per quella volta andava così, ma che la cosa non doveva diventare un’abitudine. Mi accorsi, mentre lo dicevo, che non capiva il senso di quella frase. Poiché ero di buon umore, forse a causa della presenza della figlia, evento abbastanza raro, salii in macchina e diedi la banconota alla fanciulla, sangue del mio sangue. La domanda che a questo punto un provetto autista dovrebbe porsi è: “E’ mai possibile che i clienti stabiliscano da se stessi la cifra da pagare?”. Oggi la scusa è che non ha lavorato abbastanza; domani sarà che non ce la fa ad arrivare a fine mese; dopo domani sarà che ha speso molti soldi per le cure mediche dei suoi bambini. E io? Devo lavorare sotto costo? Sto facendo volontariato, per caso?

Il terzo antefatto. Vado a prenderla di mattina, pochi giorni fa e, come di consueto, la porto in stazione. Una volta fermi, stando ancora seduta dietro, mi allunga i soliti 5 euro. Le dico: “Guarda che me ne devi ancora cinque”.
“Ma come, non hai detto che di notte sono 10 e di giorno 5?”
“Forse te l’avrò detto mesi fa e quello è il prezzo vecchio. Ora applico 10 per Sedegliano, anche di giorno, e dovrei chiederti 15, di notte, ma ti ho sempre fatto uno sconto”.
Scende. Faccio il giro della macchina e senza arrabbiarmi le dico che non sono per niente soddisfatto. Richiudo la portiera e me ne torno a casa. Lei si avvia verso il binario a prendere il treno. Già ho dovuto combattere con due coppie di Sinti che mi facevano dannare l’anima con i pagamenti, una discussione dietro l’altra, tanto che, se è vera la teoria psicosomatica delle malattie, è anche per quello che mi sono ammalato. Ora devo combattere pure con i senegalesi e sempre per la loro ritrosia a pagarmi il dovuto. So di essere onesto e tendo spesso a fare degli sconti, ma è come se fossero invisibili. Gli sconti che applico non vengono percepiti e siccome l’abitudine che hanno in patria è quella del mercanteggiamento, a cominciare dai marocchini che sono abilissimi in questo, ne deriva che Gana e gli altri ragazzi del Senegal che vivono a Sedegliano m’impegnano ogni volta in snervanti trattative su somme risibili. Siccome sto cercando di salvaguardare la mia salute, sia con medicine di farmacia sia con quelle di erboristeria, e non ho bisogno di un lavoro stressante, non vorrei avere una ricaduta, ma dopo lo scherzetto dell’altra mattina, ho rimuginato a lungo sulle parole da dire a Gana per darle il benservito, cioè per farle capire che non mi deve più telefonare. Come è successo ieri sera.

E allora veniamo a ieri sera. Gana mi chiama e mi dice: “Puoi andare a prendere mio marito che arriva in stazione fra venti minuti?”.
“Va bene”.
Mentre aspettavo che arrivasse il treno, mi chiedevo quali frasi usare per dirgli che sua moglie mi doveva 5 euro e che quindi gli avrei chiesto 10 euro per la corsa, più i 5 del debito di Gana. Arriva e subito incontra un bianco suo conoscente, che gli chiede dove abita e si offre di portarlo a casa (poi nessuno dica che i bianchi sono razzisti!). Ma l’omone, vedendo me in piedi vicino alla mia macchina con le portiere spalancate, gli risponde che aveva già chiamato il taxi e che doveva venire con me. Infatti, si accomoda ed è allora che gli dico:
“Tua moglie mi deve 5 euro”.
“Chiediglieli a lei. Io non li ho!”.
“Ma, fra poco salgo in casa tua e me li date, se volete ancora i miei servigi”.
“E chi ti dice che mia moglie è a casa. E’ in treno, in questo momento”, aggiunge l’omone.
“Ma scusa, è tua moglie”, insisto io.
Ma lui, niente! E allora, rivoltomi a quel suo conoscente bianco che si era offerto di portarlo a casa, dico: “Se lo porti via! Questi vogliono farmi lavorare gratis. Basta prendermi in giro!”. E, rivolto all’omone: “Dì a Gana che non mi telefoni più!”.
“Apri il bagagliaio”, è stata la sua risposta. Ha preso i suoi bagagli e si è avviato verso il gentile bianco che gli aveva promesso un passaggio. Io me ne sono tornato a casa, dopo aver fatto un’uscita a vuoto. Fra pochi giorni prenderà l’aereo per tornare in Senegal per un breve periodo – lo so perché era stata Gana a dirmelo – e non ha 5 euro per saldare un debito di sua moglie. Non so se fa il buttafuori o se vende collanine anche lui, di fatto mi sono limitato ad alzare la voce, protestando per l’ingiustizia che mi veniva fatta, ma soprattutto per la mancanza di rispetto nei miei confronti. Non sto facendo volontariato, non mi piace essere preso in giro e loro devono smettere di considerare i bianchi come polli da spennare. Mi basta aver sposato una malgascia che, quando io sono in Madagascar, si comporta nello stesso identico modo.

I Sinti dopo avermi minacciato e insultato, non si sono più fatti sentire. Grazie a Dio. I senegalesi spero facciano la stessa cosa, cioè mi lascino in pace e si arrangino a fare quei 5 Km tra Sedegliano e Codroipo. Si rivolgano a qualche altro autista (mi risulta che a Codroipo ce ne siano altri due), sempre che anch’essi non si rifiutino di soddisfare le loro richieste. Oppure, provino a chiamare un radiotaxi per rendersi conto delle cifre che i tassisti chiedono normalmente. Una volta resisi conto delle cifre reali, rimpiangeranno forse quelle irrisorie che gli chiedevo io.


Morale della favola. In Italia, tra italiani e africani, benché residenti da anni e capaci di parlare la nostra lingua, non ci può essere un rapporto paritario, come non c’è mai stato nel mio matrimonio malgascio, a meno che il bianco non elargisca benefit ai negretti ospiti, come fa la Caritas, le cooperative rosse e il famoso prete Biancalani. Finché il bianco paga, va tutto bene, ma se il bianco vuole essere pagato, per la prestazione di un servizio come nel mio caso, allora scattano le strategie per parassitarlo e sfruttarlo con relative lacrimevoli manipolazioni. Idem con Sinti e Rom. Benché di pelle bianca e caucasici come noi, basta la parlata diversa, l’origine balcanica e la vecchia ruggine assopita fra le due etnie per portare alla fine al disastro. D’ora in poi, se qualche nuovo cliente dovesse chiamarmi, mi accerterò della sua etnia di appartenenza e, a costo di apparire razzista (ma in realtà è solo legittima difesa) dirò, con tatto e il meno rudemente possibile: “Non trasporto Negri né Zingari. E nemmeno asiatici senza documenti.  

2 commenti:

  1. Brutto da dire ma è la sacrosanta verità! Sta gentaglia crede che tutto sia loro dovuto. In Italia hanno trovato la cuccagna. Gente che si straccia le vesti per loro e insensibili ai problemi dei propri connazionali!

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    1. Credo che ciò dipenda dalle Missioni, sia cattoliche che protestanti.
      Massimo rispetto per i missionari, tanto che anch'io ho meditato spesso di fare il missionario laico, ma in un certo senso è come se li avessimo viziati.

      Si è creato il cliché - una specie di circolo vizioso - che deve essere il bianco ad aiutare il nero. E lo stesso schema mentale se lo sono portati dietro migrando nei nostri lidi.

      Quando poi incontrano un bianco che vuole essere pagato per un servizio prestato, le cose nella loro testa vanno in corto circuito e il bianco, che vorrebbe trattarli come tratta tutti gli altri clienti, viene accusato di essere razzista.

      Davvero un bel pasticcio, sul piano psicologico e comportamentale.

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