martedì 26 marzo 2019

Io sono un bastardo


Passeggiando con il cane al di fuori del parco delle Risorgive, un giorno incontrai alcuni archeologi al lavoro sul sito del Castelliere di Codroipo. Siccome mi spiegarono che le popolazioni dell’età del bronzo che lo abitavano non avevano nome, decido ora, per proseguire nella stesura di questo articolo, di chiamarle Popolazioni X. Non è facile immaginare l’evolversi e il dipanarsi del tempo, con tutte le generazioni che si sono susseguite facendo le stesse cose ogni giorno, mangiando, dormendo, cacciando e riproducendosi all’interno delle loro luride capanne, ma possiamo immaginare il giorno in cui quelle popolazioni si ritrovarono faccia a faccia con degli invasori, nomadi migranti provenienti da altrove. Di primo acchito, immagino sia scattato nelle popolazioni X un sentimento di diffidenza, unito a comportamenti difensivi. Poi, se gli invasori non erano particolarmente ostili, potevano subentrare atteggiamenti di socializzazione con relative collaborazioni, superando le inevitabili differenze linguistiche. Tutto dipendeva dallo spirito che animava gli invasori e dalle disposizioni che venivano impartite dai loro capi. 


Gli invasori hanno un nome: Celti e sappiamo anche che venivano dal nord. Per secoli vissero qui e diventarono parte integrante dell’ambiente. Non furono più invasori, ma a partire da un certo momento divennero stanziali, padroni assoluti del territorio. Ma anch’essi un giorno vissero la stessa esperienza delle Popolazioni X: si ritrovarono faccia a faccia con altri invasori, questa volta provenienti da sud: i romani. Non fu facile la convivenza, perché se c’è una cosa che sappiamo bene dei romani è che avevano un esercito ben organizzato e quindi dove arrivavano loro stabilivano il “castrum”, l’accampamento, che poi diventava villaggio. Gli indigeni dovettero adattarsi alla presenza dei nuovi marziali colonizzatori e imparare il latino. La lingua celtica andò perduta, ma non del tutto, poiché si mescolò con la lingua di Roma e ne venne fuori il dialetto friulano, affatto diverso dagli altri dialetti italiani. Un nome, a partire da un certo momento, lo si può dare a quelle popolazioni, discendenti delle Popolazioni X: protofriulani. Almeno, a me piace chiamarli così.

Anche costoro dovettero, più volte nella loro storia, fare l’esperienza dei loro antenati e si ritrovarono faccia a faccia con stranieri invasori. Ve ne furono di due tipi, quelli ostili e quelli pacifici. I primi dietro di sé non lasciarono tracce durature sul piano etnologico e culturale, ma solo sangue, morte e distruzione. Degli Unni dagli occhi a mandorla e degli Ungari, che non saprei nemmeno descrivere, per fortuna non c’è traccia nel mio DNA, per la semplice ragione che le donne che incontravano, invece di fecondarle, le stupravano e poi le uccidevano. C’è anche una terza eventualità: le vendevano come schiave. A chi, non so. Gli Avari, per esempio, fecero così e su di essi sappiamo anche altre cose che dirò fra poco.

Fra gli invasori pacifici possiamo senz’altro mettere i Longobardi, che ebbero come patria d’origine la Danimarca, ma che vennero in Friuli dopo aver passato 400 anni in Pannonia. Da quel che so, i Longobardi cercavano una patria, piuttosto che bottino di guerra come Unni e Ungari, tanto che fondarono città, la più famosa delle quali è Cividale, ma anch’essi, come tutti i gruppi etnici che li avevano preceduti, fecero l’esperienza dell’incontro con invasori. Cividale fu posta sotto assedio, dopo che il duca longobardo Gisulfo II era stato ucciso. Sua moglie Romilda si trincerò nella cittadina, che non fu espugnata con le armi, ma ceduta agli Avari proprio dalla duchessa, che fece una brutta fine e che passò alla storia come traditrice del suo popolo. Oggi in Italia, in fatto di traditori del popolo, abbiamo purtroppo molti tristi esempi. 

Sorvolo sugli invasori dei secoli seguenti, franchi, veneziani, francesi, austriaci e, dulcis in fundo, piemontesi. Ormai, i protofriulani avevano capito che salvare la pellaccia era preferibile piuttosto che resistere in armi contro gli invasori, dal momento che falci, zappe e forconi non possono competere con archi, frecce, spade ben temprate e archibugi. Da qui, dal chinare il capo in segno di sottomissione, nacque – si dice – il carattere remissivo e rassegnato dell’indole friulana. Tuttavia, le persone che frequento una volta al mese, con regolarità, friulanisti convinti, sono la testimonianza vivente che se anche i friulani non si sono mai ribellati all’invasore di turno, mantengono viva dignitosamente la propria peculiare identità. La storia insegnata a scuola dice che il Friuli fu assegnato all’Italia nel 1866, cioè cinque anni dopo l’unificazione italiana, ma quel giorno ci furono anche dei preti che fecero suonare le campane a morto, in segno di lutto, perché chi cambia la strada vecchia (gli austriaci) per la nuova (i piemontesi), sa quel che lascia, ma non sa quel che trova. Possiamo dire, col senno di poi, che quei preti che assistettero impotenti all’annessione all’Italia l’avevano vista giusta.

Ma il colpo di grazia all’identità dei friulani venne molti anni dopo con Mussolini. Bisognava estirpare la lingua, veicolo naturale d’identità. Perciò i ministri fascisti della pubblica istruzione inviarono in Friuli mia nonna materna da Stradella, in provincia di Pavia, e mio nonno materno da Urbino, che si sposarono mettendo al mondo mia madre. La quale sposò mio padre che era un friulano da molte generazioni. Ne nacqui io, che sono un bastardo con la pretesa di sentirsi intimamente friulano, pur non parlandone abitualmente la lingua. Oggi mi considero un sovranista identitario, consapevole che gli spostamenti dei singoli migranti non si possono fermare, mentre quelli dei popoli non solo li si può fermare, ma li si deve fermare nel caso in cui manifestino l’intenzione di rendere schiavi gl’indigeni, sul modello degli Unni e degli Ungari.

Purtroppo, i registi che stanno dietro l’attuale migrazione di masse umane dall’Africa e dall’Asia, sapendo quali possono essere le reazioni degli abitanti del posto, fanno venire i migranti alla spicciolata, senz’armi e con sembianza miserevole e bisognosa d’aiuto, così da intenerire il cuore dei locali. L’illustre precedente di tale inganno è quel famoso cavallo di legno ideato da Ulisse, all’interno del quale si celava l’insidia per i troiani. I quali, ubriachi per i festeggiamenti per la presunta vittoria sui greci e addormentati com’erano, si lasciarono cogliere in un momento di debolezza, esattamente come noi europei che, ubriachi di opulenza materiale e ipnotizzati dalla quinta colonna dei cattocomunisti, traditori della patria in stile Romilda, ci lasceremo cogliere in un momento di debolezza, resi vecchi e incapaci di difenderci da decenni di attacchi alla famiglia e alla fecondità delle nostre donne.

Il massacro che si prospetta ha un carattere epocale, i nuovi italiani saranno di pelle scura, ma al mio amico friulanista, laureato in storia e ammiratore di Alessandro Barbero, va bene così. E su queste nostre opposte visioni della storia litighiamo in continuazione, perché io sono un bastardo d’altri tempi e ragiono alla vecchia maniera. Il mio destino è segnato, il nostro destino di italiani caucasici, ma è stato un onore per me aver suonato con voi questa sera.

10 commenti:

  1. Un post da cui traspare l'amore per la tua terra e le sue genti. E' vero che nel corso della storia tutto è cambiato. Il problema dell'oggi è che cambia per volere di pochi, attraverso una strategia di colonizzazione e dissoluzione per nulla naturale, con il fine unico di creare una massa umana indistinta e litigiosa e quindi sottomettibile e ingannabile.
    Permettimi di dire che il nemico numero uno delle attuali identità locali è la pubblicità, l'arma più subdola, insidiosa e potente che il potere abbia mai posseduto. Ciao Furlàn!

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    1. Concordo con quanto dici.

      Lo storico Alessandro Barbero lo ammiro anch'io, non solo l'amico con cui litigo quasi ogni giorno.

      Barbero spiega che gli italiani, 500 anni fa, non esistevano. E che, ugualmente, fra 500 anni, non esisteranno, non come sono adesso.

      Ammettendo che l'umanità intera non si estingua prima, fa impressione l'idea che gli italiani, e con essi la loro cultura, siano esistiti e poi scomparsi nell'arco di 1.000 anni.

      Sic transit gloria mundi.

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  2. È la celebrazione della fine del mondo. L'animalesca legge del più forte che non doveva valere per gli umanoidi e che invece vige e come se vige. Il totale successo del progetto padronale. Avere tanti schiavi che combattono tra di loro per dare lustro e magnificenza al re ed alla regina.

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  3. Ho letto con trasporto l’articolo, poiché da friulano ne faccio parte. Porto un cognome che indica la mia provenienza, slava, ma sono friulano da generazioni e generazioni. Il nostro Friuli in duemila anni ha subito 48 invasioni, la Val Vipacco era la porta della via dell’Ambra con la via costiera, in seguito la porta dei popoli assoggettati a Roma chiamati barbari. Eppure in questa mescolanza é nato il friulano, uomo e cultura. Un discorso che potrebbe valere per tutti i posti, perché nero più bianco mescolati creano un nuovo colore, il grigio non é trasparente.
    Mi preoccupo molto di più della nei lingua o della non cultura. Un esempio? L’altra mattina in radio, una pubblicità faceva parlare un ... coffe maker (??!???) credo barista, ma la stupidità di chi ha ideato questo réclame e di chi lo ascolta passivo aiuta al cambiamento... trasparente.
    Serve la diversità per definire sè stessi, senza non avremmo confronti e perderemo prima di tutto la coscienza del “chi siamo”.
    Serve cultura, tanta per poter muovere il dito e spegnere una stupida radio che trasmette una stupida pubblicità che ha come obiettivo instupidire, substrato fondamentale per omologare e vendere meglio. Un ragazzo africano che ha una sua identità culturale mi fa meno paura di un friulano che passa le domeniche al centro commerciale pensando: io spendo quindi... esisto (?)
    Mandi Roberto

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    1. Se i friulani sono diventati "sotans", sottomessi, è per colpa di quelle 48 invasioni. Hanno dovuto sottomettersi per vivere, come la cannuccia di fiume che si piega al vento, mentre la quercia, viceversa, si spezza.

      Meglio un friulano sottomesso vivo, che uno ribelle ma morto.

      Filosofia spicciola. Condivisibile.

      Però, io preferisco il detto "Ognun a cjase so", ognuno a casa sua. Meglio evitare i meticciamenti.

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    2. Io non credo che esista un carattere popolare ereditato nel DNA.
      Caratterizzazioni e spiriti di gruppo sono come i dialetti ovvero si impregnano addosso come l'odore della zuppa di cipolle o di una frittura di pesce. Una cosa passiva.
      Ad esempio io sono napoletano ma vivo e ragiono come un friulano, un tedesco, uno scandinavo.
      E so parlare anche senza manifestare il classico accento napoletano come appena uscito da una scuola di dizione.
      Le invasioni e/o le sottomissioni non risalgono in gola come un reflusso esofageo.
      E non credo alle querce o alle canne al vento.
      Siamo tutti formichine che sperano di non essere schiacciate da qualche elefante di passaggio.
      Anche io non amo il meticciamento. In generale non amo gli accoppiamenti a scopo riproduttivo.
      Siamo in troppi e dovremmo impegnarci tutti a non sfornare altri bebè destinati all'accattonaggio ed al precariato eterno vivendo nell'eterna ricerca di un buon padrone.
      Invece viviamo tra invasioni continue e promiscuamenti forzati di vario tipo funzionali unicamente al ricco padrone a cui piace, anche se ancora per poco, disporre di tanti schiavetti che litigano e si ammazzano tra loro per poter avere la fortuna di servire il pranzo al padrone.
      Senza servi al castello chi metterebbero ad alzare ed abbassare il ponte levatoio?

      Ciao Roberto

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    3. Quello che dici è condivisibile.

      Tuttavia, mi pare che ci sia una vasta letteratura scientifica che spiega come l'ambiente influenza il carattere dei singoli, arrivando a lasciare tracce nel DNA e quindi trasmettendo attraverso le generazioni i caratteri di un popolo o di un'etnia.

      L'evidenza dei fatti mostra il carattere dei giapponesi diverso da quello dei latino americani, diverso a sua volta da quello degli scandinavi. Ecc.

      Dirò di più: i polentoni hanno obiettivamente dei caratteri diversi dai terroni e non c'è bisogno di essere razzisti per affermarlo.

      Lo si può dire senza acredine, pacatamente.
      La diversità non preclude che persone con caratteristiche differenti possano fare amicizia.

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  4. Salvo poi dimenticarsi che siamo da secoli un popolo errante, emigrante... ognun a cjase sö? Cuale ise la cjase?

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    1. E' facile risponderti: dove si è nati, dove si sono fatte le scuole elementari. Lì ci sono le radici.

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