giovedì 16 maggio 2019

Mina vagante


Quando, osservandolo da lontano, ha puntato l’ombrello verso di me bofonchiando, l’ho riconosciuto: era quel matto della settimana scorsa. Ieri pomeriggio me ne andavo con le cagnette al guinzaglio, attraversando il tunnel della Corte Zoffi che collega piazza Garibaldi a via 4 Novembre e l’omino era davanti a me di una cinquantina di metri. Se non avesse alzato l’ombrello nella mia direzione, non mi sarei accorto di lui. L’ho lasciato andare avanti, sapendo che è un disturbato mentale. Attraversata la strada e imboccato il sentiero lastricato di porfidi che da via 4 Novembre sbuca negli impianti sportivi, lo vedo, da lontano, parlare con un ragazzino indiano conosciuto tempo addietro. Poi, l’omino prosegue e il ragazzo si ferma ad armeggiare con la bicicletta. Arrivato presso di lui gli chiedo: “Cosa ti ha detto quel matto?”.


- E’ mio zio - mi risponde.
- Guarda che ha seri problemi, tuo zio – ribatto.
- Sì, lo so, ha un po’ paura dei cani.
- Un po’? - gli rispondo con tono incredulo.
Dopo aver chiacchierato con lui dell’India, del cibo indiano e avergli fatto i complimenti per la bella bicicletta che aveva, ho proseguito la mia passeggiata, sempre tenendo le cagnette al guinzaglio, nel caso in cui Ernesto, così il ragazzino mi ha detto che si chiamava suo zio, si fosse fermato oltre la curva del sentiero. Una settimana fa fu proprio nella curva che l’ho incontrato. Le cagnette erano sciolte e ce lo siamo trovati faccia a faccia. “Ho paura, cazzo!”, aveva gridato in quell’occasione, mettendosi con le spalle al muro, quando Pupetta gli si stava avvicinando, come fa con chiunque, per socializzare e ricevere la sua dose quotidiana di carezze. La sua reazione mi aveva lasciato interdetto poiché un carlino, normalmente, suscita sentimenti di simpatia a prima vista e tutte le donne e i bambini che incontriamo se la contendono. Di modo che, le nostre passaggiate sono più simili a una piacevole “via crucis”, viste le molte fermate che dobbiamo fare per lasciare che la gente si intrattenga con Pupetta. Da quando è arrivata Petunia, questa situazione si è ulteriormente accentuata.

Finché ad avere paura dei miei cani sono le donne velate e i loro numerosi marmocchi, la cosa non mi sconvolge più di tanto. So che la loro oscena religione glielo impone e, se le vedo da lontano, lego immediatamente le cagnette, in quei tratti di strada in cui le sciolgo grazie all’assenza di macchine. Ma se a reagire in maniera inconsulta è un ariano, la cosa cambia aspetto, dal momento che, come disse Biagio Pascal, “il cane è la più grande conquista dell’umanità”, anche se Pascal, nel fare questa affermazione, si è allargato un po’ troppo, secondo la visione eurocentrica dell’epoca.

Ora, io so che Ernesto non è l’unico codroipese cinofobo. Ne ho incontrati altri, specie due donne, e in tal caso, mi premuro subito di legare le cagnoline, tranquillizzando le interessate e lasciando sgombra la strada. Il motivo principale, ammesso ufficialmente da tutti, è che tali persone siano state morsicate da piccole, e sappiamo quanto i traumi dell’infanzia e della fanciullezza possano perdurare anche nella vita adulta. Se non ci si libera di loro, tuttavia, si mostra di possedere ancora tratti infantili, cosa non propriamente dignitosa per una persona adulta.

Ma c’è un’altra spiegazione che mi viene in mente, una spiegazione non per tutti, ma per pochi e che mi offre una visione diversa dopo aver letto “Rivivere le vite passate”, di Helen Wambach. Come possiamo escludere che il “matto” Ernesto, zio acquisito di Samit l’indiano, non possa essere stato un cristiano del primo secolo ed essere finito sbranato nel Colosseo a beneficio degli spettatori romani? In fondo, il morso di un cane non è molto diverso da quello di un leone, se non nella potenza (e nei danni della parte lesa) delle mascelle.

Come possiamo escludere che il cinofobo Ernesto non possa essere stato un missionario cristiano sbranato da un branco di leonesse nell’Africa ottocentesca? Anche qui, sempre di morsi si tratta, con la morte del morsicato come conseguenza fatale. Se la morte violenta per opera di un animale predatore è un trauma sufficiente per reiterarne il ricordo nelle vite future, il mio compaesano con problemi psichiatrici è solo il risultato di quel trauma accaduto in passato. 

Solo con una seduta di ipnosi regressiva, si potrebbe forse venire a capo dell’enigma. Ma solo uno picologo o uno psichiatra potrebbe sottoporre il paziente a un simile trattamento. Il signor Ernesto, che forse mio malgrado incontrerò di nuovo durante le passeggiate, farebbe bene in ogni caso a frequentare il centro di salute mentale. C’è un sacco di gente che ci va e non c’è nulla di cui vergognarsi. Perdurando le cose in questo modo, con un piano ebraico-massonico di sterminio della razza ariana, sempre più persone avranno bisogno del C.S.M. che però non è il Consiglio Superiore della Magistratura, altro covo di pazzi, ma qualcosa di più prosaico. Forse un giorno anch'io ne avrò bisogno.

Intanto, il pazzo Ernesto è per noi tre una mina vagante. Confesso che mi preoccupa più dei musulmani. Potrebbe, come reazione inconsulta, dare un forte calcio alle mie cagnette, soprattutto alla piccola che ha fiducia nell’umanità e si avvicina a tutti. Se ciò dovesse succedere, potrei non rispondere delle mie azioni e il signor Ernesto, pazzo o non pazzo, avrebbe altri traumi da tramandare alle sue vite future. 

2 commenti:

  1. Ma basta con questi cani!
    Non a tutti stanno simpatici animali servili, che cagano dove mangiano, e con lo sguardo stupido.

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    1. Forse, se parli di sguardo stupido, è perché ti sei guardato allo specchio.

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