Quei baffetti ipnotici

C’è un detto poco conosciuto che recita: “Intingi il dito nell’acqua santa e finirai per credere”. Applicandolo a me stesso, nel tentativo di spiegare la metanoia che a quanto pare mi è capitata ultimamente, nella quale da anarchico agnostico sono diventato via via nazionalsocialista, ho voluto rivedere, ieri sera su Rai4, il film “La caduta”. Devo dire di essere rimasto ipnotizzato, benché l’avessi già visto tempo addietro. Cos’hanno di tanto fascinoso quei baffetti che oggi non si portano più? Quali valori marziali, nordici, teutonici, vichinghi, oserei dire nipponici, stavano dietro a quella figura controversa, maledetta da milioni di persone nel mondo, che risponde al nome di Adolf Hitler? 

E’ un eroe negativo, un eroe nero, passato alla storia come il Male Assoluto, un tizzone d’inferno scaraventato sulla Terra dal Principe dei Demoni, per attuare un regno millenario, né più né meno di ciò che vogliono fare i massoni con il nuovo ordine mondiale. Il quale è un’idea degli ebrei, che erano profondamente odiati dal capo del nazionalsocialismo. Che siano anch’essi ipnotizzati da lui, da quei baffetti ridicoli? Quanti film Hollywood ha già sfornato su quel soggetto intramontabile e quanti ne sfornerà ancora? Che sia stato un loro strumento per la creazione dello Stato di Israele? Non sarebbe la prima volta che usano questa tecnica. Del resto, quel numero sconosciuto di vittime ebree nei campi di sterminio non è stato forse una specie di sacrificio umano propiziatorio in vista della nascita di Israele? 

Gli effetti su di me sono stati la perdita di un amico di vecchia data. Ci conoscevamo e ci frequentavamo da almeno 15 anni. Avrebbe dovuto conoscermi, sapere che a volte divento un provocatore. Eppure, la lettura di questo mio articoletto lo ha mandato fuori di testa. Fuori dai gangheri. Probabilmente, il suo disagio covava da tempo e aspettava solo il pretesto per venire a galla, per passare da un livello inconscio alla coscienza dello stato di veglia. Ero con lui quando al mercatino in piazza a Codroipo ho comprato una spilletta su una bancarella dei polacchi. Poi, quando siamo andati al bar, non ha potuto fare a meno di farmi le corna mentre venivo fotografato con la svastichetta appena comprata. Aveva bisogno di esorcizzare un simbolo che ha fatto soffrire migliaia di persone, non solo di religione ebraica, benché fosse nato in estremo oriente come simbolo positivo. Anzi, per essere corretti, non si sa bene dove sia nato, perché si trovano reperti archeologici con la svastica anche in Occidente.

Torniamo al film, di produzione ebrea, presumo (uno dei produttori si chiama Christine Rothe), anche se il regista è un tedesco, che Céline definirebbe ebraizzato. Inizia con la testimonianza di una sopravvissuta, una delle segretarie del Fuhrer che si pente di aver accettato il lavoro nel bunker di Berlino e che definisce il suo ex datore di lavoro un mostro. Prosegue poi con le concitate vicende all’interno e all’esterno del bunker stesso, con i russi che assediavano la città e un Hitler che man mano dava prova di non avere più il polso della situazione, immaginando controffensive che non sarebbero mai potute accadere e mostrando tutti i segni dell’irrefrenabile follia di un uomo vinto. Non entro nei dettagli del film, per non rovinare il piacere della visione a chi non l’ha ancora visto, ma solo due cose vorrei evidenziare: l’uccisione dell’amata Blondie, da parte di un medico, poco prima che Hitler ed Eva Brown si sparassero un colpo di rivoltella alla testa. E, seconda cosa, orribile a dirsi, il sangue freddo della moglie di Goebbels, che arriva a uccidere i suoi sei figli in tenera età, per non farli sopravvivere in una società senza il nazionalsocialismo. Se c‘è qualcuno che può essere definito un mostro, non è tanto il Fuhrer, quanto la signora Goebbels, al secolo Magda Ritschel.

Ecco, forse ciò che affascina noi latini, non escluso il nostro Benito nazionale, è questo coraggio davanti alla morte, propria e altrui, alla maniera dei kamikaze giapponesi, questa fierezza ottusa di dare la propria vita a un ideale, fenomeno non dissimile da quello dei partigiani o dei condannati a morte della Resistenza. Tutti loro, trovatisi su due fronti opposti, fascisti e comunisti, volevano le stesse cose: un futuro radioso e felice per un’umanità di là da venire. E intanto, seminavano dolore e morte in questa vita, a sé e agli altri. Ideali che sanno tanto d’inganno e fregatura. Meglio un asino vivo che un nazista morto. In questo, sono molto mediterraneo e poco teutonico, e mi dispiace per il mio amico cattocomunista che non lo capisce.