giovedì 22 dicembre 2011

Sei zampe, con rugiada


Tempo fa ho accompagnato la mia anziana madre a far visita a un suo fratello malato di Alzheimer. Avevo con me la mia cagnetta. Sulla porta dell’abitazione vengo fermato dal padrone di casa che mi dice: “Tu puoi entrare, il cane no”. Mi dispongo così a rimanere in cortile in attesa che mia madre espleti i suoi doveri di relazioni parentali, quando dopo un po’ la moglie di mio zio m’invita ad entrare dicendomi che suo marito non capisce niente.

“Tieni in braccio il cane, magari, se non ti dispiace!”.
Entro e mi siedo con Pupetta in braccio ma, a quel punto, si verifica una scena curiosa. La moglie di mio zio comincia a fare le moine e ad accarezzare la cagnetta che, del resto, dimostrava di apprezzare. Il tutto, sotto lo sguardo di suo marito.
Quando la donna smetteva, questi in tono autoritario le ingiungeva: “Adesso, vai a lavarti le mani!”.


La donna non se ne dava per inteso e ricominciava ad accarezzare il cane.
Poi smetteva per un po’ e suo marito le ripeteva il precedente invito: “Adesso vai a lavarti le mani!”. Sono andati avanti così diverse volte, con questa sceneggiata, e io stavo per sbottare dicendo: “Ma basta! Le ho fatto il bagno stamattina!”.
Me ne sono stato zitto, invece, perché con le persone fuori di testa è meglio non polemizzare, specie se sono parenti. Ma una cosa ho imparato: mio zio, benché fossimo nel 2011, viveva ancora negli anni Cinquanta, o anche prima, quando i cani dovevano stare rigorosamente a catena e non potevano mai entrare in casa. Magari entravano maiali e galline, ma non i cani, che hanno le zecche e portano malattie. O, nella migliore delle ipotesi, lasciano impronte di fango sul pavimento.
Il cane, nelle società patriarcali pre-industriali, era nient’altro che uno strumento e doveva fare da guardia contro gl’intrusi e accompagnare il padrone del casolare a sterminare la disgraziata fauna del paese, come ebbe a dire Alberto Moravia.
I tempi sono cambiati, chi dice in meglio, chi dice in peggio. Io dico sono cambiati sia in un senso che nell’altro e la forbice degli usi e costumi della società si è allargata. Purtroppo, le persone anziane ragionano ancora come si ragionava in tempi di miseria e agricoltura, ovvero quando la distinzione tra l’uomo e gli animali era marcata con estrema precisione e le chiese erano piene di gente che andava a sentire le prediche speciste del prete.
Nel giro di qualche decennio le chiese si sono svuotate, la gente ha avuto più tempo da dedicare agli studi e all’istruzione e si è recuperato un sano modo di vedere le cose del mondo e della vita. Si è messo in discussione il ruolo di despota dell’uomo e, sull’onda della rivoluzione copernicana che ci ha costretto a rinunciare al geocentrismo in favore dell’eliocentrismo, si è passati, o si sta lentamente passando, dal vedere l’uomo come padrone assoluto, avulso dal resto dei viventi, a come una delle tante specie animali che popolano il pianeta.
In ambito evoluzionistico il cambiamento si è avuto quando non è stato più usato il termine “scala”, ma “albero”. L’uomo non è più in cima alla scala evolutiva, ma è uno dei tanti rami dell’albero dell’evoluzione. Ci abbiamo messo molti decenni per arrivare a ciò, ma ancora ci sono delle resistenze.
Quello che mi preoccupa non è tanto il pensiero fossile di una percentuale di anziani specisti dalla mentalità rurale, che prima o poi dovranno passare a miglior vita, ma lo specismo di ritorno di un gruppo di fanatici intelligenti, dotati di argomentazioni e non privi di una certa cultura. Finora ne ho incontrati due.

In entrambi i casi c’è da rimanere allibiti per come i ragionamenti degli uomini possano raggiungere vette di inesattezza e disonestà intellettuale. C’è però da rimanere anche ammirati per il coraggio che dimostrano di andare contro corrente e di sfidare la storia della domesticazione, che ci vede alle prese con i cani da almeno 15.000 anni.Il primo scrisse una lettera al Messaggero di Roma il 9.10.10 e il secondo, tale Sharman, ha espresso di recente le sue allucinate opinioni su Stampa Libera.
Rinnegare 150 secoli di storia umana non è una cosa da poco.
I motivi di contestazione degli anticinofili sono principalmente tre:
1) il rumore dovuto al loro abbaiare;
2) le deiezioni abbandonate sui marciapiedi;
3) la pericolosità dei loro morsi.
Il rumore. In particolare, il signor Mariano Della Vedova, che l’anno scorso si lamentò sul Messaggero, disse che l’abbaiare dei cani gl’impedisce di studiare mentre si trova in casa, e di rilassarsi quando va a fare una passeggiata. Lui, che dice di amare la natura, non può concedersi un momento di relax, in campagna o su una spiaggia, senza essere in breve tempo importunato da cani che alzano polvere (o la zampa), seguiti da presso dai loro padroni felici e noncuranti del suo disagio.
Non so dove il signor Della Vedova vada a fare le sue passeggiate, ma se è come dice, deve essere molto sfortunato a vivere in zone così densamente abitate. Pensate se, invece di essere sette miliardi su questa terra, fossimo in settanta: temo che ci sbraneremmo l’un l’altro, cani o non cani. La regola aurea, che si applica anche nei casi di intellettuali ipersensibili come questo, afferma che la nostra libertà finisce dove comincia quella degli altri, e se lui ha diritto a godersi un po’ di tranquillità in mezzo al verde, gli altri hanno diritto di svagarsi insieme ai loro amici a quattro zampe, tenuto conto che in città, in mezzo al traffico, non possono farlo.
Infatti, sapendo questo, alcune lungimiranti amministrazioni comunali – e la prima credo sia stata Bologna - hanno predisposto giardini pubblici a uso e consumo dei cani, tenuto conto che la maggioranza degli spazi verdi di città, per salvaguardare l’igiene dei bambini, ai cani sono interdetti. Se il Della Vedova ha questo livello di tolleranza nei confronti dei latrati canini, cosa fa quando in ristorante entrano coppie accompagnate da minori? Prende su e se ne va?
Da quando il cane è stato addomesticato, ci siamo assunti delle responsabilità nei suoi confronti e siamo tenuti ad effettuare un controllo delle sue nascite. In caso contrario, se non interveniamo con le sterilizzazioni, i cani possono anche adattarsi alla vita metropolitana, come succede per esempio in Romania, ma a prezzo di molte vite di cuccioli che vengono selezionati dalle ruote delle automobili.
Il ritorno alla natura da parte del Canis familiaris è, in verità, successo con il dingo, centinaia di anni fa, portato in Australia dagli aborigeni ed ivi abbandonato a se stesso, ma affinché avvenga un adattamento alla vita selvatica, alle nostre latitudini, c’è bisogno di condizioni particolari e nel frattempo il fenomeno si presenta sotto l’aspetto del randagismo, avversato da tutte le pubbliche amministrazioni. In un territorio altamente antropizzato come il nostro, solo sporadicamente in qualche foresta appenninica può accadere che i cani riescano a rinselvatichire.
Le deiezioni. Anzitutto va tenuto presente che stiamo parlando di rifiuti organici che si sfaldano dopo una semplice pioggia e non di plastica che dura mille anni. Tuttavia, per chi vive in città e guarda dove mette i piedi è un problema estetico, mentre per chi cammina con il naso per aria potrebbe essere non solo estetico, ma anche pratico, sebbene esista un modo di dire secondo cui pestare un escremento porti fortuna. Alcuni fanno notare che gli sputi catarrosi sui marciapiedi danno più fastidio delle deiezioni canine, ma a me sinceramente danno fastidio entrambi. Tuttavia, se non si è mai visto nessuno chinarsi per raccogliere il proprio sputo, si vedono molti umani raccogliere gli escrementi dei loro cani. Per ovviare al naturale ribrezzo suscitato dallo sterco, a meno che non si tratti di sterco di mucca e non si sia indiani, regolamenti comunali impongono paletta e secchiello, scomodi e poco usati in verità. Alcuni negozi
d’accessori per animali vendono collari muniti di un contenitore di sacchetti di plastica. Io personalmente uso la carta scottex, sufficientemente robusta e adatta alla bisogna. Poiché mettere fuori legge i cani sarebbe un’ingiustizia verso milioni di cittadini, che li considerano membri della famiglia, è giocoforza necessario giungere ad un compromesso. Adattarsi alla presenza dei cani e, nel contempo, se il senso civico dei padroni dovesse difettare, aumentare le sanzioni per chi non raccoglie le deiezioni dei propri cani. Non c’è altra strada.

La pericolosità. Questo è il punctum dolens. Premesso che a commettere le peggiori violenze verso i cani è la nostra specie, anche in aree geografiche tradizionalmente cinofile, le aggressioni da parte dei cani sono un fenomeno reale. Escludendo i casi di puro sadismo da parte nostra, a volte puniti dalla legge, a volte no, i cani continuano ad essere usati nei laboratori di vivisezione. Quelli usati nelle corse, divenuti vecchi, vengono soppressi. Idem dicasi dei cani da caccia. Migliaia di essi languono nei canili, senza una famiglia, quando gli va bene. Altrimenti vengono eliminati fisicamente in veri e propri pogrom e non parlo della Cina, ma della civilissima Europa.
A fronte dei servigi che ci fornisce, sottoforma di salvataggi alle persone in difficoltà e con la compagnia che ci offre, si verificano purtroppo anche molte aggressioni ai danni di esseri umani, tra cui le più incresciose sono quelle che riguardano bambini. In alcuni casi si arriva anche alla morte dell’aggredito.
Qui dipende dalle dimensioni e dalle razze. E’ notorio che alcune sono state selezionate per i combattimenti, quindi c’è in origine un dolo degli uomini. Poiché non si può tornare indietro nella storia, l’unica cosa da fare è tenere sotto stretto controllo le razze da combattimento. Ai fini della prevenzione, sulla questione dei cani “pericolosi” si dovrebbe esercitare la massima rigidità, vietando la libera commercializzazione di certe razze, ma io vedo che invece non si fa nulla in questa direzione, anzi.
Chiunque, in Italia, può allevare e vendere cani da combattimento e poi, quando succedono le disgrazie, diventiamo tutti forcaioli e chiediamo la soppressione del cane “assassino”. Questo mi sembra un modo tipicamente italiano di fare le cose. Una mancanza di serietà e ad andarci di mezzo sono, come al solito, gli animali.
Non ho la pretesa di riuscire a far mutare opinione a chi non prova alcun sentimento verso i cani, ma trattandosi di persone non prive di cervello, mi auguro che, uscendo dall’egotismo che li contraddistingue, tali individui capiscano di non essere soli su questa terra e che nel loro caso potrebbe trattarsi di una delle tante idiosincrasie che colpiscono gli esseri umani.
Come tale, un’idiosincrasia si può curare, se lo si vuole fare. Nel frattempo, noi cinofili continueremo ad imperversare sulle spiagge libere e in campagna e nessuno ci potrà togliere la felicità che s’incarna in un solo animale, che cammina muovendo sei zampe e una coda. Con rugiada.

8 commenti:

  1. Io sono per Pupetta, ma è pur vero che in una casa chi "comanda" è il padrone di casa, quindi l'ultima parola sulle abitudini in quel contesto sono di sua pertinenza, ovviamente nei limiti. Io i miei cani, ai quali voglio moltissimo bene, non li faccio entrare in casa per due motivi: uscire ed entrare da un luogo riscaldato non fa loro un gran bene, nè li lavo di frequente perché il loro ph è la prima difesa biologica/ chimica che anno. Andare nei giardini, non dovrebbe essere un problema, se tutti fossero come freeanimals che si porta dietro sempre un sacchetto per raccogliere i ricordini di Pupetta. Si chiama civiltà, ma parte anche e soprattutto dagli uomini. I cani e gli animali in genere sono compagni di questa vita insuperabili. Senza di loro saremmo tutti immensamente più soli... Bravo Rob, per le foto che sei risuscito a mettere. Prendetevi qualche libro da Freeanimals, sono coinvolgenti e appassionati, persino caustici delle volte. Garantisco! Mandi

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  2. Hai vivisezionato ed eviscerato il caso sino a scomporlo nelle sue più piccole componenti.
    Per scoprire che il replicante umanoide tontolone non è composto da atomi e molecole ma è più semplicemente un campo minato di bombe a grappolo di coatta inciviltà.
    L’educazione civica ed il rispetto non dovrebbero essere regole da seguire ma la componente primaria del dna umanoide.
    Per ringraziare gli amici animali della compagnia e dell’amore restituito, nulla è mai abbastanza!
    Saranno gli unici a starci vicino e ad aiutarci nell’imminente fine del mondo che daranno in diretta tv a reti unificate dopo la benedizione papale urbi et orbi ed il concerto di capodanno con gli stramaledetti walzer di Strauss!
    Qui gli unici animali da abbattere sono i ladroni al governo che dietro ai Monti stanno organizzando la fase 2 della manovra economica (?) scavando enormi fosse comuni in cui gettare i corpi satolli degli italioti dopo i bagordi natalizi.
    La pipì dei cani è veramente pura rugiada rispetto alle lacrime di coccodrillo della fornero che, da buona befana, porterà a lavoratori e pensionati tante calze piene di carbone.
    Articolo eccellente. Che te lo dico affà!
    Ciao Roberto.

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  3. Grazie amici! Vicini e lontani. Ci sarebbero ancora molte cose da dire sul rapporto uomo-cane. Molti autori si sono cimentati in passato e mi vengono in mente Carlo Cassola, con il suo "L'uomo e il cane", nonché Konrad Lorenz, con "E l'uomo incontrò il cane", dove spiega la duplice discendenza del cane domestico dal lupo e dallo sciacallo.
    Ho mandato il link dell'articolo anche all'utente che si firma Sharman, con cui ho recentemente polemizzato su Stampa Libera, ma ancora non ho avuto riscontro. Se avessi avuto la possibilità, lo avrei mandato anche a quel Mariano della Vedova, che scrisse una lettera sul Messaggero, interessante sul piano psichiatrico, ma ormai è passato troppo tempo e non so come raggiungerlo. Io su FB non ci vado più.
    V'informo inoltre che questo articolo non si trova su Stampa Libera, perché ci sono dei problemi connessi con la ristrutturazione del sito.
    Questa è la versione ufficiale, ma siccome voi siete uomini di mondo, vi dirò la verità: ci sono stati dei........sarascazzi.
    :-(
    Un cordiale saluto e grazie per i commenti.
    Ciao

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  4. In Toscana,conosco un agritur,che se vai col cane ti fanno uno sconto...

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  5. In un agriturismo in Sardegna, però gestito da gente di origine veneta, tenevano un cane lupo legato a un albero, senza che avesse nulla per ripararsi. Siamo dovuti andare a Cagliari per comprargli una cuccia.
    I padroni ci hanno ringraziato, un po' imbarazzati.
    Ciao

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  6. E va beh,anche tu Roberto,vai a cercarti proprio i posti piu sfigati!!! il mio commento voleva essere solo un po'ottimista,visto il periodo (natalizio !!!!) :-)
    Quindi la prossima volta invece del mare sardo vai alle colline toscane !!!!
    Ciao

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  7. Volevo solo dire, Martin, che l'eccezione conferma la regola e la regola è che il cane è ancora per troppa gente uno strumento, specie per quelle persone di estrazione rurale, alias contadini.
    In Toscana, poi, c'è un alto numero di cacciatori e, di conseguenza, i cani che vengono abbandonati sono per lo più di grossa taglia e di razze da caccia. Lo so perché una volta frequentavo un'animalista a San Piero a Sieve, in provincia di Firenze, che gestiva un canile.
    Ciao

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