venerdì 27 settembre 2013

Garattini difende il posto di lavoro

 
Fonte: Almo Nature

Secondo gli animalisti la sperimentazione animale è inutile. Per la ricerca scientifica esistono, quindi, delle alternative valide a tale pratica?

Quando esistono alternative valide alla Sperimentazione Animale, queste vengono universalmente utilizzate ma, purtroppo, ad oggi sono davvero molto poche. In realtà le nostre attuali conoscenze sull’origine di tante malattie e sul loro sviluppo non sono ancora sufficienti a creare modelli in-silico predittivi mentre le tecniche in-vitro sono ancora molto lontane dal riprodurre la complessità di un organismo vivente.


Sempre gli animalisti sostengono che la sperimentazione animale oltre che inutile sia anche dannosa, poiché non garantisce dei risultati predittivi davvero attendibili per l’uomo. A sostegno di ciò fanno riferimento a casi in cui alcuni farmaci si sono rivelati innocui per gli animali di laboratorio ma dannosi per l’uomo, provocando il cancro e addirittura la morte. Cosa ne pensa?

In realtà, per definizione, un modello non è identico a ciò che deve rappresentare quindi è normale che esistano delle differenze; ciò che conta è utilizzare il modello che più si avvicina alla realtà e, ad oggi, in moltissimi casi il modello animale è quello che meglio rappresenta l’uomo. In alcuni casi quindi può avvenire che i risultati forniti dal modello animale siano differenti da quelli osservati nell’uomo ma in tantissimi altri sono praticamente identici, basti ricordare il fatto che moltissimi farmaci veterinari sono composti da principi attivi IDENTICI a quelli utilizzati nell’uomo.
                                                                                                                                                
Ammettendo questa logica, ci si è mai trovati di fronte al dubbio che un farmaco, inefficace su animali da laboratorio, possa essere utile per l’uomo? La pratica clinica, in questi casi, si ferma? E’ ritenuta troppo rischiosa?

Assolutamente no, è vero l’esatto contrario! Se un principio attivo ha superato tutte le fasi di test (in-vitro prima e in-vivo poi) potrà essere testato anche nell’uomo con molta maggiore sicurezza poiché, anche in assenza di evidenti effetti terapeutici nel modello animale, potremo almeno escludere gravi effetti negativi. Bisogna infatti ricordare che molti principi attivi che superano le fasi di controllo in-vitro, vengono poi scartati nelle fasi in-vivo (nell’animale) perché mostrano forti effetti tossici e, fortunatamente, non arrivano ai nostri malati.

Le procedure per la sperimentazione su animali da laboratorio tendono a minimizzare la sofferenza dell’animale. In cosa consistono?

Ogni procedura viene attentamente analizzata e svolta, se possibile, in animali profondamente anestetizzati; solo quando l’anestesia è incompatibile con gli scopi sperimentali (generalmente studi sul comportamento) questa viene utilizzata solo in alcune fasi. Sono comunque sempre utilizzati analgesici quando è prevedibile la presenza di dolore o quando questo si manifesta in maniera imprevista. Oltre a questo, per ogni specie sono adottati arricchimenti ambientali diversi per attenuare lo stress causato dal mantenimento in gabbia (materiali per il nido, giochi etc.). Infine, ma non meno importante, nessuna procedura sperimentale può avere come “end-point” (punto finale) la morte dell’animale; ogni procedura infatti deve prevedere un end-point umanitario che riduca al minimo indispensabile la sofferenza dell’animale (es. riduzione del peso corporeo del 15-20%).

L’impressione è che gli animalisti siano guidati da motivazioni prettamente ideologiche, e non considerino le eventuali implicazioni in caso di impossibilità da parte della scienza di poter effettuare la sperimentazione su animali da laboratorio. Da cosa è mossa questa posizione, secondo Lei?

E’ ormai evidente che le motivazioni che guidano la parte più estremista del popolo animalista sono di carattere etico/ideologico; l’utilità scientifica della Sperimentazione Animale infatti non è più (se mai lo è stata) in discussione, grazie agli interventi chiarificatori di tanti scienziati e ricercatori. Restano le motivazioni etiche che, evidentemente, sono assolutamente soggettive e si basano sul principio dell’antispecismo; secondo questo principio non è consentito “utilizzare” soggetti appartenenti ad una specie per il bene di un’altra (o di tante altre). E’ lecito quindi ipotizzare che quella contro la Sperimentazione Animale sarà solo la prima di una lunga serie di campagne che in futuro coinvolgeranno ampi settori quali ad esempio la pesca, l’allevamento a fini alimentari, le varie disinfestazioni (contro topi, ratti, insetti etc.) e così via.

Esiste un fronte di medici e scienziati che sono contro la sperimentazione animale. Cosa ne pensa?

In realtà non è corretto parlare di “fronte” in quanto si tratta di una piccolissima minoranza; secondo uno studio condotto dalla prestigiosa rivista Nature nel 2011 infatti solo circa il 5 % dei ricercatori ritiene non più necessario il ricorso alla Sperimentazione Animale (vedi articolo Nature). Considerando il fatto che effettivamente esistono limitati settori della ricerca biomedica in cui il progresso tecnologico ha permesso di sostituire il modello animale con metodologie alternative, questa piccola percentuale è facilmente spiegabile.

In conclusione, ha altre considerazioni da fare?
                                                                                                                                                  
La comunità scientifica che si occupa di ricerca biomedica è largamente concorde sul fatto che purtroppo, ad oggi, non esistono metodologie che possano sostituire completamente il modello animale. Già dal 1959 i ricercatori si sono dati un codice etico (principio delle 3R: Replacement, Reduction, Refinement) secondo il quale ogni ricercatore deve quotidianamente impegnarsi nella individuazione di metodiche realmente alternative alla sperimentazione animale e negli ultimi 20 anni il numero di animali coinvolti è stato più che dimezzato. Fino a quando però queste tecniche alternative non verranno realmente scoperte e validate non potremo accettare di abbandonare le attuali metodologie a discapito di tutti quei malati che aspettano una cura.

Da ultimo credo valga la pena ricordare che il modello animale è riconosciuto ed utilizzato in tutto il mondo quindi l’eventuale inserimento di pesanti divieti nella normativa italiana porterebbe solo ad una ulteriore fuga della ricerca dal nostro paese senza alcun reale beneficio né per gli animali né per i nostri malati, né per il nostro paese.

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