giovedì 7 novembre 2013

Amore, devozione, rinuncia



Appena l’ho vista scendere dall’auto nera, con un cipiglio decisamente inquietante, ho passato in rassegna in una frazione di secondo tutti i miei nemici e la prima cosa che mi è venuta in mente è che fosse la moglie di un cacciatore venuta a consumare una qualche vendetta e a gettarmi in faccia dell’acido.
“Mi hanno liberato 80 pappagalli e qualcuno dice che è opera di qualche animalista”, mi dice senza mezzi termini.
“Non sono stato io!”, mi affretto a rispondere.
Così, vengo a sapere che si trattava di un’amica d’infanzia di cui avevo perso le tracce, com’è naturale che avvenga, e che la sua passione nei confronti degli psittacidi aveva subito un trauma poche ore prima, quando aveva trovato la rete del gabbiotto squarciata, con un’ottantina di pappagalli, fra calopsite, inseparabili e kakariki, che avevano preso il volo.
Pian piano mi tranquillizzo e lei stessa aggiunge: “So chi è stato. So che non sei stato tu, perché liberare uccelli esotici in autunno significa condannarli a morire di fame e di freddo e nessun animalista lo farebbe. E’ stato un mio condòmino, che abita al piano di sopra”.
La faccio accomodare, appoggiando a terra le borse della spesa che mi occupavano le mani e che mi avrebbero ostacolato nel gesto istintivo di proteggere il volto, nel caso in cui mi avesse gettato vetriolo addosso, come pare vada di moda ultimamente.

                                                                                                                                                  
Mi racconta che era stata dai carabinieri e che lo stesso maresciallo Enrico Forte era del parere che non fossi stato io a liberarglieli. Quando Sandra Mariotti, qui a destra, gli disse che sarebbe venuta da me, il maresciallo la sconsigliò, ma quando seppe che sarebbe salita al piano di sopra per farla pagare al condòmino, si portò le mani al volto, nel gesto di chi, coprendosi la faccia, non vuole vedere la realtà e si aspetta qualcosa di terribile.
Naturalmente, Sandra non andrà a chiedere conto al signor Alex Venuto, che già l’anno scorso le aveva scardinato la porta del garage, perché non è facile, a freddo, aggredire una persona, anche se su di essa gravano sospetti pesanti di colpevolezza. La ruggine è di vecchia data e non val la pena spiegare qui i particolari. Tutti abbiamo avuto discussioni con i vicini di casa e la cronaca nera pullula di notizie di questo tenore, che a volte finiscono nel sangue. Buoni steccati fanno buoni vicini, dice il proverbio.
Le spiego che, abitando ella vicino casa mia, e passando spesso in bici da quelle parti, mi capitava di sentire spesso il verso di grossi pappagalli, gli Ara che non sono volati via, provenire da una rimessa e soppesavo la possibilità di scavalcare la recinzione per andare, di notte, a dare un’occhiata.
Per chi non è abituato a violare la proprietà privata e a liberare animali prigionieri, è difficile forse capire che un atto di liberazione, per essere portato a termine, richiede il superamento di certe resistenze psicologiche. La nostra educazione piccolo borghese ci ha portato ad aver paura delle conseguenze, in caso di violazione delle norme e anche se razionalmente sappiamo che ridare la libertà a un essere che ha subito il torto della prigionia è nobile e sacrosanto, abbiamo sempre in fondo all’anima una vocina che ci ammonisce e ci fa provare il senso del pericolo.
Nel mio caso, per superare questo scoglio psicologico, mi sono servito spesso della presenza di complici: in due mi viene più facile. Se poi siamo più di due, si possono prendere in considerazione obiettivi più impegnativi. E’ ovvio che più mani trasportano più animali, nel caso in cui non possano essere liberati sul posto.
Sandra aveva ragione: se dovessi liberare uccelli esotici, non lo farei in autunno, ma aspetterei la primavera, per dar loro più possibilità di cavarsela nel reperimento del cibo. Un vicino di casa dispettoso naturalmente non bada a queste sottigliezze.

Così, accomodatici con birra e biscotti, le ho spiegato che anni fa portammo via da uno stabulario qualche centinaio di ratti e topi bianchi ma, essendo autunno, li tenemmo per un intero inverno in una stalla che avevo preso in affitto, nutrendoli regolarmente e osservando la riscoperta degli istinti di costruzione del nido, cosa che era loro impossibile espletare nelle vaschette in cui erano detenuti. Poi li liberammo la primavera successiva, nei terreni golenali del Tagliamento. 

I racconti delle mie esperienze di liberazionista non furono, tuttavia, di nessun conforto a Sandra, che a un certo punto mi disse di essere passata da me per vedere, da un lato, se potevo aiutarla a recuperare i pappagallini e, dall’altro, se avevo qualche idea su come fargliela pagare al tizio del piano di sopra. Anche lei, evidentemente, cercava l’appoggio di un complice.
Al che, sapute le sue intenzioni vendicative, le raccontai ciò che mi successe molti anni fa quando abitavo a Camino al Tagliamento. Una sera suonò alla porta un signore anziano che mi chiese: “E’ lei che va a liberare gli animali e che ha avuto dei processi per questo?”.
Non mi ricordo cosa mi passò per la testa sul momento, ma penso che anche quella non dev’esser stata una visita rilassante. L’uomo però continuò spiegandomi che nel suo palazzo, a Spilimbergo, abitavano dei marocchini che sporcavano, schiamazzavano a tutte le ore e mostravano varie forme di mancanza di rispetto verso gli altri inquilini. Voleva sapere se ero disposto ad aiutarlo a bucare le gomme delle loro auto. Anche lui aveva resistenze psicologiche da superare.
Gli risposi che i miei obiettivi erano legati alla liberazione degli animali e che a me i marocchini non davano nessun fastidio. L’uomo se ne andò un po’ deluso, immagino. Oggi, a distanza di molti anni, penso sia stato un pioniere di un certo malessere che sta montando nella società italiana, in maniera direttamente proporzionale all’aumento del numero di nordafricani giunti nei nostri paesi. Anche se di “ronde padane” non si sente più parlare, penso che motivi di conflitto fra autoctoni e immigrati ce ne saranno sempre di più nel prossimo futuro. C’è una precisa strategia a monte, e ne abbiamo parlato molte volte.
Dopo un paio di giorni ero a casa di Sandra. Anche lei, come me, da bambina raccoglieva insetti, rane, rospi e ramarri, con grande disperazione di sua madre. Solo che nel mio caso a un certo punto ho capito che sottrarre al loro ambiente quelle simpatiche bestioline è pur sempre una forma di violenza nei loro confronti e che se le si ama veramente le si deve lasciare in pace.
                                                                                                                                                  
Questo è l’insegnamento fondamentale che Sandra, nonostante gli anni dell’infanzia siano passati, insieme a quelli della giovinezza, non ha ancora imparato. Oltretutto, se un rospo lo si può trovare nelle nostre contrade, lo si può tenere in un terrario per una settimana e poi liberare nella stessa zona senza che abbia grossi inconvenienti, far venire dal Sudamerica le rane da freccia, dal Giappone gli usignoli omonimi, dall’India i bengalini e dall’Australia il clamidosauro, significa contribuire a mantenere in piedi un commercio immorale inaccettabile per una coscienza risvegliata.
La catena parte dall’indigeno che ne fa incetta e passa per il mediatore che li immagazzina, il grossista che li trasporta all’aeroporto, il suo collega occidentale che li va a prendere nella città d’arrivo e il commerciante che li espone in vetrina nel suo negozio. L’ultimo anello è il cliente che li compra e che, con il suo denaro, tiene in piedi tutta la filiera. E fa ripartire lo sfruttamento.
Si calcola che su dieci pappagalli spediti, tra cattura, immagazzinamento e volo, ne muoiano nove. Con i colibrì la proporzione aumenta e lo si capisce dal fatto che questi ultimi sono più fragili di un ara arauna.

Per questa ragione andiamo a protestare presso le sagre venatorie, che sono caratterizzate sempre più dalla presenza di esotici e sempre meno da quella dei nostrani. Quando ho sentito un commento di disapprovazione nei nostri confronti, in riferimento proprio alla “sagra dei osei” di Sacile, ho capito che Sandra sta dall’altra parte della barricata e che la sua zoofilia non ha niente a che vedere con il mio animalismo. Inutile aggiungere che Sandra mangia tranquillamente carne.
Tanto è vero che mi è venuto in mente ciò che disse niente meno che Sigmund Freud: “Gli zoofili sono i peggiori nemici degli animali”. Frase che mi è sempre stata di difficile interpretazione, ma che ora, conoscendo da vicino Sandra Mariotti, mi è più facile capire.
Del resto, Freud non è stato l’unico filosofo a trattare l’argomento delle varie forme di amore. Mi viene in mente per esempio Erich Fromm, con il suo famoso “Avere o essere”. Se non si capisce che il vero amore verso qualcuno è strettamente connesso con il rispetto della sua libertà, significa che è un amore egoistico, anzi un non-amore.
Questo principio vale per le coppie di sposi, per gli amanti in genere e anche nei nostri rapporti con gli animali. I cacciatori, poi, sono un caso patologico di stravolgimento del concetto di amore per la natura. Infatti, la amano da….morire! 
L’amore di Sandra Mariotti per i pappagalli è solo a un livello meno necrofilo di quello dei seguaci di Diana, e concerne più una sua esigenza di soddisfacimento dei propri istinti materni, non avendo Sandra figli umani. All’apparenza, il cacatua e il cinerino che vivono in appartamento con lei, mentre gli ara stanno all’esterno nella voliera, sono per sua stessa ammissione suoi figli, cioè surrogati a cui riversare affetto e cure, ma rimane sempre il dubbio se la cosa sia eticamente accettabile.
In altri tempi mi sarei sentito attratto anch’io da un intelligente pappagallo, ma ora so che la vita in un appartamento non è il massimo per i volatili di quelle dimensioni, anche se si tratta di esemplari nati in cattività.
                                                                                                                                                  
Gli istinti materni delle animaliste, io li vedo anche in altri casi e ad essere oggetto di premure materne possono essere conigli, roditori o altri mammiferi. Più facilmente cani e gatti. Così abbiamo le gattare  e le canare, che non mi sento di criticare più di tanto, se anche i loro beniamini ne traggono vantaggio. Con animali di altre latitudini è già più difficile trovare giustificazioni, anche se posso capire che gli psittaciformi abbiano un fascino considerevole.
La differenza tra zoofilia e animalismo secondo me è tutta qui: se li si ama veramente, si deve rispettare la loro natura. Gli unici animali da compagnia sono quelli che hanno alle spalle migliaia d’anni di domesticazione e che senza l’uomo morirebbero di fame. Già il gatto, con i suoi 5.000 anni di sinantropia, fa fatica ad entrare in questa categoria.
Al limite, se proprio si vuole dare sfogo ai propri istinti materni o anche solo rendersi utili, si può sempre aprire un centro di recupero fauna, dove accogliere esemplari sequestrati o sottratti ad altre forme di maltrattamento. Con l’appoggio di forestali e magistratura, i clienti non mancherebbero.
A Sandra, infine, ho fatto la seguente proposta. Se vuole raddrizzare il suo Karma negativo, potrebbe venire con me in Madagascar e accudire i Vasa che i malgasci tengono nelle abitazioni, tarpando loro le ali. Svolgere un lavoro di educazione nei confronti degli abitanti dell’isola non sarebbe una cattiva idea.
Prima che i malgasci distruggano tutta la loro bellissima fauna.
Ma prima è necessario che Sandra educhi se stessa, almeno smettendo di dare i propri soldi ai trafficanti di pappagalli. Amore, devozione, rinuncia, era il titolo di un disco 33 giri di Carlos Santana
L'amore è dolce, la devozione è dolcissima, ma la rinuncia è sublime.

4 commenti:

  1. Articolo perfetto e molto bello. Si percepisce la tua saggezza nonché la passione per ciò che è giusto e la bellezza della semplicità. La saggezza é un mix di esperienza e di amore ed è dote rara. Chissà se la signora Sandra riuscirà a raddrizzare il proprio karma ed a capire che l'amore non è possesso. Il mondo è pieno di persone come lei che credono di fare del bene rovinando la vita ad altri esseri viventi. Ci si dovrebbe fermare ogni tanto, tra una frustata e l'altra, a riflettere. La storia di uno schiavo può cambiare solo quando ammazza il padrone. Rompiamo tutte le voliere ed apriamo tutte le gabbie. Facciamo finta che sia già primavera. Ciao Roberto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Gianni!
      Sempre molto dolci, i tuoi commenti.

      :-)

      Sono riuscito a convincere la signora Sandra a venire con me al corteo di Treviso, sabato, contro le stragi di cani in Romania.


      Magari è solo l'inizio di un percorso educativo, anche se per le persone adulte, con le loro convinzioni consolidate, è sempre piuttosto difficile.

      Elimina
  2. Sono d'accordo con FreeAnimals, naturalmente, per quanto riguarda questa vicenda e lui lo sa perché ne abbiamo parlato. Particolarmente centrata la differenza che sottolinea tra Animalismo e Zoofilia. Detto ciò, tuttavia, vorrei anche spendere due parole in favore o giustificazione di Sandra. Ho tenuto per molti anni una splendida pappagallina del genere Agapornis (inseparabili). Preciso che non l'avevo "comprata" ma me l'ero fatta "donare" da una mia carissima amica che l'aveva regalata alla figlia (una bambina di una decina di anni) e che stava per fare una brutta fine come una della stessa specie comprata precedentemente dalla mia amica. I bambini spesso non hanno la capacità e la pazienza di crescere queste creaturine. I pappagalli sono veramente intelligentissimi e hanno la capacità di interagire con gli umani. Questa piccola inseparabile mi chiamava quando aveva bisogno di coccole con un suo verso particolare e quando mettevo la mano nella sua gabbiona (necessaria per la massiccia presenza di gatti) si precipitava a farsi accarezzare. Quindi comprendo Sandra. Tuttavia, se mi legge, la esorto a seguire i consigli di FreeAnimals. Per il bene di queste splendide creature. DEVONO vivere nel loro ambiente per essere veramente felici

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Al limite, se ci si trasferisce nei paesi tropicali dove vivono i pappagalli, capiterebbero sicuramente situazioni in cui è possibile instaurare con loro rapporti di amicizia.
      Oppure, meglio ancora, occuparsi, in appositi centri di recupero, di quelli che vengono riscattati dagli indigeni, che ne tarpano le ali e non li trattano con eccessivo rispetto, ma solo come oggetti ornamentali.

      Questo, naturalmente, solo se si avesse la possibilità di trasferirsi ai tropici.

      Elimina