mercoledì 15 gennaio 2014

La fatica di far proseliti

 
Tratto da "I Fioretti di San Frumenzio"

Dovendo estendere su un territorio il più ampio possibile, le buone idee di misericordia e di giustizia verso le creature del Signore, in un mondo di tenebre tutto dedito alla carneficina di queste ultime, Frumenzio pensò bene di inviare in predicazione i suoi discepoli. Fra questi c'erano frate Eugenio, fra Massimino, fra Dinuccio, frate Spingardone e altri.
Fece né più né meno ciò che andava di moda tra le congregazioni religiose negli ultimi quattromila anni: mandò i suoi apostoli a catechizzare le genti cadaveriane. Li inviò come pecore fra i lupi, come gazzelle fra i leoni, come topolini fra i gatti, galline fra le volpi e colombe tra i falchi. Se non fu pazzia questa! Ma, si sa, gli utopidealisti sono sempre stati con i piedi saldamente piantati fra le nuvole. Da quando si sono messi in testa di voler imitare il lievito che solleva la pasta e rende commestibile il pane hanno immolato se stessi e gli altri nelle fornaci del Maligno guadagnandoci tutt'al più un posto nel calendario. E da quando si sono assunti l'onere di impersonare il sale della terra, a dispetto delle indicazioni di segno contrario dei chimici e degli astronomi, hanno dato un grosso contributo alla sconfitta delle Tenebre, nel senso che hanno fornito se stessi come materiale combustibile per i roghi dell'Inquisizione. Questo era l'andazzo suicida dei mistici di tutto il mondo e Frumenzio non poteva andare contro a tradizione. Diede a se stesso e ai suoi amici in partenza un poeticissimo viatico induista.


"Siate come il legno di sandalo che profuma la scure che lo taglia".  Frumenzio era un gran copione, in fatto di massime religiose, tanto che a volte gli intimi lo chiamavano il Gran Maestro Orecchiante, e quindi attingeva a piene mani dal patrimonio di conoscenze sapienziali dei mistici che lo avevano preceduto. Senonché, quella frase botanico-nonviolenta poteva germogliare e svilupparsi in un contesto sociale dove la metempsicosi era considerata dato certo, mentre la stessa frase, trapiantata nell'Occidente materialistico di cui Frumenzio e seguaci erano figli, non poteva attecchire né dare i medesimi frutti di devozione religiosa. Sarebbe stato come prendere un fico d'india, trapiantarlo nei giardinetti della stazione di Stoccolma e pretendere di vederlo crescere rigoglioso. E' chiaro che una cosa del genere non funziona. Con tutti i barboni svedesi che bivaccano in stazione: se lo prendono e se lo cucinano il giorno stesso!

Ma torniamo ai nostri fraticelli. Poiché la loro prima regola era l'obbedienza, presero armi, bagagli e videocassette e partirono per varie destinazioni, come San frumenzio aveva loro ordinato. Come volevasi dimostrare, entro breve tempo, ciò che era capitato a Apollonio di Tiana e a tanti altri predicatori vegetariani si avverò regolarmente anche nel loro caso. A quel santo taumaturgo del primo secolo dell'Era Volgare, detto il Cristo pagano, capitava che i fanciulli dei villaggi, dove lui transitava, gli tirassero sassi. A frate Eugenio invece capitò che la magistratura belga  sequestrasse la motocicletta; a fra Massimino successe che i colleghi di lavoro lo prendessero in giro per la sua dieta vegetariana; a fratel Dinuccio, capitò di subire alcuni processi pretorili per la sua attività sindacale, mentre lo stesso Frumenzio, che non si era sottratto al dovere morale di darsi in pasto alle feroci belve cadaveriane, incorse in un quasi licenziamento dal suo lavoro di insegnante. Su tutti loro, le batoste ricevute lasciarono il segno, chi in un modo, chi in un altro, a seconda della loro personale tempra. I più ne uscirono rafforzati nella fede e continuarono a predicare la non-violenza vegetariana ma alcuni anche, per gli urti psicologici ricevuti, lasciarono la congregazione e tornarono a rotolarsi nel fango del porcile da cui erano giunti e dal quale erano stati mondati.

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