mercoledì 17 settembre 2014

Quando tira una brutta malaria

 

Ci ho messo diverso tempo a capire che la stanchezza innaturale che mi opprimeva nell’arco della giornata, giorno dopo giorno, fosse dovuta alla malaria e non (o non solo) allo stress e a qualche carenza alimentare, sia essa vitaminica, proteica o dei sali minerali. Non avendo termometro in casa, non ho potuto monitorare l’andamento quotidiano della febbre, ma quando ho realizzato che aveva un’alternanza, mi sono ricordato che sei anni fa, quand’ero in affitto da Madame Fleurette a Sanfily, raggiungevo i 39 di febbre nei picchi più alti, per poi scendere improvvisamente e questo succede quando i plasmodi escono in massa dai globuli rossi e si mettono in cerca di nuovi eritrociti da parassitare. L’improvviso rilascio di milioni di plasmodi nel torrente sanguigno provoca  l’innalzamento della temperatura. Quella di sei anni fa fu una malaria più aggressiva, perché non stavo proprio in piedi dalla stanchezza e inzuppavo le lenzuola di sudore dall’odore nauseante. Con la malaria dei giorni scorsi non credo di aver mai raggiunto il picco di 39 di febbre e non ho sudato più del normale. Ciò nonostante, una debolezza ininterrotta si è fatta sentire per almeno una settimana, unita all’irritazione di avere ogni giorno qualche estraneo in cortile, sia esso la ragazza del bucato, la stiratrice, che mi è venuta in casa zelantemente alle sette e un quarto del mattino, gli operai ad avvelenare il mais e i parenti in visita a Tina provenienti da Tanà. Tutte persone a cui il bravo vazaha è tenuto a offrire il pranzo. Ma lasciamo stare.


Indi per cui, sono stato d’accordo con Tina quando mi ha proposto di sottopormi allo stesso trattamento di sei anni fa, eseguito dal dottor Razaka: tre iniezioni di chinino da farsi in tre giorni, del costo di 15.000 ariary. Su ciò che accadde sei anni fa va aperta una piccola parentesi. Mi lasciai convincere e il pousse pousse ci scaricò davanti a un’abitazione privata. Ne uscì un uomo anziano scalzo, scamiciato e con la trippa di fuori. Io barcollavo ma riuscii a dire a Tina: “Non voglio un ombiasy! Portami in ospedale!”. Non senza brontolare un po’, eseguì la mia richiesta. Quando fummo seduti nella sala d’aspetto dell’ospedale, mi spiegò che quell’uomo era un vero medico, il suo medico che l’aveva guarita dalla malaria e se era venuto ad accoglierci in modo poco consono era dovuto al fatto che quella fosse casa sua e che lui era in pensione. Tornammo da Razaka, Tina chiese scusa per l’intemperanza del vazaha malato. L’uomo abbozzò e mi fece una puntura. Tornai a casa e mi sentii già meglio. Un vero miracolo. Il giorno dopo tornammo per la seconda puntura, ma dicendo al dottore che sarebbe stata anche l’ultima, in quanto rinunciavo a fare la terza per sopravvenuta guarigione. Lui non sollevò obiezioni. L’intera somma pattuita l’aveva riscossa il giorno prima.

Con Madame Emerentienne, la levatrice che ha seguito Tina nell’aborto, abbiamo fatto la stessa cosa. La prima puntura, fatta il 15 settembre nella chiappa destra, mi ha fatto un male boia, facendomi zoppicare e quasi svenire mentre venivo sballottato sulla strada del ritorno a bordo del ciclo pousse. E’ stato a quel punto, quando mi si è annebbiata la vista, che ho sussurrato a Tina seduta al mio fianco: “Prendi un taxi. Prendi un taxi”. Eseguendo le mie richieste come sei anni fa, Tina ha fatto fermare il ciclo pousse e mentre io me ne stavo seduto su un gradino con la gamba destra distesa e contratta, ha telefonato a un conducente di bagagi, quelle Api Piaggio gialle che forse in Asia sono il mezzo di trasporto più diffuso, che in inglese si chiamano “Three weels” e che circolano anche in Madagascar. Tina lo ha chiamato quattro volte, ma dopo un quarto d’ora, non essendo ancora arrivato, abbiamo dovuto prendere un altro ciclo pousse. A casa mi sono disteso a letto con la gamba destra dolorante (il liquido iniettato, oltre al chinino, conteneva antibiotico), ma mi sono subito accorto del giovamento. L’indomani mattina, benché io da anni non possa dire di riuscire a fare tutta una tirata di sonno, era tutta un’altra musica.

La seconda iniezione, nella chiappa sinistra, praticata come il giorno prima nell’ambulatorio che vediamo qui in foto, è stata del tutto indolore. Non mi ha reso zoppicante e nemmeno mi ha fatto provare la sensazione di collassare. Mentre la spiegazione di questo, che mi sono dato, faceva riferimento alla scomparsa della grande debolezza dei giorni precedenti, la sera Tina mi ha spiegato il vero motivo della diversa reazione del mio corpo alle due iniezioni. Al mattino del 16 aveva incontrato Emerentienne al mercato e le aveva spiegato l’esito doloroso della puntura. Le aveva chiesto di usare l’ago per i bambini. Sono grato a entrambe per questa sostituzione. A me non sarebbe venuto in mente. La levatrice, infatti, mi aveva chiesto se ho paura delle iniezioni e io le avevo risposto che non sono abituato a farle. L’ultima, proprio in Madagascar, presso il dottor Razaka. Forse il chinino si può assumere anche per altre vie, non so, ma sull’etichetta della bibita analcolica chiamata TONIC, di proprietà della Coca Cola, c’è scritto che contiene chinino.

C’è però un lato negativo in questa storia. E non è tanto il fatto che voi non potrete vedere il mio sacro deretano, o almeno la parte superiore di esso, perché Tina, incaricata d’immortalare l’epocale evento, si era dimenticata di accendere la macchina fotografica, quanto il fatto che nel frattempo, la mattina del 16, Tina si era svegliata di pessimo umore e aveva cominciato a fare la prepotente, come avviene in simili casi. E’ passata al metodo del ricatto, dicendomi che non mi avrebbe accompagnato a Tanà nei prossimi giorni se non le avessi dato il milione di ariary, circa 330 euro, che si aspettava, alla partenza da Tulear e non al nostro arrivo nella capitale. Dice che poi io cambio idea e che non si fida più di me. Per la verità, la fiducia è stata raramente presente nel nostro rapporto, ma nel mio caso ne ho sempre avuto ben d’onde, conoscendo l’inaffidabilità dei malgasci (vedasi il conducente del bagagi che, chiamato per telefono anche il giorno dopo, non si è proprio presentato). A nulla è servito farle notare che sono molto contento di vederla lavorare e, in effetti, a vendere nelle sue zone, con il prezzo maggiorato, i vestiti che ha sempre comprato a Tanà con i miei soldi, è piuttosto bravina. Alla fine, ho capitolato, non potendo fare diversamente. Ho accettato le sue condizioni. Le darò i soldi sabato 20, prima di recarci alla gare routierre di Tulear, in cambio della promessa che per nessuna ragione al mondo farà più la prepotente, con me, fino al 30 settembre, cioè quando lei e Michel, il nostro taxista di Tanà di fiducia, mi porteranno all’aeroporto di Ivato. Intanto però, a fare la seconda puntura, mi ci ha mandato da solo.

E non basta! Quando sono rientrato, senza zoppicare e con sufficienti energie per farlo, ho scoperto che mi aveva chiuso fuori di casa. Se n’era semplicemente andata dalla sua amica Nazma. Aveva voluto farmi l’ennesimo dispetto, o forse semplicemente farmi capire che in Madagascar, a casa sua, è lei che comanda, anche quando il marito torna da una puntura di chinino e sta cercando di guarire dalla malaria. Sono andato presso alcuni suoi parenti nel villaggio a chiedere dove fosse. Non lo sapevano. Ho supplicato che la chiamassero telefonicamente, visto che il mio cellulare era chiuso in casa, ma non avevano credito. Bugiardi come sono i malgasci, figurarsi se fanno un piacere a un vazaha in difficoltà. Quando poi mi sono diretto verso Analatsimavo, l’ho incontrata che ritornava a bordo di un ciclo pousse. Emerentienne l’aveva chiamata per sapere perché mi avesse lasciato andare da solo a fare la seconda iniezione, ma lei se l’era presa comoda.

Già dal 15 settembre, quando ancora era servizievole con me, Tina mi aveva procurato delle pastiglie di vitamine concentrate, della Sandoz, insieme alla famosa Spirulina in scaglie. Entrambe le sostanze, quella chimica e quella naturale, si sciolgono in mezzo bicchiere d’acqua, ma mentre nelle pastiglie di vitamine hanno messo un aromatizzante all’arancia, che ne rende gradevole il sapore, con le scagliette dell’alga Spirulina, analoga della Clorella che prendo già da tempo, sembra di bere acqua di palude. Indi per cui, ho preso l’abitudine di masticarne alcune scagliette, ogni giorno, cosa che non le rende poi troppo nauseanti. Servono per disintossicare l’organismo e per aggiungervi sali minerali. Oltre a ciò, non mancano nella mia dieta attuale, volta a recuperare le energie, banane, arance, ananas e papaia. L’ideale, per una perfetta salute, sarebbe essere circondati da persone amorevoli, o almeno amichevoli, ma evidentemente il Madagascar non è terra di ideali. Si spera sempre in un mondo perfetto, ma questo, al momento, è ciò che passa il convento. E con la malaria non è ancora finita. A differenza di sei anni fa la debolezza è tornata, i miei occhi continuano ad essere quelli gialli di un itterico e nel pomeriggio andrò a fare anche la terza e ultima puntura. Che spero sia anche l’ultima puntata.

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