lunedì 4 luglio 2016

Se sentirete piovere saranno i loro sputi


L’inno di Mameli non è stato scritto per essere scimmiottato in uno stadio nel giorno in cui 10 italiani sono stati barbaramente massacrati da degli incivili. Lo cantavano i ragazzi che andavano a morire per l’amor di Patria e per difendere l’Italia dall’invasore austriaco. Non ce l’ho proprio fatta ad accendere la tv e sentire quell’inno, vedere uno stadio pieno di gente con la mano destra sul cuore e con la sinistra tenere una trombetta per strombazzare in caso di vittoria. Non è quella la mia Italia. 

 
Ho guardato il tg ieri sera con tutti gli approfondimenti possibili sul massacro, ma poi quando la giornalista ha detto: “adesso passiamo agli europei” mi è salita la rabbia più assurda. Ho spento tutto e mi sono messo al pc a scrivere quel post che avete letto, condiviso e commentato in migliaia. E’ vero che la vita debba continuare, ma è pur vero che in questi casi ci voglia il massimo rispetto. Qualcuno mi ha scritto che è come quando muoiono i genitori e giustamente si dovrebbe continuare a vivere. Gli ho risposto che è come se nel giorno dei loro funerali un figlio andasse allo stadio con la trombetta. Questione di sensibilità, delicatezza e dignità.
Gli italiani hanno un milione di problemi, sono anche i miei problemi e c’è chi decide di sfogare i propri istinti col calcio e chi preferisce fare altro. Preferisco aprire un foglio bianco e scrivere su qualche riga quando la rabbia mi diventa incontrollabile.
L’ultima volta che ho visto la mia Italia orgogliosa di cantare quell’inno di Mameli è stato il giorno dei funerali dei ragazzi di Nassiriya. Ricordo che siamo rimasti ordinatamente in fila per intere giornate per rendere omaggio al Vittoriano a quei ragazzi, morti per un attentato terroristico. Ricordo i pub che chiudevano per rispetto, tanti ragazzi e ragazze mollare tutto, prendere il tricolore e mettersi in fila anche per 10 ore. In questi ultimi anni però, qualcosa è cambiato, ci stiamo abituando agli attentati e li stiamo normalizzando nella nostra mente. Preferiamo pensare ad altro, girare la testa dall’altra parte.

L’ipocrisia ci porta a pensare che tanto prima o poi succederà ma non a noi, toccherà sempre agli altri. I fatti di Sesto Fiorentino dovrebbero farci capire quanto siamo ormai ridotti a un territorio di conquista di culture più forti e arroganti. Quando torno nel quartiere dove sono cresciuto e dove per 5 anni ho fatto il consigliere, vedo scritte in arabo, vedo la scuola Carlo Pisacane con uno striscione arabo e mi viene l’angoscia. Quando in quello stesso quartiere, a 4-5 chilometri dal centro di Roma, ai microfoni de La7 sento dire che farsi saltare in aria per Allah è cosa giusta, che la strage di Charlie Hebdo è stata la giusta risposta a vignette provocatorie e così via, è davvero troppo. Oppure sento dire che le donne devono coprirsi per non provocare gli istinti animaleschi degli uomini, che se le donne non si coprono gli uomini sono legittimati a violentarle. 
 
Non è questione di razzismo. Chi parla di razzismo e rievoca vecchi fantasmi lo fa solo ed esclusivamente perché con queste cose ci lucra e ci tira fuori un ricco stipendio. I fatti di cronaca delle ultime ore hanno svelato una verità che tutti conoscevamo. C’è un giro di soldi sotto l’immigrazione da far invidia ai migliori traffici di droga. Nessuno di noi è razzista ma dobbiamo constatare che interi quartieri stanno diventando dei ghetti fuori controllo. Dobbiamo constatare che non si tratta di integrazione ma di occupazione lenta e costante. Qualche tempo fa pubblicammo su centro-destra.it la testimonianza di un italiano che viveva in Belgio e che raccontava di come l’occupazione del quartiere abbia avuto inizio dall’acquisto di una casa, poi di una palazzina e poi dell’intero isolato. Quando poi il quartiere era diventato il loro, gli estranei diventavano sgraditi e così le poche case rimaste venivano svendute. In quei quartieri ora non si può entrare neanche con una telecamera, come se fossero luoghi dove non vige la Costituzione Europea e le leggi dello Stato sovrano. 
 
Dobbiamo decidere se voltarci dall’altra parte o riprenderci il nostro Paese. Per me è benvenuto chiunque abbia voglia di integrarsi e sia pronto a rispettarmi e a ottenere il giusto rispetto. Non sono tollerante però, con chi mi entra in casa e mi mette i piedi sul tavolo.
 
Sono stanco delle partite di calcio, della tv che vi riempie la testa di stronzate pur di non farvi pensare. Una volta in tv c’erano le lezioni di cultura e si insegnava la grammatica italiana. Adesso pur di inseguire ascolti televisivi alti e introiti pubblicitari si abbassa il livello riempendo la tv di telenovelas e programmi di intrattenimento che vi tengono buoni e zitti davanti alla tv. Stesso discorso vale per la carta stampata che cerca di piazzare più copie possibili.
Ho visto qualche mese fa la mia Capitale, Roma salvata per un soffio dallo scioglimento per mafia. Un’ondata di una cinquantina di arresti ma nessuno si è mosso, nessuno è sceso in piazza. Pochi giorni dopo però, un’onda di gente si è riversata all’aeroporto di Fiumicino per l’arrivo di un giocatore, paralizzando lo scalo. Non so neanche chi fosse ma queste cose mi fanno diventare nero. Perché avrei voluto vedere quella folla paralizzare la città, proprio come fanno in Francia e negli altri paesi civili. Ci sono delle persone che sono andate regolarmente in pensione dopo una vita di sacrifici e per colpa della legge Fornero non ricevono la pensione e sono costrette alla fame. No, ma non è il caso di protestare, meglio pensare al circo del calcio. Panem et circensem è l’espressione latina per descrivere questo sistema millenario di controllo delle masse. Dare alla gente il grano necessario per sopravvivere e gli spettacoli dei gladiatori è stata per secoli la ricetta romana per il mantenimento dell’ordine pubblico. Ha funzionato bene, finché non sono arrivati i barbari. Quando le urla dei nostri vicini di casa, sgozzati perché infedeli, copriranno le trombette degli stadi ci accorgeremo di cosa sta avvenendo nelle nostre città. Solo allora potremo fare come gli antichi romani: soccombere in silenzio. 
 
Chissenefrega se 10 connazionali sono stati sgozzati come dei cani dai terroristi islamici del Isis solo perché non conoscevano a memoria i versetti del Corano. Noi italiani stasera abbiamo altro a cui pensare. Abbiamo la partita contro la Germania. Dobbiamo credere nella Grande Italia campione del mondo. Poi chissenefrega se gli italiani muoiono, se interi quartieri della nostra Italia siano in mano agli islamici che dettano legge e convertono le nostre scuole in moschee; chissenefrega se a Roma – Torpignattara qualcuno vada in giro a dire che sia giusto morire per Allah e a farsi saltare in aria. Noi stasera abbiamo altro di molto più importante da fare. Dobbiamo metterci in piedi davanti alla tv con il pugno sul cuore a cantare l’inno. L’inno di quei ragazzi che andavano a morire per difendere la Patria, di quei giovani ventenni che lasciavano tutto per combattere gli austriaci invasori. Chissà se da qualche parte del cielo vi stiano guardando. Spero di no. Se sentirete piovere saranno i loro sputi. Sono morti per un popolo di coglioni. Abbiamo gli invasori in casa e stiamo guardando la partita. Stavolta non ho parole. Mi fermo per non andare oltre. Sono schifato. Mettetevi la fascia al braccio, quella sugli occhi l’avete già. Comunque andrà, l’Italia avrà perso. Gli italiani avranno perso la propria dignità. Vi pensate che in Europa la Germania smetterà di comandare perché avremo vinto una partita? Dai dai, sta per iniziare la partita. Ohi, tutti a cantare mi raccomando, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò.

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