domenica 22 aprile 2018

I falsi Giacobini


Fonte: L’Officina

Il Movimento Cinque Stelle sta collezionando una serie di pasticci che ci induce a sperare che questi miracolati della politica siano esclusi da ogni prossimo governo. Concepiti dal nulla rabbioso di elettori stanchi di una partitocrazia arrogante ed incapace, privi nella quasi totalità di curricula degni di nota e di esperienze lavorative, i seguaci di Beppe Grillo stanno ampiamente dimostrando di non possedere nessun programma che non siano i soliti triti e ritriti slogan elettorali: non hanno nessuna certezza né sul rapporto da tessere con l’Europa dei banchieri, che un giorno esaltano e l’altro crocefiggono; non hanno capito che non c’è alcuna possibilità nel nostro disastrato paese di concedere redditi di cittadinanza, neppure facendo i tripli salti mortali. E, restando nell’attualità partitica, non hanno ancora deciso se imbastire un governo con la Lega (come vuole Toninelli) o con le sinistre (come vuole il clan Di Maio), essendo solo interessati ad accalappiare più posti di potere possibile.



In compenso vogliono a tutti i costi tagliare i vitalizi degli ex parlamentari: lo vanno urlando in maniera ossessiva e demagogica perché è l’unica certezza del loro programma. La furia giacobina di questi Robespierre d’accatto non consente loro di considerare che i vitalizi dei parlamentari sono già stati aboliti da anni e le cosiddette pensioni d’oro degli ex parlamentari di cui blaterano si riducono mediamente a meno di due mila euro mensili che equivalgono a poco più della pensione di un insegnante e che, per gli ex deputati della Camera, sono già gravati da un consistente contributo di solidarietà. Questi signori, e i loro sodali giustizialisti, fingono di ignorare che non tutti i parlamentari che si sono succeduti dal 1945 a Palazzo Madama o a Montecitorio hanno pensato a tessere intrallazzi o a rubare. La stragrande maggioranza di loro, oltre a dei percorsi professionali qualificati, aveva alle spalle un passato di idealismo e di attività politica gratuita; molti avevano abbandonato le loro attività civili rimettendoci in termini economici e interrompendo brillanti carriere per spirito di servizio e la pensione che percepiscono attualmente non li ripaga che minimamente dell’impegno devoluto e dei sacrifici sostenuti.


L’onorevole Meloni, che pare condividere la furia grillina, dovrebbe sapere che nella storia del suo partito ci sono sì stati rari personaggi che hanno preso casa a Montecarlo, ma vi sono stati anche galantuomini come Araldo di Crollalanza che, dopo una vita al servizio delle sue idee come ministro di Mussolini e come parlamentare missino, ha lasciato ai suoi familiari solo il mutuo di una casa da pagare. L’onorevole Salvini, anch’egli costretto a schierarsi a favore dei tagli, dovrebbe ricordare che chi lo ha preceduto su quegli stessi scranni leghisti che oggi lui occupa, devolveva al partito più del 70 % dei loro introiti parlamentari e rinunciava a qualsiasi privilegio di casta, dormendo a Roma in due per camera in alberghi di periferia, senza far uso dei taxi del Presidente Fico o delle auto blu alle quali aveva rinunciato.

Allora, primi anni novanta, quando i pentastellati non esistevano ancora se non nell’immaginazione di Beppe Grillo e i futuri onorevoli bighellonavano trastullandosi sul computer e facendosi magari mantenere da papà, vi era già in Parlamento chi, come lo scrivente e i senatori Donato Manfroi (Lega Nord) e Luigi Biscardi (PD-Ulivo, con un emendamento bipartisan, provvedevano a far abolire il doppio stipendio per i parlamentari (finanziaria Amato 1993). Un elettorato arrabbiato e distratto non ha ancora percepito che i nuovi giacobini di Di Maio, oltre a veicolare messaggi demagogici e sgrammaticati sul web, danno segnali sempre più evidenti di incompetenza e contraddittorietà.


L’onorevole Roberto Fico, eletto presidente della Camera, nel giorno dell’insediamento si è presentato a Montecitorio a bordo di un autobus pubblico. Social e fans sono impazziti, dimentichi che nei cinque anni di legislatura (2013 – dicembre 2017), il buon Fico aveva speso oltre 15mila euro di taxi per spostamenti vari, mentre i soldi spesi per il bus sono stati 677 euro e trenta centesimi: un po’ pochi per uno abituato a spostarsi con questo mezzo pubblico. Evidentemente, o si è scordato di farsi rimborsare qualche biglietto, oppure non è salito così spesso su un pullman. Del resto, di Fico i giornali si occuparono fin dal 2016 ai tempi del suo “telefono d’oro” e delle bollette da 12mila euro, poi nel 2017, quando rivestiva la carica di portavoce del partito: dei 7.582,50 euro dichiarati allora, 1.400 euro se ne erano andati per il canone di affitto e altri 1.182,59 euro per “utenze, pulizie, manutenzione e altro”.

Spulciando a caso sulla vita di questi ragazzotti, appare che sono ingenui e spontanei solo apparentemente. Nessuno dei senatori del Movimento Cinque Stelle, sempre attenti agli sprechi, ha ad esempio fatto presente al presidente Grasso nella passata legislatura che, mentre gli ex deputati pagano da più di un anno un “contributo straordinario” che per i più anziani supera i 500 euro, senatori ed ex senatori continuano a tutt’oggi a non pagare una lira di contributo di solidarietà. Una caratteristica della vecchia politica era quella di assicurare una poltrona sicura ai raccomandati candidandoli in più collegi. Grasso, Franceschini, Bersani, Minniti e la Boldrini, ad esempio, trombati nei collegi uninominali, sono stati ripescati col paracadute del proporzionale. Credevamo che queste agevolazioni fossero una caratteristica dell’ancien régime; abbiamo invece appurato che i grillini fanno le stesse cose.


Riccardo Fraccaro, ad esempio, ministro dei Rapporti con il Parlamento nel governo-ombra proposto prima delle elezioni da Di Maio, è tra i molti pentastellati ad essere stato pluricandidato nelle ultime politiche: nel collegio uninominale per la Camera di Pergine Valsugana, dove è stato superato sia dal candidato del centrodestra che da quello del centrosinistra e nel collegio plurinominale del Trentino-Alto Adige da dove è stato ripescato. Doppia candidatura voluta dai big del partito forse per premiare la sua assidua partecipazione alle votazioni della Camera (58.5%) o per l’impegno profuso nelle proposte di legge presentate nella precedente legislatura (3).

Tornando sull’adeguamento dei vitalizi al sistema contributivo che comporterà un risparmio di meno di un’ottantina di milioni, va sottolineato che la prima bozza del progetto prevedeva anche un taglio per i parlamentari in carica: poi qualcuno deve aver loro detto che anch’essi sono in carica e hanno deciso di penalizzare solo i vitalizi degli ex entrando però in una spirale pericolosa. Chiunque può infatti capire che questo provvedimento, oltre a prestarsi ad una valanga di ricorsi, mette a rischio le certezze di milioni di lavoratori, baby pensionati in testa (il cui costo non è di 200 milioni come per gli ex parlamentari, ma di circa 9 miliardi annui) dal momento che in Italia il 90% delle pensioni non sono agganciate al sistema contributivo.


Sono, queste, considerazioni che una popolazione con un quarto di “analfabeti funzionali” (cifre fornite dall’OCSE che ci pone al secondo posto dopo la Turchia) non è forse in grado di fare e su questi numeri i grillini fondano le loro attuali fortune politiche. Tanto, anche se questa odiosa legge retroattiva dovesse venir bocciata, i cinquestelle potranno sempre dire di averci provato. Del resto, questa è la carta vincente per riunire il partito di governo di Di Maio e Casaleggio che amoreggia con le lobby finanziarie, il Vaticano e le cancellerie europee e il movimento di Grillo che da fuori potrà ancora inveire contro i parlamentari «abbarbicati come cozze ai loro privilegi».

Che altro possono fare di diverso? Non certo il reddito di cittadinanza che potrà al massimo contemplare per il 2019 un ampliamento del reddito di inclusione targato Pd. Il superamento della legge Fornero sulle pensioni? Si comincerà con qualche segnale minimo: al massimo si potrà arrivare alla proroga di “opzione donna” e all’estensione dei lavori usuranti. La riforma Irpef da 13 miliardi? Pia illusione. La spending review da 30 miliardi annui? Nessuno si illude che l’aggressione alla spesa pubblica improduttiva possa portare, almeno nei tempi brevi richiesti, a risultati simili. L’Italia dovrà confrontarsi con Bruxelles per sventare l’imposizione di una manovra correttiva di 3,5 miliardi. Altro che i vitalizi dei parlamentari e il risparmio di un’ottantina di milioni! Il fatto è che, anche per i “giacobini di pezza”, prima o poi le campagne elettorali finiranno e anche i loro elettori dovranno destarsi dai loro sonni.

3 commenti:

  1. Da far leggere a tutti i grillini. Dovrebbe essere pubblicato su.....il fatto quotidiano!

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  2. Sono andato a leggere l'articolo sul blog L'officina ma non ci sono le figure. Chi le mette allora e da dove vengono riprese?

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