mercoledì 13 giugno 2018

Quando il leone, o il cervo, vengono sfidati da un conspecifico


Parto da lontano, da quando i Kurgan invasero l’Occidente e posero fine alle matriarcali società gilaniche. I Kurgan erano guerrieri e patriarcali. Noi, oggi, ragioniamo come loro, ma se l’uomo medio occidentale in questo momento storico ha molto attenuato la propria bellicosità e anzi sta affrontando una crisi di identità iniziata negli Anni Settanta dalle femministe, ci sono etnie chiuse, quasi delle enclavi all’interno della società, in cui i caratteri dei Kurgan sono ancora piuttosto evidenti. Mi riferisco a Rom e Sinti, che non hanno mai voluto integrarsi con il resto della popolazione per il disprezzo atavico nei confronti di noi sedentari. Ci sono ragioni storiche di questa separazione fra due culture e non sto qui a ripeterle. Una caratteristica dei Kurgan che le popolazioni nomadi hanno mantenuto è il maschilismo, che discende ovviamente dal patriarcato.


Secondo il mio modo di ragionare, il maschilismo è sbagliato se considera l’uomo superiore alla donna allo scopo di prevaricarla, ma può essere giusto se, partendo da tale assunto, si pone come obiettivo la protezione della donna, così come quella della prole, entrambi istinti naturali. Ragioni storiche e biologiche s’intrecciano nel portare a questo risultato. Nel Medioevo nessuno ci vedeva niente di strano nel considerare la donna inferiore all’uomo (Fe-minus, di minor fede), ma in letteratura nasceva il “Dolce stil novo”, dove la donna assumeva una natura angelicata. E’ il caso di Dante e Beatrice, o di Laura e il Petrarca, mentre presso i nobili cavalieri nasceva l’imperativo morale di proteggerla dai prepotenti: emblematico è Don Chisciotte e Dulcinea. Siamo ancora in ambito letterario, ma con addentellati reali storicamente accertati.

E veniamo al fattaccio che offre spunto a questa discussione. Due Rom, ospiti del Poderaccio di Firenze, litigano. Sono suocero e genero, il primo 65enne, il secondo 43enne. Il genero colpisce con un pugno in faccia il suocero, accusandolo di interferire con la sua vita matrimoniale e minacciando di lasciare sua figlia. A questo punto procedo con le ipotesi. Il suocero vede lesa la sua rispettabilità, perché nelle culture patriarcali gli anziani godono del massimo rispetto e prendersi un pugno in faccia non è, precisamente, un’espressione rispettosa. Poi riceve l’avviso ricattatorio di un possibile divorzio, cosa disdicevole e vergognosa per i Rom che, a dispetto di tutto, sono molto attaccati alle tradizioni, soprattutto al concetto di famiglia con relativi rituali. Esempio: quando in una corsia d’ospedale, nel reparto maternità, vedete molti mazzi di fiori appoggiati sul pavimento alle pareti, lì c’è una Rom che ha appena partorito. Altro esempio: quando ai bordi delle strade a intenso traffico trovate un cenotafio con tanto di foto del morto e fiori di plastica, lì è successo un incidente dove ha perso la vita un Rom. Amore e morte, la nascita e il trapasso sono archetipi che per queste popolazioni primitive, detto senza connotati dispregiativi, sono molto importanti.

Ecco che il suocero, Amet Remzi, aiutato dal nipote Mustafa Dehran, sale in macchina e decide di vendicarsi del genero, inseguendolo per le strade della città. La macchina dell’inseguito viene mandata fuori strada, ma l’uomo a bordo subisce solo un trauma cranico. I due inseguitori, invece, colpiscono Duccio Dini, fermo a un semaforo sul suo motorino e lo mandano in coma. Morirà dopo qualche ora, aiutato a morire dai genitori frettolosi che concederanno l’espianto a cuore battente, ai vampiri in camice bianco, sempre assetati di organi da trapiantare. Ma questo è un altro discorso.

Non c’è dubbio che, tornando al comportamento senza mediazione dei Rom, il genero abbia commesso un grave atto di mancanza di rispetto, sicuramente esasperato da un suocero impiccione e un tantino rompicoglioni. Ecco che emerge uno degli aspetti negativi della vita del clan: il clan protegge ma limita la privacy, difende dagli attacchi del mondo dei “Gagi”, ma obbliga a convivenze spesso stressanti e generatrici di tensioni. Konrad Lorenz che, in quanto etologo conosceva bene la natura umana, parlava di “sindrome della tenda”. Non entro, qui, nei dettagli.

Se qui e ora posso permettermi di concludere che una caratteristica dei nomadi odierni è il loro alto livello di aggressività, derivante per via genetica dai nomadi Kurgan che sopraffecero le società gilaniche, è perché ho altri termini di paragone. E’ perché ho conosciuto altri nomadi della mia zona che, stando alle notizie di cronaca nera, presentano un’analogia stupefacente, dalla quale secondo me si possono trarre delle regole aventi valore universale. Anche nel recente passato dei Sinti con cui ho avuto a che fare per lavoro, c’è un suocero che viene ai ferri corti con il genero. E c’è quindi una donna contesa, figlia del primo e moglie del secondo. Azzardo ancora un’ipotesi. Cedendo una figlia a un pretendente, il nomade non la cede mai del tutto, ma nella sua testa, considerando i figli come oggetti di proprietà, resta sempre un suo possedimento. E’ una specie di comodato d’uso. Ti presto mia figlia, la sposi ma rimane sempre….mia. Questo dev’essere il modo bizzarro di ragionare di un nomade, sia esso Rom o Sinti o Caminante o Giostraio o Calderas, ammesso che questi ultimi esistano ancora.

Veniamo ai fatti di cronaca. Nel 2011 tre Sinti sparano alle gambe di un albanese, marito della figlia dello sparatore. Essendo di un’etnia diversa, può essere che il Sinti sparatore non sia mai stato molto contento di concedere la propria figlia in sposa a un “Gagi”, benché balcanico. Poi, gli albanesi sono musulmani, mentre i Sinti sono cattolici e questo può aver inciso nell’avversione del suocero, che all’epoca dei fatti aveva 37 anni. Abbiamo già detto che per i nomadi, per lo meno quelli che vivono sul territorio italiano, la religione è molto importante, nonostante a mio avviso sia vissuta in modo superficiale e senza aver minimamente compreso il messaggio cristico. Dopo sette anni, cioè un paio di mesi fa, siccome il matrimonio non si era concluso con il divorzio, suocero sparatore e albanese sparato si ritrovano in un bar del paese dove vive il suocero. Da questo momento in avanti mi devo affidare al gossip, perché non ho trovato riscontri sulla stampa locale, dato che la fonte è la mia fornarina di fiducia.

Come nelle carceri esiste il “divieto d’incontro” tra detenuti, così sul pianeta-prigione chiamato Terra esiste la stessa cosa, senza codici e regolamenti carcerari, ma affidata al caso e alla consuetudine. I due, suocero e genero, si ritrovano al bar. Non si sa perché, forse per una leggerezza della figlia del primo, che sperava fosse tutto finito. Vengono alle mani, la ragazza s’intromette e ne ricava un braccio rotto. Il bar viene sfasciato dalla furia dei due uomini. Arrivano i carabinieri. Nessuna denuncia viene inoltrata, altrimenti forse ne avrei trovato traccia sui giornali.

Morale della favola, cioè dell’incubo. In certe etnie, il cervello rettiliano prevale sulla corteccia, l’arte della diplomazia, la tolleranza, la calma e il dialogo per risolvere le controversie, sono del tutto sconosciuti. Si passa subito alle botte. Il leone maschio, o il cervo, a capo di un harem di femmine, lotta con tutte le sue forze quando gli si presenta un giovane maschio per prendere il suo posto. Il vecchio leone, o il cervo, sa che se perde il confronto il suo destino sarà quello di una vita raminga, senza la protezione del branco, in cui può essere facilmente vittima dei predatori. Questi possono essere i ragionamenti profondi del cervello rettiliano umano, il nucleo che ha milioni di anni di evoluzione incamerati nelle sue acquose fibre.

Voi direte: ma è orribile! Certo! Altrimenti i neurologi non lo avrebbero chiamato cervello rettile. La corteccia cerebrale è tutta un’altra cosa. E’ il risultato di tutti quegli avanzamenti di civiltà, sedimentati nei secoli, che ci hanno fatto diventare uomini maturi, socievoli e cooperanti. Se si usasse più la corteccia del cervello rettiliano, si verificherebbero molti meno casi di cronaca nera e, considerata in quest’ottica, la faccenda dei crimini e di tutti gli altri atti di prevaricazione del più forte nei confronti del più debole, avrebbe almeno una spiegazione scientifica. E’ ovvio, affinché non mi si accusi di essere razzista, che questi meccanismi deleteri non sono prerogativa dei nomadi, ma si riscontrano anche nei sedentari, perché l’uso di una parte antica del cervello, rispetto a una recente, varia da individuo a individuo, in tutte le etnie, sulla base principalmente di due fattori, la genetica, appunto, e l’educazione, in vario grado e misura. 

2 commenti:

  1. Dai cazzo free animals! ( da I soliti idioti non li conoscevo) Ma solo dalle foto li c'e'da entrare con un cater pillar e spianare tutto ,ecco xche' e'entrata sta gentaglia vi perdete in analisi cavillose cercate LA logica il complicato con genTe che vive come barbari va bene che siamo pease tributario ma qui e' uno stillicidio quotidiano vi umiliano in tutte le maniere anche con Fico ma si puo metter sta checca a dirigere I dibattiti alla camera ,sembra di senture Solange c'e'da diventare apolidi ,LA quintessenza Della vergogna farsi invadere da sti diseredati , dovreste imparare a fare come I Thai ,chi non ha soldi raus ! Per chi gira senza documenti o visto galera e raus! Cosi si fa !

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    1. Gli zingari sono arrivati dall'India, in Europa, intorno all'anno mille e non hanno mai avuto vita facile.

      Sapere le cose, esercitare l'intelletto è sempre preferibile al mettere mano alla spada.

      Per far scorrere il sangue c'è sempre tempo.

      Tuttavia, il tuo desiderio di ordine e di giustizia senza prevaricazione è ampiamente condivisibile.

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