giovedì 8 dicembre 2022

Orco boia!



Immagino sappiate cos’è un endemismo. Si tratta di specie animali o vegetali che si riscontrano solo in una determinata zona circoscritta, in genere un’isola. Nel mio caso, si tratta di un Boa del Madagascar, il cui nome preciso è Boa di Dumeril. Come se il riconoscimento delle specie animali non fosse già difficile, qui abbiamo due erpetologi, padre e figlio, entrambi francesi, ed è ovvio che sia così perché il Madagascar, prima di conquistare, non senza perdite militari, l’indipendenza, era una colonia francese e gli scienziati francesi vi avevano ovviamente libero accesso. Il padre, André Marie Constant Dumeril e il figlio Auguste, che seguì le orme paterne, furono valenti professori alla cattedra di zoologia di Parigi. Io non so a chi dei due è stato intestato il boa del Madagascar, ma uno vale l’altro. Ciò che c’è da sapere è che le foto furono fatte nel 2008 e mi ritraggono con un esemplare attorcigliato ai polsi. I malgasci hanno terrore dei serpenti, benché sull’isola, come del resto anche in Sardegna, non ve ne siano di velenosi. Si tratta di una paura atavica, paragonabile a quella nei confronti dei ragni. Così ad occhio direi che l’aracnofobia sia più diffusa dell’ofidofobia, ma entrambe risalgono a quando i nostri antenati, vivendo a contatto della natura, avevano seri problemi di relazione sia con i ragni che con i serpenti. A livello pratico, questi ultimi erano molto più pericolosi dei primi, avendo causato – e causando tuttora – molti più morti, fra gli esseri umani, di quelli causati dai ragni. Eppure, forse perché i ragni sono più “alieni” dei serpenti, ci fanno più paura. Io non prenderei mai in mano un ragno, ma i serpenti sì, dopo averne constatato l’effettiva non pericolosità. Già da ragazzo, prendevo con le mani biacchi e colubri, i primi più aggressivi dei secondi, per non parlare degli orbettini che non sono neanche serpenti, ma lucertole senza zampe. Ebbi tempo fa, in casa, anche un’iguana, che non suscita repulsione a nessuno, forse perché, come noi, dotata di zampe, a differenza dei serpenti. 




Entrando nel merito, nel 2008 mi trovavo in affitto nel bungalow di madame Fanja, una malgascia compagna di un pensionato francese, monsieur Bernard. Attorno al bungalow era tutta boscaglia arida, quella che localmente viene chiamata “brousse”, l’ambiente ideale per il boa. La signora Fanja, sapendo che noi bianchi in genere, e forse il sottoscritto in particolare, siamo tipi strani, fissati con gli animali, avendo trovato un boa nel suo terreno, mi mandò a chiamare dai suoi guardiani, che si avvicinarono a me, per la foto di rito, solo quando avevo il boa sotto controllo. Tanto è vero che non resistetti alla tentazione, fatte le foto, di spaventare i due guardiani, come da ragazzi spaventavamo le ragazzine con rane, lucertole e altre bestioline, vedendoli scappare, quei bravi padri di famiglia non più ragazzini, a gambe levate. Fu una scena buffa, irresistibile.




Madame Fanja, stranamente, non era spaventata dal boa, ma con lei non mi permisi di scherzare perché era la mia padrona di casa, a cui pagavo l’affitto. Solo dopo molto tempo scopersi che non era una semplice casalinga, ma una “tromba”, pronuncia “ciumba”, ovvero il corrispettivo di “ombiasy”, stregone. In quanto esperta di arti magiche, non solo non si lasciava intimidire da un misero serpente, ma praticava anche i sacrifici di sangue uccidendo con le sue mani i poveri zebù, per scopi magici, cioè per ricavarne il sangue da usare in particolari riti. Questo suo ruolo così lontano dalla mia filosofia di vita, non le impedì di mostrare benevolenza, a me e alla mia compagna malgascia, prestandoci un quod con cui andammo a fare una gita fino a Mangily, dalla località di Ankilibe dove ci trovavamo.




Termino questo resoconto con un aneddoto riguardante la fine della storia, cioè cosa ne feci del boa. Lo portai lontano dai bungalow, in bicicletta, ai piedi della “montagna della Table”, così chiamata perché ricorda quella più famosa che si trova in Sudafrica. Lì giunto, aprii il coperchio del contenitore e lo feci uscire. Il boa subito s’infilò in un buco nel terreno, che solo lui aveva visto e di cui non mi ero accorto. Probabilmente, era la tana di qualche roditore, visto che i boidi non sono scavatori. Esistono serpenti che scavano tane sotterranee, ma non era certo il caso in questione, poiché la galleria era già lì quando arrivai. Ritornato a casa, la mia compagna malgascia mi chiese come avevo trasportato il “bibilava”, letteralmente “animale lungo”.




Dentro le “glacier”, la ghiacciaia di plastica per i pic nic, fu la mia risposta. Ovviamente, senza ghiaccio. La mia compagna si arrabbiò e mi ingiunse di non usare mai più quel contenitore mettendoci del cibo o delle bevande, perché ormai era...contaminato. I malgasci sono molto schizzinosi in fatto di cibo e neanche lavandolo si sarebbe potuto recuperare quella ghiacciaia portatile. Il giorno preciso in cui mi capitò questa avventura non me lo ricordo (è già tanto se mi ricordo l’anno), ma quella fu la prima e ultima volta che presi in mano un serpente costrittore. Fui fortunato perché quella particolare specie è di indole pacifica, a differenza di altri boidi, tra i quali ci sono i giganti della famiglia: l’anaconda sudamericana e il pitone reticolato dell’Indonesia, che possono arrivare fino a 10 metri di lunghezza. Il “mio” boa sarà stato lungo circa un metro e mezzo. In un certo senso, fu fortunato anche lui, che ci fossi io nei paraggi, giacché se i guardiannon fossero riusciti ad allontanarlo, probabilmente lo avrebbero ucciso.

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