Fonte:
Contropiano.org
Al
movimento contrario alla megadiga di Belo Monte ora si sommano le comunità
indigene che occupano le terre dalle quali sono state cacciate dalle
multinazionali e dai latifondisti. Chiedono la riforma agraria ma il governo,
per ora, risponde con la repressione.
Si
stanno estendendo a tre Stati del Brasile le azioni di protesta delle comunità
native per rivendicare il loro diritto alla terra: dopo aver invaso sette
proprietà rurali a Sidrolandia, nel Mato Grosso do Sul, comunità indigene hanno
organizzato manifestazioni anche a Curitiba, nel Paranà, e a Porto Alegre, nel
Rio Grande do Sul. Nelle ultime ore sono state occupate le fazendas (i latifondi) Cambarà e Lindoia, che sommate alle
aziende agricole di Esperanca, assaltate venerdì scorso, portano a quattro in
meno di una settimana le aree del Mato Grosso in mano agli indigeni.
La
rabbia sta ora montando anche nei confronti del governo della presidente Dilma
Rousseff, oggetto di pesanti critiche da parte del Consiglio indigenista
missionario (Cimi): ''Le demarcazioni sono paralizzate dal governo federale e
dai ruralisti'', accusa in una nota l'organo legato alla Conferenza episcopale
brasiliana. I popoli originari del Paese sudamericano, stanchi di attendere
invano la realizzazione di una riforma agraria più volte promessa ma mai
varata, hanno nei giorni scorsi
deciso di scendere in piazza, con archi e frecce, per chiedere indietro
i possedimenti che gli sono stati sottratti negli ultimi anni. Nella zona del
Mato Grosso do Sul, in particolare, la situazione continua a rimanere molto
tesa.
A
metà maggio, infatti, un consistente gruppo di indigeni Terena aveva occupato
un’enorme fazenda di 12mila ettari di proprietà di un politico locale, la
“Esperança” ad Aquidauana nello stato del Mato Grosso, una delle maggiori aree
per la produzione della soia di tutto il Brasile, non distante dal confine con
Paraguay e Bolivia. L’occupazione è durata per due settimane, ma giovedì della
scorsa settimana la polizia è intervenuta con violenza per eseguire
un’ordinanza del Tribunale che intimava agli indios di abbandonare le terre: di
fronte al loro rifiuto sono esplosi duri scontri in cui la polizia è ricorsa a
violenze spropositate per allontanare gli indigeni e ha causato la morte di uno
di loro, un uomo di 35 anni colpito da un proiettile di gomma, oltre che
diversi altri feriti.
Ma
il clima é infuocato anche altrove: gli indigeni che vivono sulle rive del
fiume Xingu, in Amazzonia, sono tornati infatti ad occupare il principale
cantiere della mega-diga di Belo Monte, sempre più determinati ad andare fino
in fondo in assenza di risposte concrete da Brasilia sui gravi effetti
collaterali provocati nella regione dalla costruzione del gigantesco impianto.
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