Fonte:
Agora Vox
Non
si può insultare impunemente l'Italia. Nemmeno se siamo alterati dalla rabbia e
ciò che diciamo non è ciò che pensiamo realmente a mente fredda. Lo stabilisce
una sentenza della Cassazione. Anche Dante sarebbe dunque reo di vilipendio
alla Nazione?
È
estate e col caldo si abbassano pericolosamente le difese immunitarie che
tutelano il bon ton. Per la
categoria dei bipedi inscatolati nelle quattro ruote, incolonnati in lunghe
file immobili sull’asfalto infuocato sotto il solleone cocente, direi che
precipitano ad un livello di allarme rosso. Se aggiungiamo lo stress da spread, le tasche semisvuotate dalla crisi, le tasse asfissianti, la minaccia
dell’Iva al 22%, ce n’è abbastanza per creare una miscela esplosiva di
turpiloquio, imprecazioni e invettive.
Ma
attenti contro chi imprecate. Finché ve la prendete con la parentela femminile
del malcapitato oggetto delle vostre colorite esternazioni, rischiate un occhio
nero se costui è grande, grosso e palestrato. Ma se il bersaglio dei vostri
giudizi poco lusinghieri è la Patria, è bene frenare la lingua. Altrimenti è
vilipendio alla Nazione. E a nulla vale poi scusarsi col caldo, lo stress e via
dicendo. Non vi valgono nemmeno le attenuanti generiche. Lo ha stabilito una
sentenza della Cassazione che ha condannato in via definitiva un autista 71enne
che, multato dai carabinieri perché guidava con un solo faro acceso, in un
accesso di rabbia si è lasciato andare a un poco elegante commento sul
Belpaese, catalogandolo con un epiteto escrementizio. Che detto davanti ai
rappresentanti della Benemerita è a dir poco imprudente.
Il
troppo arzillo vecchietto, dopo essere stato condannato in primo e secondo
grado, è stato sanzionato anche dai giudici della Prima sezione penale della
Cassazione, che hanno confermato la condanna in Appello dell’incauto ma troppo
loquace settantenne, che dovrà dunque pagare una multa di mille euro, pena
interamente coperta da indulto.
Per
commettere il reato, spiega la Corte, basta l’offesa alla nazione, un’ingiuria
che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale “a prescindere dai
vari sentimenti nutriti dall’autore”. I giudici della Suprema Corte spiegano
nelle motivazioni della sentenza che «Il diritto di manifestare il proprio
pensiero in qualsiasi modo non può trascendere in offese grossolane e brutali
prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva».
Per
integrare il reato, previsto dall’articolo 291 del codice penale, «è
sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da
intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua
e cultura, effettuata pubblicamente». Nel caso in questione, le espressioni
ingiuriose e di disprezzo rivolte all'Italia sono da considerarsi vilipendio e
come tali vanno severamente sanzionate perché ledono sia «oggettivamente il
prestigio o l’onore della collettività nazionale, sia nel profilo psicologico,
integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al
cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via
nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere
dai veri sentimenti nutriti dall’autore e dal movente, nella specie di irata
contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l’agente a compiere
l’atto di vilipendio».
Attenti
dunque a moderare le parole, fratelli d’Italia. L’Italia è come la mamma e la
mamma
si sa è sacra. A meno che le “offese grossolane e brutali” abbiano una qualche “correlazione con una critica obiettiva”. In quel caso, se vi resta la curiosità di sapere quali siano i termini di una “critica obiettiva” e a quali eventuali altre sanzioni andreste incontro, fate pure. E fateci sapere, ché per noi comuni mortali quale sia il criterio per misurare l’obiettività di una critica resta un mistero insondabile. Chissà se i giudici ermellinati condannerebbero anche Dante, che verso l’amata paria non fu per nulla tenero, apostrofandola senza mezze misure e pubblicamente come un inqualificabile bordello.
si sa è sacra. A meno che le “offese grossolane e brutali” abbiano una qualche “correlazione con una critica obiettiva”. In quel caso, se vi resta la curiosità di sapere quali siano i termini di una “critica obiettiva” e a quali eventuali altre sanzioni andreste incontro, fate pure. E fateci sapere, ché per noi comuni mortali quale sia il criterio per misurare l’obiettività di una critica resta un mistero insondabile. Chissà se i giudici ermellinati condannerebbero anche Dante, che verso l’amata paria non fu per nulla tenero, apostrofandola senza mezze misure e pubblicamente come un inqualificabile bordello.
Ma
forse la critica del Padre della lingua italica aveva il bollino
dell’oggettività. E poi lui non era stato multato, ma esiliato.
Immeritatamente, anche se forse un po' se l'era cercata. Diciamo che l’epiteto
volgare pareggiava l’offesa ricevuta. Invece, non sembra funzionare la legge
del taglione nel caso di una più banale multa, per giunta meritata, e dunque
nessuno si ritenga giustificato se commette lo sproposito di paragonare lo
Stivale a una cloaca. Ed anche quando la stagione si farà più fredda, e avremo
meno tentazioni, occorrerà tenere a bada la lingua. Non sia mai che incappiamo
nel reato di vilipendio, perché alle prime gocce d’acqua piovana, ci scappa un
«Piove. Governo ladro». Vaglielo a spiegare poi che Governo e Nazione non sono
esattamente la stessa cosa.
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