Testo di Giulio Meotti
Col suo saggio sulla pedofilia e il '68, Ratzinger ha tirato una bomba a mano contro l'edificio dei benpensanti. Sei anni fa, da bravo reazionario quale sono, pubblicai sul Foglio un lungo articolo intitolato “Il '68 dei pedofili”. Si va da Daniel Cohn-Bendit alle scuole tedesche che praticavano la pedofilia agli appelli sui giornaloni della sinistra francese. Il 26 gennaio 1977, in nome della “liberazione sessuale dei bambini”, Le Monde, bibbia della gauche, pubblicò una petizione per abbassare la maggiore età sessuale ai 12enni. Firmarono tutti, il poeta rosso Aragon, il semiologo Barthes, il filosofo marxista Althusser, gli psicoanalisti di grido Deleuze e Guattari, il fondatore di Medici senza frontiere Kouchner, Sartre e la sua compagna femminista de Beauvoir. Due anni dopo Libération definiva la pedofilia “una cultura volta a spezzare la tirannia borghese che fa dell’amante dei bambini un mostro da leggenda”.
Poi c’è il caso del maître à penser Michel Foucault, sosteneva che il bambino è “un seduttore” che cerca il rapporto sessuale con l’adulto. In America Alfred Kinsey, il “padre della rivoluzione sessuale”, sdoganò i “contatti nell’età prepubere con maschi adulti”. In Germania la rivista Konkret, che andava forte tra gli intellettuali di sinistra, negli anni Settanta e Ottanta pubblicò bambine nude con riferimenti sessuali. La dirigeva Klaus Rainer Röhl, il compagno di Ulrike Meinhof. Dice niente questo nome? La famosa banda Baader-Meinhof. Per questo il saggio di Ratzinger deve essere il più possibile tenuto basso. Meglio tornare a parlare di misericordia e migranti.
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