Le
mucche allevate al pascolo e che partoriscono in primavera possono mangiare l’erba quando è più
rigogliosa e particolarmente ricca di acidi grassi omega3, che ritroveranno
quindi concentrati nel loro latte e di conseguenza in tutti i suoi derivati
(burro, panna, yogurt, formaggio). Gli omega3 dell’erba passano anche nelle carni
dei bovini che se ne nutrono e nelle uova delle
galline allevate in libertà o alimentate con foraggio anziché con becchime. A
partire dagli anni 50, la richiesta di prodotti lattiero caseari e di carne bovina è però
talmente aumentata da costringere gli allevatori ad aggirare il vincolo imposto dal
naturale ciclo di produzione del latte e a ridurre lo spazio erboso medio
necessario per nutrire un singolo bovino. I
pascoli sono quindi stati abbandonati per passare all’allevamento in batteria, però mais, soia e
frumento, che costituiscono ormai l’alimento principale del bestiame, sono
particolarmente privi di omega3 mentre sono ricchissimi di omega6.
Gli
omega3 partecipano alla costituzione del sistema nervoso, rendendo le cellule più elastiche,
calmano le reazioni infiammatorie, e limitano la fabbricazione di cellule adipose.
Gli
omega6, invece, stimolano la fabbricazione di cellule adipose sin dalla
nascita e favoriscono l’accumulo di grassi, la rigidità delle cellule, la
coagulazione e le risposte infiammatorie alle aggressioni esterne. Fermi
restando che mais
e soia sono tra i principali responsabili dell’abuso di fertilizzanti chimici, pesticidi,
di acqua a livello planetario e contribuiscono più di ogni altra coltura al
degrado ambientale.
Ora,
gli inquinanti che riversiamo nei fiumi finiscono tutti in mare. Molti di questi sono
persistenti, ossia non si scompongono in elementi assimilabili dalla biomassa della
terra o del mare. Più si sale nella catena alimentare, più i quantitativi di
inquinamenti organici persistenti presenti nel grasso crescono. L’orso
bianco è in cima ad una catena alimentare che risulta interamente contaminata.
Esiste
un altro mammifero al vertice della catena alimentare che per giunta vive in un habitat
meno protetto di quello dell’orso polare: l’essere umano. E’
da sapere che
numerosi inquinanti ambientali fungono da perturbatori degli ormoni. In altre parole, la
loro struttura imita quella degli ormoni umani allo scopo di introdursi in quelle
metaforiche serrature ed attivarle in modo abnorme. Molti inquinanti
ricalcano la struttura degli estrogeni: nel corso delle sue ricerche Devra
Lee Devis li ha battezzati “xenoestrogeni” dal prefisso greco xeno, che
significa estraneo. Veicolati
da alcuni pesticidi e diserbanti, gli xenoestrogeni sono attratti dal grasso degli
animali da allevamento, nei quali finiscono per accumularsi.
Non
sappiamo se il rischio connesso al consumo di carne si debba ai contaminanti organoclorati
accumulati nei grassi animali, ai conservanti, alle cotture (nelle carni troppo
grigliate si formano ammine eterocicliche) o gli xenoestrogeni presenti
nelle plastiche in cui vengono avvolti e trasportati i prodotti animali. Non
si può neppure escludere l’ipotesi che il maggior rischio si debba anche al fatto
che i forti mangiatori di carne hanno un consumo ridotto di alimenti
anticancro, che sono quasi tutti di origine vegetale.
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