lunedì 6 gennaio 2014

Obesità: sottoprodotto della zootecnia industriale

 

Le mucche allevate al pascolo e che partoriscono in primavera possono mangiare l’erba quando è più rigogliosa e particolarmente ricca di acidi grassi omega3, che ritroveranno quindi concentrati nel loro latte e di conseguenza in tutti i suoi derivati (burro, panna, yogurt, formaggio). Gli omega3 dell’erba passano anche nelle carni dei bovini che se ne nutrono e nelle uova delle galline allevate in libertà o alimentate con foraggio anziché con becchime. A partire dagli anni 50, la richiesta di prodotti lattiero caseari e di carne bovina è però talmente aumentata da costringere gli allevatori ad aggirare il vincolo imposto dal naturale ciclo di produzione del latte e a ridurre lo spazio erboso medio necessario per nutrire un singolo bovino. I pascoli sono quindi stati abbandonati per passare all’allevamento in batteria, però mais, soia e frumento, che costituiscono ormai l’alimento principale del bestiame, sono particolarmente privi di omega3 mentre sono ricchissimi di omega6.



Gli omega3 partecipano alla costituzione del sistema nervoso, rendendo le cellule più elastiche, calmano le reazioni infiammatorie, e limitano la fabbricazione di cellule adipose.
Gli omega6, invece, stimolano la fabbricazione di cellule adipose sin dalla nascita e favoriscono l’accumulo di grassi, la rigidità delle cellule, la coagulazione e le risposte infiammatorie alle aggressioni esterne. Fermi restando che mais e soia sono tra i principali responsabili dell’abuso di fertilizzanti chimici, pesticidi, di acqua a livello planetario e  contribuiscono più di ogni altra coltura al degrado ambientale.

Ora, gli inquinanti che riversiamo nei fiumi finiscono tutti in mare. Molti di questi sono persistenti, ossia non si scompongono in elementi assimilabili dalla biomassa della terra o del mare. Più si sale nella catena alimentare, più i quantitativi di inquinamenti organici persistenti presenti nel grasso crescono. L’orso bianco è in cima ad una catena alimentare che risulta interamente contaminata.
Esiste un altro mammifero al vertice della catena alimentare che per giunta vive in un habitat meno protetto di quello dell’orso polare: l’essere umano. E’ da sapere che numerosi inquinanti ambientali fungono da perturbatori degli ormoni. In altre parole, la loro struttura imita quella degli ormoni umani allo scopo di introdursi in quelle metaforiche serrature ed attivarle in modo abnorme. Molti inquinanti ricalcano la struttura degli estrogeni: nel corso delle sue ricerche Devra Lee Devis li ha battezzati “xenoestrogeni” dal prefisso greco xeno, che significa estraneo. Veicolati da alcuni pesticidi e diserbanti, gli xenoestrogeni sono attratti dal grasso degli animali da allevamento, nei quali finiscono per accumularsi.

Non sappiamo se il rischio connesso al consumo di carne si debba ai contaminanti organoclorati accumulati nei grassi animali, ai conservanti, alle cotture (nelle carni troppo grigliate si formano ammine eterocicliche) o gli xenoestrogeni presenti nelle plastiche in cui vengono avvolti e trasportati i prodotti animali. Non si può neppure escludere l’ipotesi che il maggior rischio si debba anche al fatto che i forti mangiatori di carne hanno un consumo ridotto di alimenti anticancro, che sono quasi tutti di origine vegetale.

Nessun commento:

Posta un commento