Tutti noi abbiamo presente la scena dell’Odissea in cui alcuni affamati
compagni di viaggio di Ulisse corrono brandendo spade verso i buoi dalle grandi
corna, sacri ad Apollo. Lo fanno dopo aver resistito a lungo ai morsi della
fame, su quella assolata spiaggia dove Nettuno li aveva scagliati, e lo fanno
mentre il loro comandante è assente.
La vendetta di Apollo non si farà attendere e i colpevoli non rivedranno
mai più la loro terra d’origine, episodio questo che ci fa capire come l’antica
Grecia non fosse poi così distante geograficamente dall’induista India, dove
mucche e buoi erano e sono tuttora intoccabili. Indizio di osmosi culturale in
epoche prive di aerei e aeroporti.
Nel barbaro Occidente – come lo definiva Gandhi – ovvero nella celtica
Europa, il sacrificio di vite animali per scopi propiziatori era la norma, e
anche nella Palestina degli antichi ebrei non scherzavano in fatto di sacrifici
animali. Discorso un po’ diverso per l’Egitto, dove gatti e coccodrilli
venivano perfino mummificati insieme ai loro nobili tutori umani.
Dei rituali pagani nell’antica Europa se n’è occupato George Frazer,
con il suo famosissimo “Ramo d’oro”, così famoso che avevo cominciato a
leggerlo ma non sono mai riuscito a finirlo. Del resto, “Il ramo d’oro”, più
che un libro è un’enciclopedia, con i suoi originali dodici volumi.
All’inizio parla del bosco
sacro di Nemi, che si trova nel Lazio come Pastena, solo che
quest’ultimo paese è più a sud, in Ciociaria. A parte Sofia Loren e le “cioce”,
che sono i calzari dei villici da cui la zona prende il nome, la Ciociaria non
mi pare ci abbia dato altro, ma questa forse è solo una mia lacuna culturale.
Ora però – vengo a sapere - la Ciociaria ci regala un rito antichissimo,
niente meno che il sacrificio animale di una giovane mucca, proprio quei
sacrifici animali che, secondo la leggenda, Gesù era venuto a cancellare,
offrendo se stesso come agnello “qui tollit peccata mundi” una volta per tutte.
In Ciociaria sono stato nel 1980, ma solo per tre mesi: facevo il
militare a Cassino (FR). Tanto però mi è bastato per rendermi conto che il
contesto sociale era tendenzialmente arcaico e pastorale. Ricordo i grossissimi
rospi schiacciati davanti al piazzale d’ingresso della caserma dell’80esimo
Battaglione fanteria “Roma”, segno che all’epoca il territorio era ancora
incontaminato, visto il ruolo svolto dai rospi in qualità d’indicatori
ambientali, ma segno anche che gli automobilisti non si curavano di sterzare
trovandosi davanti ai fari della macchina quelle belle creature crepuscolari,
evitando così, con un semplice gesto, di ucciderle.
Ricordo anche che una mattina presto uscimmo a piedi, in fila indiana,
dalla caserma, ciascuno con il suo MAB (Moschetto Automatico Beretta), per
andare alle esercitazioni di tiro su un monte vicino e sul piazzale era pieno
di quadrupedi e bipedi, alcuni dei quali ci guardavano con la stessa meraviglia
con cui io guardavo loro. Un mercato di bestiame lo stesso giorno
dell’esercitazione e la presenza della nebbia, in cui uomini e bestie si
palesavano all’improvviso, rendeva l’esperienza onirica, surreale e spettrale
insieme.
Ma questo è niente! Un pomeriggio, andando a spasso per la città, da
solo, guardando a
terra, a momenti non andavo a sbattere contro tre capre morte
appese a testa in giù fuori da una macelleria. Di macellerie ne abbiamo anche
in Altitalia, ma non mi pare che espongano cadaveri all’esterno, forse perché
sarebbe di cattivo gusto o forse perché andrebbe pagata un’apposita tassa.
D’altra parte, anche esporre le povere vittime in vetrina non è che cambi
molto. Comunque, da quell’indizio forse si può dedurre che in Ciociaria hanno
gli orologi della Storia fermi a qualche secolo fa. Suppergiù all’epoca
medievale. Che la Chiesa cattolica, nella persona di un tale a me sconosciuto
parroco, si presti a compiere un sacrificio pagano a tutti gli effetti, mi
sembra interessante sul piano antropologico, ma riprovevole su quello etico.
A un certo punto dobbiamo fare una scelta e mi rivolgo ora a due precise
categorie: giornalisti ed etnologi. I primi si sono trovati spesso nel posto
dove avveniva qualche ingiustizia e invece di intervenire per fermarla si sono
limitati a fare fotografie. Poi magari qualcuno di loro si faceva venire i
rimorsi di coscienza pensando che, se non fosse stato lì, il condannato a morte
non sarebbe stato ucciso, mentre, lui presente, i carnefici si sono calati
nella parte che più gli aggrada, come consumati attori, e hanno posto fine
all’esistenza del prigioniero. Per inciso, la maggior parte dei fotoreporter
non si fa venire di questi scrupoli.
Per gli etnologi dell’Ottocento, nel periodo glorioso dell’antropologia,
che a prezzo di molta fatica e sacrifici, si recavano presso tribù primitive
sperdute in zone impervie, vale lo stesso ragionamento. La registrazione
accurata e accademica di riti cruenti, con eventuale cannibalismo, è più
importante della vita del malcapitato? Questo dubbio di natura etica, che in
letteratura Daniel Defoe ha risolto con la scena di Robinson Crusoe che spara
ai cannibali per salvare Venerdì, immagino si sia presentato agli antropologi
solo nel caso in cui ad essere sacrificato fosse un indigeno nemico catturato,
non certo nel caso di maiali e altri animali.
La distinzione, squisitamente specista, vale anche al giorno d’oggi, di
modo che, spostandoci a Pastena, se ad essere sacrificato nella festa del
Maggio fosse un bambino, sarebbe intervenuto l’esercito, la polizia, i pompieri
e pure le guardie campestri, ma siccome si tratta di un vile animale, non
gliene frega niente a nessuno, se non a quattro animalisti scalmanati.
Già m’immagino le obiezioni del pretaccio, del sindacaccio e degli altri
buzzurri loro compaesani:
- La carne di vitella la mangiate? (domanda propedeutica)
- Sì!.
- E allora, non è carne questa? Mica la buttiamo via! Anzi, se proprio
lo volete sapere, la diamo in beneficenza alla mensa dei poveri.
Fine del dialogo, neanche tanto ipotetico, dal momento che conosco i
miei polli e pure i miei bifolchi.
Variazione sul tema, con solita domanda:
- La carne di vitella la mangiate?
- No!
- E cosa mangiate, erba? (domanda automatica da ignorante).
La discussione, poi, prende una deriva scontata e assurda, con muro
contro muro e
ignoranza contro civiltà. Ma tutto questo i diretti interessati, i cittadini di Pastena non lo sanno e non se lo immaginano, perché, immersi nella Matrix come sono fino al collo, vedono che le autorità civili e religiose sono dalla loro parte e non gli serve altro. Cosa vogliono questi forestieri di animalisti che non si capisce neanche cosa dicono?!?
ignoranza contro civiltà. Ma tutto questo i diretti interessati, i cittadini di Pastena non lo sanno e non se lo immaginano, perché, immersi nella Matrix come sono fino al collo, vedono che le autorità civili e religiose sono dalla loro parte e non gli serve altro. Cosa vogliono questi forestieri di animalisti che non si capisce neanche cosa dicono?!?
Ma, chissà, forse che tu ti fermassi un attimo a riflettere che ciò che
stai facendo non è semplice macellazione - ché quella avviene continuamente, in
un cruento e immondo stillicidio, ogni minuto che passa di ogni santo giorno -
ma un rito che offende un sacco di gente. Offenderebbe Gesù, se mai fosse
esistito. Offende i credenti devoti che prendono sul serio il Vangelo. Offende
i laici che non accettano più scuse per la pura cattiveria. Offende il senso
della morale condivisa, che non è purtroppo – non ancora - quella condivisa
dagli animalisti, ma che, grazie a Kant e a Sant’Agostino, ci ha inculcato il
dovere di non far soffrire le bestie. E come l’avete macellata la mucca, con la
pistola a proiettile captivo, per caso? O con un più atavico coltello?
Immagino, cari i miei contadinacci, che non sappiate neanche cosa sia
una pistola a proiettile captivo! Ma ditemi se devo venire io dal Friuli ad
insegnarvelo! Ditemi se c’è una caserma dei carabinieri a Pastena! Un vigile
urbano che faccia rispettare le leggi….
Sapete, quelle cose scritte da qualche parte che se non le rispetti
vieni processato e vai in prigione? Avete presente?
Io non sono un antropologo (se non forse dilettante) e nemmeno un
giornalista, ma se voglio vedere quanto sono rustici gli abitanti del Borneo
vado sull’enciclopedia. Non mi fa piacere sapere che in Italia, questa Italia
piena di guai, c’è un’enclave di primitivi che fa riti sacrificali con animali
vivi. A Tonco, in Piemonte, già da molti anni mettono un tacchino morto appeso a una corda. In altri
posti, se i seguaci di Diana devono esercitarsi a tirare ai cinghiali, mettono
un bersaglio di cartone a forma di suino. Solo a Siena, a Feltre (BL) e in
altre città, bifolchi come i pastenesi usano ancora cavalli veri, mentre
farebbero meglio a usare quelli a dondolo, immaturi come sono, ma per farli
smettere ci stiamo lavorando.
Voi pastenesi cosa aspettate ad adeguarvi alle esigenze del sentire
comune? Quanto ci metterete ad abolire una simile idiozia che v’illudete di
chiamare tradizione? E soprattutto, quando saranno rimossi per indegnità
sindaco e sacerdote dai loro incarichi?
Intanto, una volta conosciuti i loro nomi, li possiamo nel frattempo
sottoporre al pubblico virtuale ludibrio del web e io m’impegno personalmente
ad inviar loro potentissime, alchemiche, esoteriche maledizioni, con la forza
del mio pensiero, affinché gli venga un accidente di qualsiasi natura: finire
sotto un camion, prendersi una tegola in testa durante un ciclone, ecc. Anche
essere rapiti e sodomizzati dagli alieni non sarebbe male. Tuttavia, la cosa più
giusta sarebbe che avessero la gola tagliata sotto un albero, in onore della
Santissima Croce. Se no non c’è gusto!
Cosa volete che se ne faccia il vostro Dio Moloch di una semplice mucca?
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