domenica 5 maggio 2013

Cruento rito solare

  
Tutti noi abbiamo presente la scena dell’Odissea in cui alcuni affamati compagni di viaggio di Ulisse corrono brandendo spade verso i buoi dalle grandi corna, sacri ad Apollo. Lo fanno dopo aver resistito a lungo ai morsi della fame, su quella assolata spiaggia dove Nettuno li aveva scagliati, e lo fanno mentre il loro comandante è assente.
La vendetta di Apollo non si farà attendere e i colpevoli non rivedranno mai più la loro terra d’origine, episodio questo che ci fa capire come l’antica Grecia non fosse poi così distante geograficamente dall’induista India, dove mucche e buoi erano e sono tuttora intoccabili. Indizio di osmosi culturale in epoche prive di aerei e aeroporti.

Nel barbaro Occidente – come lo definiva Gandhi – ovvero nella celtica Europa, il sacrificio di vite animali per scopi propiziatori era la norma, e anche nella Palestina degli antichi ebrei non scherzavano in fatto di sacrifici animali. Discorso un po’ diverso per l’Egitto, dove gatti e coccodrilli venivano perfino mummificati insieme ai loro nobili tutori umani.
Dei rituali pagani nell’antica Europa se n’è occupato George Frazer, con il suo famosissimo “Ramo d’oro”, così famoso che avevo cominciato a leggerlo ma non sono mai riuscito a finirlo. Del resto, “Il ramo d’oro”, più che un libro è un’enciclopedia, con i suoi originali dodici volumi.
All’inizio parla del bosco sacro di Nemi, che si trova nel Lazio come Pastena, solo che quest’ultimo paese è più a sud, in Ciociaria. A parte Sofia Loren e le “cioce”, che sono i calzari dei villici da cui la zona prende il nome, la Ciociaria non mi pare ci abbia dato altro, ma questa forse è solo una mia lacuna culturale. Ora però – vengo a sapere - la Ciociaria ci regala un rito antichissimo, niente meno che il sacrificio animale di una giovane mucca, proprio quei sacrifici animali che, secondo la leggenda, Gesù era venuto a cancellare, offrendo se stesso come agnello “qui tollit peccata mundi” una volta per tutte.
In Ciociaria sono stato nel 1980, ma solo per tre mesi: facevo il militare a Cassino (FR). Tanto però mi è bastato per rendermi conto che il contesto sociale era tendenzialmente arcaico e pastorale. Ricordo i grossissimi rospi schiacciati davanti al piazzale d’ingresso della caserma dell’80esimo Battaglione fanteria “Roma”, segno che all’epoca il territorio era ancora incontaminato, visto il ruolo svolto dai rospi in qualità d’indicatori ambientali, ma segno anche che gli automobilisti non si curavano di sterzare trovandosi davanti ai fari della macchina quelle belle creature crepuscolari, evitando così, con un semplice gesto, di ucciderle.
Ricordo anche che una mattina presto uscimmo a piedi, in fila indiana, dalla caserma, ciascuno con il suo MAB (Moschetto Automatico Beretta), per andare alle esercitazioni di tiro su un monte vicino e sul piazzale era pieno di quadrupedi e bipedi, alcuni dei quali ci guardavano con la stessa meraviglia con cui io guardavo loro. Un mercato di bestiame lo stesso giorno dell’esercitazione e la presenza della nebbia, in cui uomini e bestie si palesavano all’improvviso, rendeva l’esperienza onirica, surreale e spettrale insieme.

Ma questo è niente! Un pomeriggio, andando a spasso per la città, da solo, guardando a
terra, a momenti non andavo a sbattere contro tre capre morte appese a testa in giù fuori da una macelleria. Di macellerie ne abbiamo anche in Altitalia, ma non mi pare che espongano cadaveri all’esterno, forse perché sarebbe di cattivo gusto o forse perché andrebbe pagata un’apposita tassa. D’altra parte, anche esporre le povere vittime in vetrina non è che cambi molto. Comunque, da quell’indizio forse si può dedurre che in Ciociaria hanno gli orologi della Storia fermi a qualche secolo fa. Suppergiù all’epoca medievale. Che la Chiesa cattolica, nella persona di un tale a me sconosciuto parroco, si presti a compiere un sacrificio pagano a tutti gli effetti, mi sembra interessante sul piano antropologico, ma riprovevole su quello etico.
A un certo punto dobbiamo fare una scelta e mi rivolgo ora a due precise categorie: giornalisti ed etnologi. I primi si sono trovati spesso nel posto dove avveniva qualche ingiustizia e invece di intervenire per fermarla si sono limitati a fare fotografie. Poi magari qualcuno di loro si faceva venire i rimorsi di coscienza pensando che, se non fosse stato lì, il condannato a morte non sarebbe stato ucciso, mentre, lui presente, i carnefici si sono calati nella parte che più gli aggrada, come consumati attori, e hanno posto fine all’esistenza del prigioniero. Per inciso, la maggior parte dei fotoreporter non si fa venire di questi scrupoli. 

Per gli etnologi dell’Ottocento, nel periodo glorioso dell’antropologia, che a prezzo di molta fatica e sacrifici, si recavano presso tribù primitive sperdute in zone impervie, vale lo stesso ragionamento. La registrazione accurata e accademica di riti cruenti, con eventuale cannibalismo, è più importante della vita del malcapitato? Questo dubbio di natura etica, che in letteratura Daniel Defoe ha risolto con la scena di Robinson Crusoe che spara ai cannibali per salvare Venerdì, immagino si sia presentato agli antropologi solo nel caso in cui ad essere sacrificato fosse un indigeno nemico catturato, non certo nel caso di maiali e altri animali.
La distinzione, squisitamente specista, vale anche al giorno d’oggi, di modo che, spostandoci a Pastena, se ad essere sacrificato nella festa del Maggio fosse un bambino, sarebbe intervenuto l’esercito, la polizia, i pompieri e pure le guardie campestri, ma siccome si tratta di un vile animale, non gliene frega niente a nessuno, se non a quattro animalisti scalmanati.
Già m’immagino le obiezioni del pretaccio, del sindacaccio e degli altri buzzurri loro compaesani:

- La carne di vitella la mangiate? (domanda propedeutica)
- Sì!.
- E allora, non è carne questa? Mica la buttiamo via! Anzi, se proprio lo volete sapere, la diamo in beneficenza alla mensa dei poveri.

Fine del dialogo, neanche tanto ipotetico, dal momento che conosco i miei polli e pure i miei bifolchi.
Variazione sul tema, con solita domanda:

- La carne di vitella la mangiate?
- No!
- E cosa mangiate, erba? (domanda automatica da ignorante).

La discussione, poi, prende una deriva scontata e assurda, con muro contro muro e
ignoranza contro civiltà. Ma tutto questo i diretti interessati, i cittadini di Pastena non lo sanno e non se lo immaginano, perché, immersi nella Matrix come sono fino al collo, vedono che le autorità civili e religiose sono dalla loro parte e non gli serve altro. Cosa vogliono questi forestieri di animalisti che non si capisce neanche cosa dicono?!?
Ma, chissà, forse che tu ti fermassi un attimo a riflettere che ciò che stai facendo non è semplice macellazione - ché quella avviene continuamente, in un cruento e immondo stillicidio, ogni minuto che passa di ogni santo giorno - ma un rito che offende un sacco di gente. Offenderebbe Gesù, se mai fosse esistito. Offende i credenti devoti che prendono sul serio il Vangelo. Offende i laici che non accettano più scuse per la pura cattiveria. Offende il senso della morale condivisa, che non è purtroppo – non ancora - quella condivisa dagli animalisti, ma che, grazie a Kant e a Sant’Agostino, ci ha inculcato il dovere di non far soffrire le bestie. E come l’avete macellata la mucca, con la pistola a proiettile captivo, per caso? O con un più atavico coltello?
Immagino, cari i miei contadinacci, che non sappiate neanche cosa sia una pistola a proiettile captivo! Ma ditemi se devo venire io dal Friuli ad insegnarvelo! Ditemi se c’è una caserma dei carabinieri a Pastena! Un vigile urbano che faccia rispettare le leggi….
Sapete, quelle cose scritte da qualche parte che se non le rispetti vieni processato e vai in prigione? Avete presente?

Io non sono un antropologo (se non forse dilettante) e nemmeno un giornalista, ma se voglio vedere quanto sono rustici gli abitanti del Borneo vado sull’enciclopedia. Non mi fa piacere sapere che in Italia, questa Italia piena di guai, c’è un’enclave di primitivi che fa riti sacrificali con animali vivi. A Tonco, in Piemonte, già da molti anni mettono un tacchino morto appeso a una corda. In altri posti, se i seguaci di Diana devono esercitarsi a tirare ai cinghiali, mettono un bersaglio di cartone a forma di suino. Solo a Siena, a Feltre (BL) e in altre città, bifolchi come i pastenesi usano ancora cavalli veri, mentre farebbero meglio a usare quelli a dondolo, immaturi come sono, ma per farli smettere ci stiamo lavorando.
Voi pastenesi cosa aspettate ad adeguarvi alle esigenze del sentire comune? Quanto ci metterete ad abolire una simile idiozia che v’illudete di chiamare tradizione? E soprattutto, quando saranno rimossi per indegnità sindaco e sacerdote dai loro incarichi?
Intanto, una volta conosciuti i loro nomi, li possiamo nel frattempo sottoporre al pubblico virtuale ludibrio del web e io m’impegno personalmente ad inviar loro potentissime, alchemiche, esoteriche maledizioni, con la forza del mio pensiero, affinché gli venga un accidente di qualsiasi natura: finire sotto un camion, prendersi una tegola in testa durante un ciclone, ecc. Anche essere rapiti e sodomizzati dagli alieni non sarebbe male. Tuttavia, la cosa più giusta sarebbe che avessero la gola tagliata sotto un albero, in onore della Santissima Croce. Se no non c’è gusto!
Cosa volete che se ne faccia il vostro Dio Moloch di una semplice mucca?



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