Fonte: Repubblica
La fonte
dell'ultima raccapricciante notizia da un mondo che appare
primordiale, è un funzionario dell'ufficio governativo di controllo
delle riserve naturali indiane citato dal Times
of India, Kalim
Athar. Sorpreso
dalla frequenza degli ultimi casi di morte in Uttar Pradesh per un
attacco delle tigri a ridosso della loro riserva protetta di
Pilibhit, l’ufficiale ha svolto una ricerca e scoperto che le
vittime avevano una cosa in comune: erano tutte poverissime e sopra i
55 anni, età di decadenza per chi da queste parti conduce una vita
di stenti, deprivato da decenni degli antichi diritti sulle
foreste. Con un sospetto in mente, Athar ha fatto scattare un'indagine sui dettagli degli incidenti, la posizione dei corpi, le
testimonianze dei familiari, il luogo del ritrovamento, quasi sempre
attorno al Parco di Mala.
Secondo il suo rapporto inviato alle
autorità competenti, quasi nessuno dei sei episodi mortali avvenuti
qui da febbraio a oggi, una media più elevata che in passato, è
stato casuale. Le tigri, a leggere tra le righe delle sue
dichiarazioni alla stampa, sarebbero state solo le imparziali
esecutrici di una sentenza stabilita altrove, nelle case miserabili
dove i vecchi diventano un peso e pieni di acciacchi sono disposti ad
aiutare i familiari anche a costo di abbandonare questo mondo
lasciandosi sbranare dalla temuta creatura che si venera in molti
templi induisti mentre gode di uno speciale status in tutta
l'India.
Athar e altri funzionari hanno apertamente legato
le ultime tragedie al consistente premio assicurativo in rupie,
500mila, pari a 6.700 euro, pagato ai congiunti di chi finisce tra
gli artigli di una delle 12 tigri che vivono nelle riserve di
Pilibhit, di recente ripopolate per preservare la specie. In assenza
di ulteriori istruttorie, prima di criminalizzare un'intera
popolazione per una pratica inaccettabile quasi a ogni latitudine, è
necessario però spiegare meglio il contesto di una storia dove
riecheggia il dramma e il misticismo della celebre novella di Amitav
Gosh Il
Paese delle maree sul
rapporto di paura e attrazione tra uomini e tigri.
Come in
altre regioni del grande Continente, anche nell'Uttar Pradesh le aree
protette sono fonte di sopravvivenza per le antiche genti che le
abitavano prima dei divieti, e molti sono consapevoli di rischiare la
vita a raccogliere legna o radici non avendo alternative nei campi
assegnati, spesso brulli per la siccità o per una delle tante
malattie stagionali delle piante. Ma nel passato gli incidenti con
gli animali erano rari, finché non c'è stato il picco tra maggio e
giugno: prima Tara
Chandra, guardiana
forestale, poi i contadini Mihilal e Kevad
Prasad, infine a
luglio Nanki
Devi, il cui corpo
di 60enne fu ritrovato nei campi arati del villaggio di Maithy, dove
viveva con i suoi.
Stando alle cronache, l'ipotesi di una
possibile messinscena dei parenti di Devi è stata confermata da un
altro funzionario forestale che ha raccontato i macabri particolari
della sua ispezione. "Era evidente che il luogo del ritrovamento
nei campi e quello dell’incidente con la tigre erano diversi – ha
detto V. K.
Singh –
perché abbiamo trovato pezzi del vestito della donna altrove, con le
tracce di un trattore che era andato avanti e indetro nella vicina
foresta. In realtà Nanki è morta 1,5 km dentro la riserva e il suo
corpo è stato poi trasferito".
Se non traspare
l’orrore dietro la fredda ricostruzione è perché i funzionari
indiani sono drammaticamente abituati a queste e altre conseguenze
della indigenza estrema, e del desiderio di genitori e nonni di dare
un migliore futuro a figli e nipoti, costruire una casa di cemento
anziché di legno. Le compensazioni previste dalla legge sono molto
elevate per gli standard di popolazioni che vivono con meno di un
dollaro al giorno, ma un'apposita assicurazione governativa paga il
premio alle famiglie solo se l'incidente è avvenuto fuori, e non
dentro le riserve dove ognuno va a proprio rischio e pericolo.
Da
qui l'inchiesta per stabilire dove le vittime avessero realmente
incontrato la tigre, così da evitare alle assicurazioni di pagare
una cifra che equivale per i beneficiari a più di una vita di
lavoro. Fosse successo in un altro Paese, si procederebbe per il
reato di istigazione al suicidio, ma con le premesse delle
circostanze ambientali, l'istruttoria di Athar è passata al Wwcb
(Wildlife
Crime Control Bureau), che deve prima verificare se ci sia stato
davvero un crimine premeditato.
I sospetti sembrano per
ora contrastare con le ripetute denunce del passato di contadini che
vivono costantemente nella paura di un attacco e hanno chiesto più
volte di recintare la riserva attorno alla foresta protetta di Mala,
dove si entra sicuri solo nei corridoi creati per i turisti
avventurosi e durante i rituali condotti dagli asceti sadhu nel bosco
sacro. Più volte le autorità statali erano dovute correre a placare
le proteste, segno evidente che non tutti volevano farsi sbranare per
un pugno di rupie, per quanto consistente.
Le rivelazioni
sul caso delle tigri e gli abitanti di Pilibhit giunge a poche
settimane da un’altra vicenda che ha fatto discutere l’India
sulle contraddizioni portate da politiche di estremo protezionismo ai
danni di popolazioni deprivate dei loro tradizionali mezzi di
sussistenza.
Le tribù Chenchu che vivono nelle aree protette tra
Telangana e Andra Pradesh hanno di recente protestato per lo
sbilanciamento dei mezzi spesi per le 64 tigri della loro riserva
rispetto agli aiuti per i 64mila abitanti trasferiti forzatamente
all’esterno. Nel settentrionale Uttar Pradesh è successo qualcosa
di analogo. "I vecchi che sacrificano le loro vite –
ha detto ai cronisti il contadino Jarnail
Singh -
pensano che senza le risorse della foresta questo è l'unico modo per
far sfuggire le loro famiglie alla povertà". Vero o non vero,
chiunque abbia preso la decisione di immolare un parente in questo
modo terribile, spesso in accordo con la stessa vittima, non ha meno responsabilità di chi non ha saputo garantire loro una vita
dignitosa. Quantomeno come quella delle tigri.
[N.d.R. Articolo segnalato da
Francesco Spizzirri]
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