Fonte: Il Primato Nazionale
Uno degli argomenti preferiti
degli ambienti “cospirazionisti” è senz’altro il
cosiddetto “Piano
Kalergi”. Secondo
questa teoria, esisterebbe un piano ben architettato e
sistematicamente perseguito da diversi soggetti (Stati Uniti, Unione
Europea, ecc.), che avrebbe come scopo prioritario la distruzione dei
popoli europei attraverso un “miscuglio razziale” con le ingenti
masse allogene che ogni giorno affluiscono sul nostro continente.
L’iniziatore di questo disegno diabolico sarebbe il conte
“Kalergi”, che negli anni Venti fondò il movimento
Paneuropa. Per
rendersi conto del dilettantismo della maggior parte di questi testi
“complottisti” (in carta o in rete), basta semplicemente notare
le traduzioni strampalate di alcuni passi delle opere di “Kalergi”,
i toni apocalittici, nonché la pretesa di alcuni autori di aver
finalmente scritto la prima opera su questo oscuro personaggio di cui
nessuno vuol trattare. E tutto questo viene proclamato ai quattro
venti, nonostante esista una letteratura
scientifica (soprattutto
in lingua tedesca) che ha da tempo sottoposto a dura
critica i
racconti agiografici degli epigoni del movimento paneuropeo. Ora,
per vederci chiaro in questa faccenda, un’analisi sintetica della
biografia e delle idee di quest’uomo si impone come necessaria.
Il
conte Richard
Nikolaus Coudenhove-Kalergi (questo
il suo nome completo e corretto) nacque a Tokio nel 1894. Suo padre
Heinrich era ambasciatore nella capitale nipponica per conto
dell’Impero Austro-Ungarico, mentre la madre Mitsuko Aoyama era la
figlia di un ricco commerciante giapponese. Cresciuto in Boemia,
completò gli studi ginnasiali e universitari a Vienna. Entrato in
contatto con i circoli aristocratici e intellettuali viennesi,
conobbe e sposò nel 1915 Ida
Roland, un’attrice
di origini ebraiche. A seguito della Grande Guerra e del collasso
dello Stato asburgico, Coudenhove-Kalergi assunse dapprima la
cittadinanza cecoslovacca per poi essere naturalizzato francese. Come
si può rilevare da questi primi cenni biografici, abbiamo a che fare
con un cosmopolita in
piena regola, o meglio un «cosmopolita europeo», come è stato
efficacemente definito. La sua vicenda personale e la sua
formazione filosofica influenzeranno decisamente le sue idee e la sua
militanza politica.
Nel 1921 Coudenhove-Kalergi
viene iniziato nella loggia
massonica viennese
Humanitas, da cui si distaccherà qualche anno dopo, per evitare che
la sua affiliazione nuocesse al neonato movimento Paneuropa. Lettore
assiduo di Oswald
Spengler, Friedrich
Nietzsche, Giuseppe
Mazzini e Rudolf
Kjellén (il
pioniere della geopolitica), questi autori svolgeranno un
ruolo-chiave nella sua diagnosi dell’appena concluso confitto
mondiale. Coudenhove interpreta lucidamente la Grande Guerra come
una guerra
civile europea che
ha fiaccato il Vecchio continente e ne ha sancito la decadenza morale
e politica a vantaggio di altri blocchi geopolitici. Un’Europa
divisa e frammentata non può più competere con grandi compagini
statali come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Per questo
motivo saluta con entusiasmo i 14 punti del presidente Wilson e
la costituzione della Società
delle Nazioni, che
in linea di principio avrebbero dovuto garantire la pace europea e
mondiale. Tuttavia le speranze di Coudenhove rimasero deluse, giacché
sia Stati Uniti che Unione Sovietica rimasero fuori dalla Società
delle Nazioni, che invece si rivelò solo per quello che
effettivamente era: uno strumento utile ai vincitori (soprattutto
Francia e Gran Bretagna) al fine di preservare lo status
quo stabilito dal
Trattato di Versailles.
Per dar corpo e sostanza alle sue idee,
Coudenhove-Kalergi pubblica nel 1923 il suo volume Pan-Europa,
che diverrà un caso
editoriale negli
ambienti colti europei. Con una prosa piana e accattivante,
l’autore tratteggia il suo ideale politico e culturale, che avrà
una grande eco tra politici e intellettuali dagli orientamenti più
svariati, da quelli conservatori a quelli riformisti. In seguito alla
pubblicazione del volume, Coudenhove fonda un vero e proprio
movimento politico-culturale, che incasserà l’appoggio addirittura
di capi di Stato e che sarà sovvenzionato, tra gli altri, dai
potenti istituti bancari di Louis
Rothschild e Max
Warburg così
come da Robert
Bosch, ricco
industriale di Stoccarda. In linea di massima la Paneuropa si
configura come un grande blocco europeo da cui però rimangono
esclusi la Russia e l’Impero britannico, ma di cui fanno parte le
colonie francesi e italiane. Il progetto è vago e non cesserà di
mutare negli anni a fronte degli avvenimenti che ridisigneranno la
mappa politica europea. Ad esempio l’autore parla indifferentemente
di Paneuropa, federazione, confederazione e Stati Uniti d’Europa.
Anche sul piano dei princìpi
culturali, il pensiero di Coudenhove-Kalergi non è facilmente
catalogabile. Tendenzialmente il conte è scettico, se non
decisamente contrario
ai regimi democratici,
che egli interpreta come una pura «facciata» alle cui spalle
agiscono le oligarchie
plutocratiche.
La sua ideologia
elitista, spiritualista, anticapitalista e antiegualitaria non
può infatti che portarlo al rigetto dei postulati democratici e,
quindi, al sostegno di un «principio neo-aristocratico». Per
questi motivi Vanessa
Conze ha
accostato il pensiero di Coudenhove alla visione del mondo
della Rivoluzione
conservatrice: gli
elementi di convergenza sarebbero lo scetticismo nei confronti del
parlamentarismo e la contestuale affermazione dell’autorità, del
dirigismo e dell’elitismo, così come il rifiuto dei vecchi modelli
conservatori, la fascinazione per taluni aspetti del socialismo e la
convinzione che solo forze giovani e vigorose possono “salvare”
l’Europa dall’attuale crisi. I temi che allontanano il conte da
Spengler, Jünger, ecc. sono invece il mito della nazione e l’etica
guerriera – elementi caratterizzanti della Rivoluzione
conservatrice, ma praticamente assenti nel pensiero
cosmopolita e pacifista di
Coudenhove.
La mancanza di rigorosi presupposti ideologici
si riverbera del resto nella prassi politica del conte: se in un
primo momento trova una clamorosa sponda nel primo ministro
francese Aristide
Briand, tenterà
poi più volte di guadagnare Benito
Mussolini alla causa
paneuropea, riuscendo anche – dopo aver fatto molta anticamera –
a incontrarlo ufficialmente. L’interpretazione dello stesso
Coudenhove del movimento fascista lascia ben pochi dubbi sulle
difficoltà oggettive di trovare una mediazione tra l’Europa
democratica e l’Europa fascista: «Gli avversari fascisti di
Paneuropa hanno spesso tentato di identificare il movimento
paneuropeo con l’ideologia democratica. Questo tentativo è però
destinato a fallire già solo per il fatto che le mie idee
filosofiche non sono mai state democratiche, bensì sempre
aristocratiche». Insomma, il conte riuscì a farsi criticare dai
democratici per la sua fascinazione fascista e, al contempo, a essere
scaricato dai fascisti per il suo pacifismo, presto bollato come
“democratico” e funzionale al mantenimento del Trattato di
Versailles.
Un ulteriore elemento che
distingue il pensiero di Coudenhove-Kalergi è il suo
spiccato filogiudaismo,
che egli ereditò molto probabilmente dalla moglie e dal padre, il
quale aveva pubblicato, prima della sua prematura scomparsa, un
volume contro l’antisemitismo. Il tema dell’ebraismo si
interseca, del resto, con il discorso dominante della sua ideologia,
ossia la costituzione
di una nuova élite in
grado di governare la futura nazione paneuropea. A questa tematica il
conte dedicò un libello già nel 1922, cioè Adel (Aristocrazia),
poi confluito nell’opera Praktischer
Idealismus (1925).
Le argomentazioni di Coudenhove sono qui caratterizzate
da disinvoltura
logica, fantasiose
semplificazioni storiografiche e,
talvolta, anche da spunti interessanti e tutt’altro che banali.
Egli parte dalla distinzione, da lui stesso teorizzata,
tra campagna/endogamia/paganesimo e città/meticciato/cristianesimo.
L’«uomo rustico» sarebbe il classico prodotto dell’endogamia
(Inzucht);
le sue qualità sarebbero prestanza fisica, aggressività, eroismo,
forza di carattere e di volontà, mentre i suoi vizi sarebbero
un’innata limitatezza di orizzonti e povertà di spirito. L’«uomo
urbano», al contrario, è il frutto della mescolanza di sangue
(Blutmischung)
e si distinguerebbe per apertura mentale, cultura e ricchezza di
spirito; come contraltare sarebbe sprovvisto di carattere e volontà,
di coraggio fisico e di iniziativa.
A partire da questi
presupposti, Coudenhove-Kalergi formula la frase tanto incriminata (e
distorta) dai complottisti. Converrà allora citarla per intero:
«L’uomo del
futuro remoto sarà meticcio (Mischling).
Le razze e le caste di oggi saranno le vittime del superamento di
spazio, tempo e pregiudizio. La razza eurasiatica-negroide del futuro
(eurasisch-negroide
Zukunftsrasse), simile
nell’aspetto alla razza degli antichi Egizi, sostituirà la
pluralità dei popoli con una molteplicità di personalità».
Per quanto effettivamente inquietante, la profezia di Coudenhove non
riguarda specificamente l’Europa, bensì l’intera umanità. Però
è pur vero che il conte si augura l’emergere di un’Europa in cui
a essere maggioritaria sia una popolazione spiritualmente
forte e caratterialmente
debole, al fine di
preservare la pace nel continente e nel mondo. Il conte vorrebbe
fondare l’esattezza di questa analisi – con un volo pindarico a
livello logico e storico – sul fatto che le nazioni europee (che
lui non disconosce affatto) non sarebbero propriamente comunità di
sangue (Blutgemeinschaft),
bensì comunità di spirito (Geistesgemeinschaft).
Esse condividerebbero, più che antenati comuni, comuni eroi.
Questo discorso ha certamente un
senso, se il fine è una nazione europea avvenire. Più complicato e
poco conseguente è invece il fatto che, ad una uniformazione
planetaria della tecnica, debba seguire una omogeneizzazione
etnica e culturale mondiale (che
peraltro contraddirebbe la specificità europea asserita da
Coudenhove). Ad ogni modo, c’è anche un altro aspetto della teoria
del conte che ha inquietato sia complottisti che accademici.
Nell’individuare la nuova aristocrazia del domani, Coudenhove la
intravede nell’ebraismo,
che, tempratosi attraverso secoli di persecuzioni, ora sarebbe
divenuto la vera «razza spirituale padrona dell’Europa (geistige
Führerrasse Europas)». Così ha chiosato Ulrich Wyrwa: «Le sue affermazioni, che
vorrebbero essere filosemite, presentano un’inquietante vicinanza
alla semantica antisemita». Dall’unione
tra i migliori elementi della «nazione ebraica» e quelli
dell’antica nobiltà feudale sorgerà
dunque l’«aristocrazia del futuro». Non stupirà a questo
punto che Adolf
Hitler abbia
bollato Coudenhove-Kalergi come «Allerweltsbastard»,
termine che potremmo tradurre come «bastardo di tutte le razze».
L’ostilità nazionalsocialista nei confronti del conte, poi,
costringerà quest’ultimo a emigrare negli Stati Uniti in seguito
allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Ad ogni modo,
l’offesa di Hitler nei confronti di Coudenhove, pur nella sua
volgarità e nei suoi scopi, centra probabilmente il punto della
questione. Il conte viene infatti descritto dalla critica
storiografica come una personalità
estremamente arrogante e affetta da manie di grandezza,
che non smetterà mai di autopromuoversi a rappresentante ideale di
questa “aristocrazia del futuro” della Paneuropa. Tutto il suo
discorso sul meticciato e la fusione tra ebraismo e vecchia nobiltà
potrebbe quindi essere una diretta conseguenza della sua storia
personale: meticcio austro-giapponese, cosmopolita errante, sposato a
un’ebrea. Più che di una teoria storicamente fondata, si potrebbe
quindi trattare di una semplice (e goffa) autopromozione politica.
Ma quanto pesa oggi l’esempio
di Coudenhove-Kalergi nel dibattito sull’integrazione
europea? Effettivamente
ben poco. Lo si
cita tutt’al più a mo’ di icona come il primo ad aver parlato di
Stati Uniti d’Europa e di una unione delle nazioni del Vecchio
continente. La sua influenza politica (pur sempre relativa) viene
circoscritta unicamente agli anni Venti e all’inizio degli anni
Trenta. Inoltre, il movimento paneuropeo è oggi un piccolo
raggruppamento europeista conservatore dal peso specifico assai
limitato. Le sue teorie sono state peraltro duramente criticate dagli
ambienti accademici. Il suo elitismo e antidemocratismo, insieme al
suo discorso sul diritto di Paneuropa allo sfruttamento delle colonie
africane, senza contare la sua fascinazione per personalità come
Mussolini e Dollfuss, non piacciono affatto all’establishment
demo-liberale dell’Unione Europea e ai circoli universitari.
Così
si esprime infatti Ulrich Wyrwa: «Paneuropa dev’essere
quindi considerato un capitolo storicamente chiuso, comprensibile
solo alla luce del contesto intellettuale del periodo tra le due
guerre, e che non permette alcun collegamento con l’attuale
dibattito intellettuale e politico sul presente e sul futuro
dell’Europa». Insomma, troppo poco per poter parlare di
“piano”. Anche perché i progetti di “grande
sostituzione” e
di annientamento etno-culturale dei popoli europei sono perseguiti
alla luce del sole: hanno ben
precise basi filosofiche e sono attuati da
altrettanto precisi
soggetti politici e intellettuali. Invece di sprecar le energie
dietro alla megalomania e ai deliri di onnipotenza di un vecchio
conte degli anni Venti, sarebbe molto più opportuno approfondire la
dinamica di interessi concreti che legano Soros a Buzzi, gli ambienti
confessionali a quelli finanziari, gli industriali alle cooperative e
alle Ong. Se non si vuol perdere tempo, beninteso.
Ma certo I nostri padroni le inventano tutte pur di nascondersi,siamo Noi che come degli allocchi ci avventiamo sulle notizie come I cani sugli ossi di caucciu,a riguardo un bel Sito digitate:"huge questions indice degli scritti" questo e' uno dei pochi validi truth seeker
RispondiEliminaGrazie. Avevo incontrato Erich Hufschmid qualche anno fa. Mi pare sia stato perseguito dalla giustizia, in America.
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