Di
ritorno dalla visita ad Aimone Del Ponte, siamo venuti a sapere che una
vicina di casa di nome Soary e di etnia Masikoro era entrata come una furia nel
cortile armata di coltello, per aggredire Tina, profferendo brutte parole al suo indirizzo. Il
fratellastro di Tina che vive nello stesso cortile e svolge funzioni di
guardiano, Zainoly, l’ha mandata via dicendole che non aveva l’autorizzazione
ad essere lì. Era successo che la figlia di Soary, Masany, aveva litigato con
la coetanea Annika, (in foto) figlia di Tina e le aveva fatto un graffio sul
braccio. L’undicenne Annika aveva risposto con un ceffone e Masany era andata a
piangere da sua madre. Da lì, la reazione istintiva della donna di andare a
cercare Tina per continuare la lite che era stata cominciata dalle due bambine.
Tale la madre, tale la figlia, si potrebbe dire. Forse inconsciamente, mossa
dall’invidia verso la compaesana che è riuscita a sposare un vazaha e conoscendo il caratteraccio di Tina, sperava che
quest’ultima reagisse alla sua provocazione, in modo da poterla denunciare. A
pagare, ovviamente, sarebbe stato il sottoscritto, per un litigio cominciato da
una bambina.
giovedì 31 luglio 2014
Morire in Madagascar
Fu
il primo a dare inizio alle danze, la sera precedente al mio matrimonio.
Eravamo nel quartiere di Analatsimavo, dove vive la famiglia di Tina e la
musica andava a tutto volume, come sempre in Madagascar. Avevo già svolto il
mio dovere di pretendente alla mano di Tina, portando due bottiglie di rhum al
padre. E meno male che non ho dovuto portare in dote animali vivi! Le bibite e
gli snack per bimbi e signore già circolavano e Justin, conosciuto anche con il
suo nome malgascio di Bohaboha, cominciò per primo a danzare, per quel tanto
che l’artrite gli permetteva. Poi cominciarono le donne, come si vede nella
foto successiva. Justin è morto il 5 luglio scorso, quando sono partito
dall’Italia, ed è stata la dissenteria a ucciderlo. Aveva 80 anni, età
ragguardevole se si pensa che l’età media in queste contrade si assesta sui
sessant’anni. Mio padre, per fare un paragone, è morto a 82 anni in un letto
d’ospedale, da solo, per arresto cardiaco.
mercoledì 30 luglio 2014
Il mio testaimone di nozze
Il
mio testimone di nozze si chiama Aimone Del Ponte, è originario di Aviano, dove
faceva il macellaio, e ora vive a Tulear da dieci anni. Qui lo vediamo
all’estrema sinistra, il più serio del gruppo di cinque. Sono andato a trovarlo
a casa sua per chiedergli in prestito un paio di libri, lasciandogli in cambio
quello che ho finito di leggere da poco. Sapevo già che non ha un buon
rapporto con gli animali, visto anche il lavoro che faceva in Italia, ma quando
sono entrato in cortile e ho visto i due alika molto magri gli ho fatto notare che per essere cani
di un macellaio sono piuttosto magrolini. Al che mi ha risposto che lui non se
ne occupa, se mangiano è solo perché Ivette, la sua compagna malgascia, gli dà qualcosa di commestibile, perché
se dipendesse da lui li avrebbe già fatti fuori. La ragione è che sono cattivi:
gli hanno mangiato i gattini appena nati, due tacchini e una papaia, la prima
che l’albero in giardino aveva prodotto, benché l’avesse appoggiata su un’alta
mensola, fuori dalla loro portata. Forse gli hanno combinato anche altre
malefatte, così il suo odio nei loro confronti è ormai irreparabile.
martedì 29 luglio 2014
La gelosia del masai
Ho
appena finito di leggere il libro che mi sono portato dietro in Madagascar: “La
masai bianca”, di Corinne Hofmann. Ne pubblico un resoconto perché mi sembra
attinente con la più grande isola dell’Africa australe, anche se i malgasci non
vogliono essere chiamati africani, come i carnici non vogliono essere chiamati
friulani. La storia raccontata in prima persona da una donna svizzera che,
invece d’innamorarsi dell’Africa come fanno tutti, si innamorò direttamente di
un africano, ha venduto 300.000 copie in tutta Europa ed è stata tradotta in
molte lingue. Vi ho trovato dei punti in comune con la mia esperienza
personale, benché io non possa dire di essermi innamorato di Tina, la mia
attuale moglie. Per i lettori di sesso femminile è inconcepibile che un essere
umano possa sposare o anche solo convivere con qualcuno senza essere
innamorato, ma per fortuna tra i miei lettori ci sono anche persone di sesso
maschile che, viceversa, capiscono benissimo che la cosa è fattibile. E
pertanto sospendiamo l’argomento, che ora qui non c’interessa approfondire.
lunedì 28 luglio 2014
Tromba aspirante
Un film di Renato Pozzetto di qualche anno fa, con Eleonora Giorni, s’intitola:
“Mia moglie è una strega”. E’ la storia di un tranquillo borghese che scopre di
aver sposato una donna che non era quello che appariva, ma qualcosa d’altro,
una strega, appunto. Quella che ho sposato io in seconde nozze è una popolana
malgascia che da un anno a questa parte si è messa in testa di diventare tromba (pronuncia ciumba), che è il corrispettivo femminile
di ombiasy. Tina ha grandi
potenzialità: potrebbe fare la sarta, la cuoca, la donna delle pulizie e
perfino l’interprete e la guida turistica, ma che mi diventi una strega proprio
non mi va giù. Comunque, mi ha spiegato che non è facile diventare tromba. Ci vogliono molti soldi e aver compiuto almeno
quarant’anni, forse anche cinquanta. Ora lei ne ha solo 31. Poi, quando ci si
sente pronti, si convoca il capo di tutti gli ombiasy, il quale ordina immancabilmente che venga ucciso uno
zebù e se l’aspirante tromba
riesce nel sanguinoso intento, diventa una professionista. In pratica, è una
specie di esame superato il quale si entra a far parte dell’ordine degli
stregoni malgasci. Madame Fanja, che ci diede il bungalow in affitto ad Ankilibe,
lo era diventata, ma lei era panarivo, ricca, avendo all’epoca come compagno monsieur Bernard, pilota di
linea francese in pensione.
Insett contro uno
Massimo Troisi, mentre si trovava in una biblioteca, a chi gli chiedeva se gli
piacesse leggere, rispose: “Tutti scrivono continuamente migliaia di libri,
miliardi di parole, e io sono qui tutto solo a leggere. Non ce la faccio a
leggerli tutti!”.
La
proporzione tra i libri di Troisi e gli insetti del Madagascar è la stessa:
miliardi di parole, miliardi di insetti, da tutte le parti, di giorno e di
notte, dove meno te lo aspetti. I primi insetti con cui il turista proveniente
dal Paleartico fa i conti venendo in Madagascar sono le formiche, di cui ci
sono diverse misure, ma anche mosche e zanzare non scherzano! Le formiche
corrono sul bordo del lavandino in bagno e la loro meta preferita è lo spazzolino
da denti, s’infilano nel pane quando fai colazione, soggiornano nelle
zuccheriere, forano i sacchetti di plastica per arrivare alla frutta, mandarini
compresi. Le si ritrova nell’insalata servita al ristorante, insieme agli
afidi.
Una società violenta
Un’utente di Facebook, leggendo l’articolo sull’uccisione dei ladri di bestiame nel sud del Madagascar e soprattutto vedendo le foto dei loro
corpi, ha commentato: “Non lo sapevo. I nostri giornali non ne parlano mai”. Al
che, se avessi avuto tempo, le avrei risposto: “Questa è l’Africa. A vite
violente fanno seguito morti violente”. Soltanto ieri sera, 25 luglio, la madre
adottiva di Tina, madame Nohay, che qui vediamo in foto, mi ha consigliato di
non andare in giro per Tulear con lo zainetto sulla schiena, nemmeno di giorno,
perché qualcuno potrebbe aggredirmi armato di coltello, strappandomi di dosso
lo zaino, che la mattina contiene la Nikon e il PC portatile, dato che vado al
Cyber caffé del centro per connettermi a internet. Perché mi dice questo? Io
sono suggestionabile! E’ difficile credere che succeda anche di giorno, ma è
sicuro che se dovesse accadere nessuno dei passanti verrebbe in mio soccorso e
anzi la scena susciterebbe il loro riso, proprio perché ad essere in difficoltà
è un vazaha. A volte, da quando
mi sono trasferito in un quartiere periferico di Tulear, Ambolanahomby, dove di
bianchi se ne vedono raramente, mi sento come Forrest Gump: anch’io cerco di
arrivare alla fine della giornata senza essermi fatto troppo male. Ovvero, per
dirla in modo meno prosaico, cerco di passare il più possibile indenne
attraverso le procelle quotidiane della vita.
domenica 27 luglio 2014
Alla conquista della privacy
Tina sa da molti anni che per me è importante la privacy. Gli assembramenti mi
mettono ansia e vado cercando continuamente la pace e il silenzio, dicendo,
come Foscolo: “forse perché della fatal quiete tu sei l’imago, a me sì cara
vieni, o sera!”. I malgasci poveri, che è praticamente una tautologia, non
sanno cosa essa sia, o forse lo sanno ma hanno dovuto rinunciarvi da tempo,
facendo sì che il concetto stesso di privacy, che quasi non ha il corrispettivo
nella lingua italiana, se non forse “riservatezza”, scompaia dal loro ordine
mentale delle cose. Tuttavia, il senso del pudore non è scomparso del tutto,
poiché le donne che vanno al fiume a lavarsi sono coperte da ampi pareo, che
non tolgono mai (vedasi foto di F. Spizzirri), e anche gli uomini evitano di
spogliarsi totalmente. Solo i bambini piccoli sguazzano nell’acqua di fiumi e
canalette d’irrigazione nella loro spontanea e ingenua nudità. Ma per noi
bianchi è diverso. Per i giapponesi lo è ancora di più e degli arabi e delle
loro donne velate non occorre neanche parlarne.
venerdì 25 luglio 2014
Inutili angosce in un mondo crudele
In
un reportage precedente ho fatto cenno alla bambina morsa al volto da un
alika masiaka, un cane cattivo.
Ho anche scritto che lo avrebbero ucciso, come infatti è avvenuto il giorno dopo.
Senonché Tina mi ha spiegato che la cagna, perché di una femmina si trattava,
era diventata cattiva perché per troppe volte le avevano sottratto i figli per
venderli come cani guardiani, ma poi ha anche aggiunto che era diventata
cattiva per colpa della romotsy,
malattia che, dalla descrizione, ho identificato come rogna. Le due ipotesi non
sono consequenziali, ma nemmeno si escludono a vicenda. Fatto sta che durante
la mia prima notte passata ad Ambolanahomby, nel silenzio notturno, sentivo
cuccioli di pochi giorni piangere come se stessero chiamando la madre. Tina mi
ha lasciato credere che il padrone del cane morsicatore avesse eseguito la
condanna a morte per lesa maestà nonostante ci fossero cuccioli da crescere e
alla mia allibita domanda su chi desse ora da mangiare ai cuccioli con la mamma
morta, Tina mi ha risposto che li avrebbero buttati sulla strada, in un fosso
insieme all’immondizia. Ciò ha aggiunto turbamento al turbamento, poiché non
accettandomi le banche la carta di credito non so se riuscirò ad arrivare alla
fine di settembre, anche se in Italia non mi sono lasciato dietro un deserto
affettivo, sul piano delle amicizie, e penso di poter contare su qualcuno.
giovedì 24 luglio 2014
Infanzia malgascia
Uscendo dal cortile di casa il 22 luglio, nel quartiere di Ambolanahomby, ci
siamo imbattuti in una bambina piangente con ferite sanguinanti sul volto,
accompagnata da sua sorella pure piangente. Tina si è messa a gridare dicendo
che era stata morsa da un alika masiaka, un cane cattivo. Un brutto presentimento mi ha assalito. Infatti, il
giorno dopo il cane è stato ucciso dal suo padrone. Negli zoo sono spesso le
madri di alcune specie di mammiferi a uccidere i propri figli rendendosi conto
istintivamente che, lasciati vivere, andrebbero incontro a una vita di
prigionia. Nella savana, quando un maschio di leone vuole usurpare il posto di
un altro maschio, nell’harem di cui sono costituiti i nuclei familiari, la
prima cosa che fa dopo aver scacciato il perdente, è di uccidere i suoi figli,
in modo che alla leonessa ritornino subito i calori. E’ una guerra fra geni ed
è forse uno dei pochi casi in natura di assassinio intraspecifico, dopo l’uomo
che sotto tale aspetto è insuperabile.
Profilassi sociale preventiva
Impossibile
non soffermarsi sulla situazione sociale in Madagascar quando vediamo quanto
sia diffusa la mancanza di sicurezza. Impossibile non pensare che gli attuali leaders politici sono arrivati al loro posto grazie a un
sacrificio enorme da parte dei cittadini malgasci e nonostante siano stati
eletti dopo aver promesso di risolvere la criminalità, continuano a causare,
direttamente o indirettamente, la morte di molta gente.
Chi vuole vada, chi non vuole mandi
Appena arrivati all’Al Shame ci siamo sistemati nella camera doppia con scala
interna di legno che dà accesso alla stanza superiore. Entrambi i letti, quello
inferiore e quello di sopra, sono matrimoniali e dotati di zanzariere, e c’è
anche una culla per bambini. Già la mattina dopo, però, abbiamo chiesto al
signor Salim se potevamo avere una delle camere al piano terra, con cortiletto
per cucinare, come avevamo fatto negli anni scorsi. Il prezzo è la metà, 15.000
ariary a notte (5 euro), ma avendogli riferito le nostre intenzioni di portare
un piccolo frigo e un bollitore per il tè, Salim giustamente ha portato il
prezzo a 18.000 a causa del consumo extra di elettricità. Senonché, dopo avervi
traslocato i suddetti elettrodomestici e aver fatto la spesa per cucinare
autonomamente, ho avuto la brutta notizia, confermatami dal mio testimone di
nozze Aimone Del Ponte, che la carta di credito Unicredit, connessa al circuito
Maestro, non viene accettata in Madagascar. Indi per cui, ho dovuto prendere la
decisione di lasciare l’hotel Al Shame, così da risparmiare anche i 18.000
ariary a notte, per trasferirci nella casetta in muratura di Tina, abbassando
così il nostro tenore di vita. La cosa mi ha recato non poco turbamento.
mercoledì 23 luglio 2014
Il morso del rimorso
Testo
e foto di Francesco Spizzirri
Con
Pascaline eravamo a Manakara. Il nostro primo viaggio in treno da Fianarantsoa
a Manakara, dal centro dell'altipiano alla costa est. Si viaggia nella foresta
pluviale, sulle montagne, con cascate e fiumi. Si parte tra le coltivazioni di
the di Sambary e si arriva nella pianura verdissima delle coltivazioni di
riso di Manakara. Un viaggio da raccontare a parte. Tutti i giorni andavamo al
mercato, il posto migliore per fare fotografie, più per guardare che per
comprare dal momento che vivevamo in albergo, albergo malgascio
naturalmente, e quindi non dovevamo comprare niente per mangiare, escluse le
aragoste che andavamo a comprare in spiaggia. E bisognerebbe anche qui
parlare della differenza tra albergo malgache e dell'albergo vazaha. Manakara non è mai stata una meta turistica,
per cui non c'erano vazaha in
giro e al mercato c'erano solo prodotti per malgasci quindi prodotti poveri
di semplice sussistenza. Giravamo per il mercato solo per passare il tempo
al mattino e Pascaline mi accompagnava senza entusiasmo, perché lei di
povertà ne conosceva abbastanza. Io al contrario mi immergevo completamente
nell'atmosfera malgascia.
martedì 22 luglio 2014
L’ineludibile scissione tra personale e politico
Ed
eccoci a Tulear, una popolosa città costiera del sud che visitai per la prima
volta nel 2006. Negli ultimi anni è andata incontro a un vistoso cambiamento:
la sparizione dei pousse pousse,
sostituiti dai ciclo-poussy. Complici i vari cicloni che si sono susseguiti
regolarmente e che ne hanno decimati a centinaia, di pousse pousse autentici ne sono rimasti pochi in circolazione. Il
nome italiano di tale mezzo di trasporto è “risciò”, di origini cinesi, e non è
un caso che lo si trovi anche in Madagascar perché anche i malgasci sono
originari di quelle parti. Di Borneo e Sumatra, per la precisione. Oltre alla
lingua malgascia, un dialetto simile alla quale si trova proprio in Borneo, ci
sono gli usi (barbari) e i costumi che stanno a testimoniare la loro lontana
provenienza. In Madagascar infatti si macellano gli zebù in ogni speciale
ricorrenza esattamente come fanno in Nepal in onore della Dea Kalì. I malgasci
non hanno mai sentito parlare di quest’ultima, ma a sacrificare gli omby, gli zebù, ci riescono benissimo. Anche la folla che
ho incontrato in territorio Bara e che spingeva una piccola mandria di
zebù, tirandosi dietro il morto dentro il carretto, stava andando a
sacrificarne uno, in concomitanza con la sepoltura del cadavere.
lunedì 21 luglio 2014
Niente di nuovo sul fronte della RN7
Le
montagne mammellonari nei pressi di Ranohira sono lì da milioni d’anni e
nessuno le ha spostate. La fama di villaggio poco raccomandabile di Ilakaka è
stata forse leggermente scalfita da quella di Betroka, sede di Remenabila,
letteralmente “quello dalla giacchetta rossa”, capo di una banda di 400
ladroni. A Vineta continuano ad esserci affioramenti di cristalli di calcite,
oltre che di fossili. Quando i viaggiatori passano per Mahaboboka continuano a
provare un po’ di apprensione, poiché quattro anni fa qualcuno sparò a un
taxi-brousse di passaggio per cercare di uccidere l’autista, ma il colpo, anche
a causa dell’oscurità, non andò a segno e i passeggeri evitarono di essere
rapinati. Ad Andranovory le venditrici volanti continuano a vendere pezzi di
Tenrec riccio, arrosto, benché l’UICN abbia messo tale specie nella Lista Rossa
di quelle in pericolo d’estinzione. A Ihosy i taxi-brousse continuano a fermarsi per il pranzo di
passeggeri e autisti presso l’hotely Nirina, che cucina bene e fa pagare poco,
un po’ come i ristoranti dei camionisti da noi. E dietro il ristorante continua
ad esserci un solo WC a disposizione, così che si formano lunghe code per
accedervi, prima o dopo aver mangiato. A Sakaraha continuano ad esserci
commercianti di gemme, originari di Sri Lanka e Thailandia, e a spostarsi a
bordo di grosse autovetture, segno che quello delle pietre preziose è un
business che rende.
sabato 19 luglio 2014
Non sempre il meglio è nemico del bene
Stando
a questo poco noto proverbio, se si va in cerca di miglioramenti, cioè se si
abbandonano le sane abitudini, si rischia di peggiorare lo stato delle cose,
ovvero di perdere quei vantaggi che magari si erano faticosamente raggiunti
prima. Ho sperimentato che non sempre è così. L’ho fatto grazie alla mia guida
che aveva già portato nel dicembre scorso il suo primo difficile cliente
all’albergo Soratel anziché al Cantonnaise, alberghi che si affacciano sulla
stessa via. Entrambi sono di proprietà di cinesi ma si differenziano come il
giorno dalla notte.
La mia barbona
Anni
fa a qualcuno in Italia venne l’idea di lanciare uno slogan: “Adotta un
anziano!”. Non so se furono i Verdi o qualche agenzia umanitaria governativa.
Di fatto, non so quali effetti pratici abbia avuto. Nel mio piccolo io l’ho
fatto con Jeannette, che vediamo qui in foto e di cui mi sono già occupato.
Non ho molto da dire sul suo conto, perché ho già spiegato che la mia guida e
interprete, nonché moglie legittima su suolo malgascio, non si dimostra molto
collaborativa con me per motivi di repulsione verso cani e barboni. Quindi non
so quanti anni Jeannette abbia, né a quale etnia appartenga. Qui a Fianarantsoa
sono Betsileo, ma le etnie non sono sempre ermeticamente omogenee e quindi la
mia barbona potrebbe avere origini diverse. La differenza tra lei e Titiny, che
ho conosciuto davanti al Pavillon de jade, è che Jeannette, caso più
unico che raro in Madagascar, non trova repellenti i cani e ci dorme assieme
nel suo tugurio. Purtroppo, anche stavolta l’ho trovata ubriaca e quando Tina,
tenendosi a debita distanza, le ha chiesto spiegazioni, Jeannette ha mostrato
una bottiglietta di plastica con un fondo di toakagasy e si è giustificata
dicendo che quella è la sua medicina.
Stanlio a caccia di grulli
Stanlio
va in un giardino riservato ai reduci di guerra. Con le panchine tutte
occupate, si siede su una sedia a rotelle abbandonata ma l’unico modo che gli riesce è
quello d’infilare un piede sotto il sedere, così da apparire mutilato di una
gamba. E’ a quel punto che Ollio lo incontra dopo anni e diventa premuroso a
causa dell’apparente menomazione del vecchio amico ritrovato, nonché
commilitone. L’equivoco va avanti per un po’, nonostante Stanlio cerchi di
alzarsi più volte, subito dissuaso dall’amorevole Ollio. Stanlio ci prende gusto, a farsi portare in braccio, e lo fa anche dopo essersi
alzato sulle sue due gambe. E’ a quel punto che il regista inquadra in primo
piano il faccione incredulo di Ollio, con sua successiva arrabbiatura. L’omino
che vediamo in foto non ha una spalla con cui recitare e se sta recitando è
solo la recita della sua vita, come facciamo tutti con parti diverse e senza
regista.
giovedì 17 luglio 2014
Finché non inventeranno il teletrasporto
Il mezzo pubblico più appariscente ed economico per spostarsi da una città
all’altra in Madagascar è senza dubbio il taxi-brousse, che in questi ultimi anni sta subendo una
trasformazione in meglio, cioè sta diventando più comodo. Quando ho cominciato
a girare il Madagascar nel 2006, ce n’erano di piccole dimensioni e di
fabbricazione estremo-orientale, coreani e giapponesi. Portavano circa una
quindicina di passeggeri. Alcuni vazaha che potevano permetterselo, volendo viaggiare comodi, prenotavano due
posti anziché uno, così da poter distendere le gambe. Trattandosi di lunghi
spostamenti, anche di 10 o 12 ore, le membra s’indolenziscono e io non so come
facciano i malgasci a viaggiare stipati nei camion-brousse, oltretutto sottoposti a notevoli sballottamenti,
che si spostano praticamente solo su piste sterrate e che trasportano anche 60
persone. I taxi-brousse, invece,
stante l’abilità dei conducenti, devono fare i conti solo con le buche che si
formano a causa delle violente piogge nelle strade asfaltate delle Routes
Nationales, che non vengono
riempite, mancando ogni forma di manutenzione stradale, e che gli autisti
conoscono a memoria.
Funzionale fatalismo di marinai istintivi
Testo
e foto di Francesco Spizzirri
Io
e Pascaline, qui in foto, stavamo andando lentamente verso sud. Lei era
cresciuta a Tamatave e non aveva visto nient'altro che la sua città. Nel
viaggio precedente eravamo andati verso nord sulla costa orientale perché la
sua famiglia è originaria di St. Marie, territorio che ha un aspetto
particolare in Madagascar, ma anche questa è un'altra storia. L'avevo portata a
vedere la brousse di St. Josè,
dove abitavano ancora i nonni, e da lì eravamo poi partiti verso nord. St. Josè
è un gruppo di case sparso nel centro dell'isola di St. Marie. Adesso, dopo
aver attraversato l'altipiano, eravamo arrivati a Morondava, la mia città
preferita. Staccarmi da Morondava e dalla spiaggia di Betanìa è stato sempre
difficile, comunque, dopo una ventina di giorni di vita felice, e non è un modo
di dire (nel frattempo era arrivato anche Marcello), decisi di partire verso
Tulear. Erano i primi di
dicembre, già di notte si vedevano
i lampi sull'altopiano e il mare era diventato marrone, segno che arrivava
tanta terra, causata dalla pioggia all'interno, portata dal fiume che sfocia
con un grande estuario a sud di Morondava. Ed anche l'estuario che divide Morondava da Betanià
diventava sempre più largo. Era arrivata, in anticipo, la stagione delle
piogge.
mercoledì 16 luglio 2014
Del mangiare e di altri godimenti
E’
già da un po’ che non sento la domanda retorica “Si mangia per vivere o si vive
per mangiare?”, che conosce anche un’altra versione, ovvero una variazione sul
tema, in cui al posto di “mangiare” si mette “lavorare”. Cinici, stoici,
epicurei ed edonisti hanno già elaborato le loro peculiari teorie in proposito
e io qui posso solo fare considerazioni generali partendo da una base
biologica. Poiché la vita vuole vivere, la natura ha escogitato l’abbinamento
tra piacere e atto riproduttivo, altrimenti nessun organismo vivente si
riprodurrebbe. Analogamente, sullo stesso modello, la natura ha abbinato il
piacere all’atto del nutrirsi, altrimenti saremmo tutti anoressici. Nel caso di
Dolie, il lemure bruno di proprietà di monsieur Eric, le ho offerto una
semplice foglia d’albero, affinché abbia qualche stimolo in più, perché i suoi
padroni, Eric e sua moglie, le danno banane, mele, ananas e pomodori, ma la
tengono relegata in un angolo del portico, con una cordicella legata alla vita.
Più pericolosa della malaria
Testo
di Francesco Spizzirri
Una
buona notizia. Con tutti i limiti illustrati nel seguente articolo, è stato
trovato un vaccino per la Dengue. Quando c'è stata la prima grande ondata
in Madagascar qualche anno fa, che io conosca, ha fatto numerosi morti, come
pure alla Reunion, dove ci sono state molte vittime tra gli anziani. E la
Reunion, piccola isola francese di fronte a Tamatave, ha un sistema sanitario
europeo. Anche recentemente sembra ci sia stata un'epidemia nella brousse profonda di Fenerife est e Mananara nord, che ha
causato morti. La distanza dalle città, le difficoltà di
collegamento e una sanità limitata hanno impedito qualsiasi forma d’intervento,
tanto che un uomo, partito dal villaggio per cercare aiuto, al ritorno ha
trovato tutta la famiglia morta. Poi non se n’è saputo più niente. Devo
dire comunque che il sistema sanitario sta migliorando, con la disordinata
crescita economica del Madagascar.
lunedì 14 luglio 2014
Come a Tina sparirono i funghi
Bisogna
anzitutto conoscere l’antefatto. Madame Fanja fu molto gentile con noi, fino al
punto di prestarci il quad con cui facemmo una gita a Mangily. Quelli in
affitto del bungalow di Fanja - e del suo compagno francese monsieur Bernard ad
Ankilibe - furono in assoluto i tre mesi più belli che passai in Madagascar,
poiché tutte le mattine prendevo la bicicletta e mi recavo verso la vicina
montagna della Table, a cercare fossili o animaletti da fotografare. Poi i
rapporti si guastarono, forse perché Tina ha una dote tutta speciale di
guastarli e finisce per litigare con tutti. Così dovemmo traslocare in città, a
Tulear, portandoci dietro tutte le nostre masserizie. Il giorno dopo ricevemmo
una telefonata di Fanja, che ci accusava di averle rubato una pentola. In
realtà, l’utensile era sempre rimasto dentro il vano di un forno da cucina che
non usavamo mai, ma questo si seppe dopo. Tina si offese perché veniva accusata
di essere una ladra e naturalmente le rispose in malo modo. Dopo qualche tempo
a Tina venne una micosi alle dita dei piedi e delle mani, risultato – a suo
dire – di un “gri gri” fattole dalla sua ormai mortale nemica, nonché ex
padrona di casa, che aveva fama di essere una “tromba” (pron. Ciumba), il
corrispettivo femminile di stregone.
Amici, nemici o semplici conoscenti?
Mi
è già capitato altre volte che a mostrarsi amichevoli siano state persone non
animaliste, anzi, in Madagascar, decisamente nemiche degli animali. Eppure, per
qualche strana alchimia, un italiano residente a Tanà di origini siciliane,
Aldo Sunseri, che prima di andare in pensione faceva il pellicciaio e
l’avianese Aimone Del Ponte (il secondo da sinistra, con barba bianca e
occhiali), che prima di diventare pensionato faceva il macellaio, si sono
mostrati disponibili a facilitarmi l’esistenza. Il primo, in quanto segretario
dell’Associazione Italiani in Madagascar, mi ha aiutato con la documentazione
per l’espatrio di Tina, avvenuto come “familiare al seguito” dopo il matrimonio
contratto nel 2011, e il secondo facendomi da testimone di nozze, con tanto di
regalo di denaro in busta, oltre a rendersi disponibile per risolvere la brutta faccenda di quella povera cagnetta investita. Lui era con me quando
venne, per fortuna, il veterinario armato di siringa, per sopprimerla,
altrimenti Aimone avrebbe usato le tecniche di macellazione che conosceva. E in
quell’occasione mi disse che sarebbe stato meglio per me se io non avessi
assistito.
sabato 12 luglio 2014
Il benvenuto di Mahajanga, con colpo di scena finale
Dopo
un viaggio di 550 Km a bordo di un pulmino Mercedes, seduto a fianco del
guidatore, arrivo stanchissimo a Mahajanga e Beavy, il lontano parente che Tina
aveva contattato fin dal giorno prima, viene a prenderci alla gare routiere per
accompagnarci al Central Hotel. Vi arriviamo alle 22.30 e, visto che non c’era
di meglio, ordiniamo birra ghiacciata e patate fritte. Presso il tavolo
adiacente, tre giovani gay con i loro amici ballano al suono delle ritmiche
musiche malgasce. In camera, costata 36.500 ariary, pari a 12 euro, scopriamo
che non c’è luce in bagno, il telefono della doccia spara l’acqua verso l’alto
e sui letti non ci sono le lenzuola. Interpellato in merito a quest’ultimo
particolare, il recepzionista dice che a Mahajanga fa caldo, essendo città
costiera nel nord ovest del Madagascar, e le lenzuola non servono. Decidiamo
che la mattina dopo ce ne saremmo andati a cercare qualcosa di meglio. Beavy,
il parente di Tina, viene a far colazione con noi e ci accompagna presso altri
alberghi che però hanno le camere a 60.000 ariary a notte, cioè 20 euro. Mostro
a Tina la pagina riguardante gli alberghi della guida Lonely Planet in cui si
parla di un hotel economico, chiamato Chez Chabaud. Tina prende il libro e si
avvia con Beavy a cercare un taxi nella vicina piazza. Saliamo su una Renault 5
grigia e così cominciano le nostre vicissitudini.
giovedì 10 luglio 2014
Randagi a due e quattro zampe
Questa
donna si chiama Arlala ed è ospitata dallo zio di Tina nel suo cortile dotato
di fontanella e tettoia, in cambio del lavoro di guardiano. Non ha una storia
felice da raccontare. Perse una figlia piccolina in modo atroce, come
racconterò fra poco e una madre in un modo altrettanto atroce, mentre a suo
padre un autobus cittadino schiacciò un piede poiché dormiva, ubriaco, sul
marciapiede del quartiere di Ambatonakanga. Anche la vecchia madre era ubriaca
quando una notte, un agente di securité, come ce ne sono tanti a Tanà davanti a banche e grossi negozi, la
uccise a calci e pugni. Spesso capita infatti che gli ubriachi diventino
molesti e aggressivi e incontrino persone che non hanno la necessaria pazienza
di sopportarli. Se poi vanno ad infastidire sbirri o altri umanoidi in divisa,
c’è rischio che ci lascino le penne, come capitò a quella povera vecchia
barbona. Per il cui omicidio nessuno finì in prigione.
Il padiglione di giada
Se
noi siamo riusciti a costruire interi colonnati di marmo, in varie parti del
mondo occidentale, non vedo perché in Cina non siano stati capaci di costruire
gazebo con le colonne di giada, che per quanto mi consti è un minerale semiprezioso.
D’altra parte, io non sono mai stato in Cina e laggiù, della verde giada,
potrebbero esserci intere miniere come quelle marmoree di Massa Carrara. Fatto
sta che l’albergo Pavillon de jade, a Tanà, si trova a Behoririka, cioè nel
quartiere cinese e la struttura originaria è stata inaugurata nel 1983 alla
presenza di un ministro dell’allora presidente Didier Ratsiraka. Io vi andai
una prima volta nel 2006, su invito di Francesco Spizzirri di cui ho già
pubblicato sia articoli, sia soprattutto bellissime foto. Al momento si pagano
10 euro a notte, con bagno in camera e acqua calda. La presenza del ristorante
interno, chiuso la domenica, fa sì che la sera non sia necessario uscire a
cercarsi da mangiare, dato che con il calare del sole la città si fa insicura.
martedì 8 luglio 2014
Il fascino perverso delle disgrazie altrui
Tutte
le volte che ritorno da Tina, immancabilmente vengo aggiornato sulle ultime
disgrazie avvenute in Madagascar. In quanto velleitario giornalista, non posso
negare che m’interessino e Tina lo sa. Noi in Italia, specialmente il popolo
del web, c’interroghiamo sull’eticità di pubblicare sui nostri blog o pagine
Facebook notizie demoralizzanti, giacché abbiamo capito che influiscono sia sul
nostro umore, sia addirittura sul nostro DNA, danneggiandoci sul piano psichico
e alla lunga anche su quello fisico. Per tacere dei vampiri energetici che si
dice approfittino della nostra sofferenza. I malgasci, che questo non l’hanno
ancora capito, come i famosi calabroni che aerodinamicamente non potrebbero
volare ma non sapendolo volano lo stesso, assorbono le brutte notizie con un
certo piacere e non sembrano patirne le conseguenze. A meno che non le si
vogliano vedere direttamente nella difficoltà che hanno, come popolo, di
evolversi spiritualmente.
La
questione è controversa e non è ancora detta l’ultima parola. Di fatto, tutte
le mattine, in varie parti della città, si forma una piccola ressa davanti ai
quotidiani messi in bella mostra sui muri delle strade di maggior traffico e
questa è decisamente una cosa civile, considerato che non tutti possono
permettersi di comprare il giornale. Da noi, se solo ci si attarda all’edicola,
leggiucchiando, l’edicolante protesta.
Il canto mattutino dei motorini d’avviamento
Una
tipica giornata ad Antananarivo comincia quando è ancora buio, con il petulante
gracchiare di mille motorini d’avviamento. Ce ne sono di quelli aitanti che
soffrono di eiaculazione precoce, con soddisfazione dei loro proprietari che
non devono aspettare troppo prima di partire e ce ne sono di quelli che
appartengono ad anziani organismi meccanici che ci mettono un po’ prima di
compiere il loro lavoro. E’ facile, in tal caso, immaginare i proprietari
aggrappati alla chiavetta d’accensione inveire, maledire, bestemmiare o anche
solo supplicare e pregare che il motore parta. Ma nel frattempo, dalla mia
privilegiata postazione al secondo piano dell’albergo, posso valutare,
standomene ancora disteso a poltrire nel letto, le varie tonalità di rumore,
dallo squillante al gracidante, dal raschiante allo scoppiettante, a seconda
dello stato di salute degli automezzi e degli strapazzi subiti nelle loro
normalmente lunghe vite. Già le prime macchine si avviano pigre sull’acciottolato
dietro il Pavillon de Jade, per portare i loro padroni al lavoro e ancora
qualche cane abbaia in lontananza, per motivi che solo lui conosce, ma sono
rari, i cani, a Tanà, perché non hanno vita facile e il cibo degli immondezzai
lo devono contendere con turbe di barboni vestiti di stracci e del colore delle
strade asfaltate. Il nome di questi ultimi, non a caso, infatti, è “Katramine”.
lunedì 7 luglio 2014
Fragola e mandarino
Il
giorno prima della mia partenza, l’amico Franco, che mi ha accompagnato al
Marco Polo di Venezia alle cinque del mattino, mi ha chiesto a quali rinunce
alimentari va incontro un vegano in Madagascar. E questo è un problema che
qualsiasi persona intenzionata a mantenere uno stile di vita cruelty free si pone in caso di spostamenti sulla superficie
terrestre. Gli ho risposto che in Madagascar cresce tutto ciò che c’è da noi,
ad eccezione forse degli asparagi, con in più deliziosa frutta esotica (per
noi) a prezzi bassissimi. Gli ho portato l’esempio di Tulear dove un giorno ho
visto in vendita alcune ceste di noci, provenienti direttamente da
Fianarantsoa, cioè dagli haut plateau, gli altipiani. Anche le mele, che a Tulear, città della costa sud
ovest, crescono piccole e stentate, vengono dagli altipiani e sono grandi come
le nostre. Il 6 luglio, cioè all’inizio dell’inverno australe, ho trovato in
vendita nella capitale belle fragole scarlatte, invitanti e voluttuose e ciò mi
è parso strano giacché, pur non mangiando mai fragole a causa delle grandi
quantità di pesticidi usati per coltivarle, mi sembra che siano frutti estivi.
A meno che non siano coltivate in serra. L’unica cosa che sono venuto a sapere
tramite la mia interprete Tina è che vengono da Ambatofotsy, una zona nei
dintorni di Antananarivo e che il loro prezzo è di mille ariary a vaschetta,
trenta centesimi di euro.
domenica 6 luglio 2014
Vivere on the road in Madagascar
Quando
la suora si presentò a sua madre, Pota aveva quattro anni. Era nata su un
marciapiede e aveva conosciuto il sapone poche volte nella sua vita. La
incontrai nel cortiletto di casa dello zio di Tina, monsieur Jean Charles, un
devoto cattolico di Antananarivo che prende sul serio i precetti evangelici e
lascia che una famiglia di barboni stazioni, dorma e cucini nel suo cortile. La
madre della bambina preferisce le scalinate, e rimane all’esterno, dove può
chiedere l’elemosina ai passanti, ma la piccola Pota, all’epoca in cui la
incontrai, giocava sempre con Jacqui, di poco più grande di lei. Li vediamo qui
insieme in foto.
Per difendervi dai ladri comprate un cane malgascio
Che
poi, riallacciandomi al discorso di prima, non è vero che io sia tirchio
e sparagnino, perché di doni ne sto facendo da anni a Tina e alla sua famiglia.
L’elenco sarebbe lunghissimo e non lo voglio fare qui. Citerò solo il sacco di
fagioli secchi che domenica 6 luglio, dopo che Elena se n’era andata, abbiamo
portato a suo zio Jean Charles, comprati con i miei soldi ovviamente. Nulla da
obiettare da parte mia. Purtroppo, nel cortiletto della sua casa abbiamo
trovato una cagna con otto cuccioli. Mentre la fotografavo mi ringhiava,
giustamente. Ho chiesto a Jean Charles se manderà qualcuno a venderli, ma mi ha
risposto, attraverso Tina traduttrice, che li regaleranno ad amici e
conoscenti, come se non ci fossero già abbastanza cani in circolazione e di
amici e conoscenti ce ne fossero una moltitudine, desiderosi di accogliere
cani. E’ un annoso problema, che abbiamo anche in Italia e negli altri paesi
del Terzo Mondo. C’è da farsi venire la disperazione solo a pensarci.
Africa chiama, Europa risponde
Per
telefono Francesco mi aveva detto che la sua nuova ragazza si chiamava Tati, ma
arrivata in camera prima delle sette di domenica 6 luglio, quando ancora io e
Tina eravamo a letto, ho scoperto che il suo nome è Elena e ha 26 anni
(Francesco ne ha 57). Si era fatta un lungo viaggio in taxi-brousse da Tamatave
per venire ad Antananarivo a ritirare il pacco di 12 chili di Francesco, che ho
portato in Madagascar dall’Italia. Per fortuna, all’aeroporto internazionale di
Ivato la notte prima non me l’hanno fatto aprire, perché mi sarebbe scocciato
consegnarlo aperto a Tati/Elena. So cosa contiene perché Francesco me lo ha
detto e anzi lui si aspettava che lo aprissi per sistemarne gli oggetti in
un’unica valigia, ma io ho preferito allestire una valigia apposita.
venerdì 4 luglio 2014
L'Europa sta diventando un campo di battaglia
Un
immigrato di vent’anni è stato ucciso e altri due sono in ospedale dopo una
battaglia a colpi di coltello e pistole che ha lasciato diversi feriti, dopo
che 300 giovani immigrati si sono scontrati per le strade di Birmingham. Una
delle città più multietniche della Gran Bretagna. La
vittima, Ikram Elahi, è morto in
ospedale dopo aver subito una singola ferita da arma da fuoco. Un
portavoce della polizia delle West Midlands ha confermato l’arresto di un
“certo numero di persone”.
La favola atroce e moderna del lupo e dell'agnello
Testo di Fabrizio
Belloni
In
questi giorni i media sono stracolmi di articoli, foto, commenti sulla atroce
vicenda dei tre allievi di scuole rabbiniche, assassinati. Con dovizia di
particolari, di indagini “storiche” sulla loro vita, sui loro studi, sulle loro
passioni giovanili, sulla loro attività scolastica e ludica.
Da
giorni i media sono pieni, strapieni, ridondanti. E
questo mi ha fatto scattare un allarme nella zucca.
Il classico ribaltamento dei ruoli
Testo
di Mauro Bassi
La
realtà palestinese: invasi, torturati e umiliati.
E
il mondo (grazie ai media sionisti), pensa che gli invasori torturatori siano
le vittime.
Invece
sono il cancro del mondo e di tutti i suoi abitanti.
Vegetariani ad alta quota
Fonte: Il Gazzettino
BOLZANO
- In Alto Adige, nella patria dello speck, una malga offre esclusivamente
piatti vegetariani e vegani. Nella convinzione che il consumo di carne sia
discutibile dal punto di vista ecologico, a partire dal 2013, Alexander Bisan
sceglie nella sua malga Monte San Pietro le pietanze accuratamente e le prepara
con ingredienti di provenienza non solo regionale ma addirittura dei prati e
dei boschi circostanti e in gran parte biologici. «Voglio avere la coscienza
pulita», dice.
giovedì 3 luglio 2014
La CIA ha creato il nuovo Bin Laden
Roma,
il centro della cristianità, entra nel mirino di Abu Bakr al Baghdadi,
"califfo dello Stato islamico" creato nell'est della Siria e
nell'ovest dell'Iraq.
In
un audio-messaggio diffuso da siti jihadisti, il "principe dei
credenti" si appella ai musulmani perchè si lancino in altre conquiste: «Se
Iddio vorrà, prenderemo Roma e il mondo intero».
A tirarla troppo la corda si spezza
Testo
di Silvio Schembri
Dopo
l’ennesimo arrivo di migranti al centro d’accoglienza “Villa Sikania” di
Siculiana, gli abitanti della Città degli Sposi scendono in piazza per
manifestare il proprio dissenso. I cittadini esasperati urlano il loro dissenso:
non ce la facciamo più.
Noi lo sappiamo da sempre
"Scusate,
ci siamo sbagliati". Dopo anni di ricerche, dopo che milioni di topi e
ratti sono stati sacrificati in nome del presunto progresso scientifico, dopo
che a centinaia di migliaia di pazienti sono stati somministrati farmaci
realizzati e testati sulla base di questo modello animale, i ricercatori
americani hanno dimostrato, con uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista
"Proceedings of the National Academy of Sciences", che i risultati
della sperimentazione sui topi non possono essere trasferiti sul modello umano
per almeno tre diversi tipi di patologie (sepsi, traumi e ustioni). Ma
i ricercatori si spingono oltre mettendo in dubbio anche l'attendibilità dei
test condotti sul cancro e sulle patologie cardiache. E' quanto rivela la
versione online del New York Times.
Il marchio della belva
Fonte:
Attivismo
Tutti
pronti per il Marchio della Bestia?
Apocalisse
13:16-18: "
Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e
schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno
potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia
o il numero del suo nome".
Queste
MOSTRUOSITA' sono subdolamente PROPOSTE attraverso un VERO E PROPRIO LAVAGGIO
DEL CERVELLO nelle MASSE. Ecco dunque che i chip sono proposti per far evitare
il rapimento, microchip nei bambini per evitare atti di pedofilia, Microchip
negli impiegati di banca per monitorare la presenza sul lavoro, microchip negli
ospedali per monitorare lo stato di salute dei pazienti e via di questo
passo. Il solito meccanismo: creare PAURA ed offrire le SOLUZIONI. Ma
il vero pericolo é la possibilità REALE di far scomparire definitivamente la
MONETA CONTANTE e sostituirla con un unico, monolitico SISTEMA DI PAGAMENTO
"VIRTUALE". Questo
offrirebbe INFINITI VANTAGGI (che la propaganda non mancherebbe di
sottolineare) ma renderebbe L'UOMO DEFINITIVAMENTE SCHIAVO
..è
questo il FUTURO che vuoi? Diventare ancora più schiavo del Sistema?