Ho
appena finito di leggere il libro che mi sono portato dietro in Madagascar: “La
masai bianca”, di Corinne Hofmann. Ne pubblico un resoconto perché mi sembra
attinente con la più grande isola dell’Africa australe, anche se i malgasci non
vogliono essere chiamati africani, come i carnici non vogliono essere chiamati
friulani. La storia raccontata in prima persona da una donna svizzera che,
invece d’innamorarsi dell’Africa come fanno tutti, si innamorò direttamente di
un africano, ha venduto 300.000 copie in tutta Europa ed è stata tradotta in
molte lingue. Vi ho trovato dei punti in comune con la mia esperienza
personale, benché io non possa dire di essermi innamorato di Tina, la mia
attuale moglie. Per i lettori di sesso femminile è inconcepibile che un essere
umano possa sposare o anche solo convivere con qualcuno senza essere
innamorato, ma per fortuna tra i miei lettori ci sono anche persone di sesso
maschile che, viceversa, capiscono benissimo che la cosa è fattibile. E
pertanto sospendiamo l’argomento, che ora qui non c’interessa approfondire.
Al
di là di questa incomprensione fra i sessi - e sorvolando sulle motivazioni che
mi hanno spinto a sposare una ragazza semicivilizzata della brousse - riporto le mie impressioni provate al termine
della lettura dell’autobiografia in oggetto, per evidenziare, come del resto fa
l’autrice, l’impossibilità di conciliare due mondi troppo distanti tra loro.
Insegnamento, questo, di cui dovremmo far tesoro nel momento in cui le nostre
autorità politiche e religiose ci vengono a parlare di accoglienza dello
straniero e di integrazione con il medesimo. Il parallelismo in questione
risulta evidente perché sia il guerriero masai di cui Corinne si era
innamorata, sia le etnie che vengono a cercare fortuna sul suolo patrio, hanno
una concezione prettamente maschilista della vita, basata sui più beceri
rapporti di forza, e se trovano, nel caso in oggetto, una donna disposta a
sposarlo e nel caso dell’invasione strisciante da parte di immigrati, una popolazione
arrendevole e “femminea”, se ne approfittano.
Porgere
l’altra guancia fa sì che colui che ha colpito per primo, colpisca una seconda
volta, al di là dell’interpretazione etologia fornita da Konrad Lorenz, secondo
cui i lupi che perdono in combattimento offrono la giugulare all’avversario più
forte perché così fanno scattare i meccanismi d’inibizione dell’aggressività.
Ciò che è vero per i lupi, non lo è per arabi e africani, che forse vedono
nella nostra accoglienza un segno di debolezza da sfruttare a loro vantaggio.
Mi fermo qui giacché a molti non fa piacere il mio continuo riferimento alla
natura animale dell’uomo, perché pensano che io voglia sminuire la sua parte
angelica, che pure esiste e coabita con quella animale.
La
ragazza svizzera era in Kenya con il suo amico Marc per una vacanza. Vide il
masai alto due metri nel suo costume tradizionale e rimase folgorata. Si
congedò dallo sfortunato accompagnatore suo compaesano e, nei mesi successivi,
fece di tutto per sposare quella scultorea figura venuta dalla savana e che già
conosceva un po’ d’inglese. La burocrazia keniota provò in tutti i modi ad
impedire quel matrimonio misto, neanche avesse letto “I promessi sposi” del
Manzoni, ma alla fine, spendendo molti soldi in bustarelle solo per far sì che
i funzionari locali facessero semplicemente il loro dovere, la 27enne di Biel
raggiunse la sua meta: sposare Lketinga Lamormorijo, il figlio della savana
color ebano.
Volle addirittura celebrare il matrimonio con l’abito bianco da
sposa che si era appositamente portato dalla Svizzera in uno dei viaggi che
dovette fare per sistemare le cose in patria, prima di chiedere la cittadinanza
keniota.
Quando
ci sono cerimonie da compiere in Africa, ci vanno di mezzo gli animali, capre o
bovini che siano, e già qui c’è una prima divergenza tra me e la ragazza
svizzera, la quale non ebbe niente in contrario a lasciare che la sua nuova
famiglia, per festeggiare l’unione tra lei e Lketinga, macellasse diversi capi
di bestiame. Quando nel febbraio del 2011 io e Tina ci siamo sposati nel
municipio di Tulear, abbiamo fatto un semplice pranzo di nozze senza il Fomba che tutti si aspettavano, cioè la macellazione
rituale dello zebù.
Va
detto per inciso che i masai macellano gli animali senza usare coltelli. Cioè
per soffocamento, perché così vuole la loro tradizione. Almeno i malgasci, sia
negroidi che arabi, sgozzano le loro vittime, ma non saprei dire quali delle
due forme di uccisione sia meno dolorosa.
All’ultimo
minuto prima di celebrare le nozze nella savana, Corinne venne a sapere che
avrebbe dovuto sottoporsi al taglio del clitoride, come fanno tutte le donne
prima del matrimonio. Avuto da Corinne un netto rifiuto, Lketinga si rassegnò.
Idem quando, dopo la nascita della loro bambina Napirai, il marito le chiese di
dare in consegna alla nonna la piccola, al compimento del suo primo anno di
vita. Anche in questo caso Corinne si rifiutò e Lketinga si rassegnò. Non si
può dire che il giovane guerriero fosse totalmente rigido riguardo alle
tradizioni del suo popolo, ma probabilmente queste frustrazioni di natura
culturale gettarono i semi di quella pazzia che sarebbe esplosa successivamente
e che avrebbe preso i connotati della gelosia.
I
contrasti veri però, tra Corinne ed Lketinga, sorsero quando si trattò di
gestire il primo negozio Samburu della savana, allestito vicino la missione di
due preti italiani, Giuliano e Roberto. Lketinga concedeva merce a credito perché sosteneva che fosse suo
dovere aiutare la sua gente,
mentre Corinne ovviamente non era d’accordo. Se non che, i soldi in banca in Svizzera prima o
poi sarebbero finiti e se il negozio non avesse portato reddito, le cose si
sarebbero messe male per Corinne, fino al punto di costringerla a interrompere
la sua avventura africana. Lketinga, naturalmente, non aveva consapevolezza di
ciò e pensava che i soldi provenienti dal paese natale di sua moglie sarebbero
durati in eterno. Questo è esattamente ciò che pensa Tina, forse perché finora
ha sempre assistito alla facilità con cui riesco a fare prelievi agli sportelli
bancari.
Come
succede anche in Occidente quando un marito vede lesa la propria autorità,
Lketinga cominciò a ubriacarsi e a masticare miraa, una specie di pianta allucinogena. Probabilmente
quest’ultima è una consuetudine normale per i guerrieri masai, ma non lo è di
sicuro, o non lo era prima che entrassero in contatto con i bianchi, il consumo
di alcolici, se escludiamo la birra ricavata dal miglio. Nel mio caso, per
manifestare il suo disagio di vivere lontano dalla sua terra, Tina si è
ubriacata sia nel 2011, sia nel 2012, nel secondo tentativo di acclimatamento
in terra italica, ma in entrambi i casi l’unica soluzione fu che Tina se ne
tornasse in Madagascar.
Lketinga,
invece, era già nella sua terra e le frustrazioni gli derivavano dal non poter
ottemperare al ruolo impostogli dalla sua cultura, eminentemente maschilista.
Deve aver provato molta vergogna, infatti, le volte in cui Corinne alzava la
voce con lui, sia che si trattasse di gestire in un certo modo il negozio, sia
che si trattasse di altre scelte inaccettabili per la donna svizzera. In quei
casi, il marito invece di picchiarla se ne andava a cercare gli altri guerrieri
e tornava nella manyatta quando gli pareva, a tutte le ore del giorno e della
notte. Dopo un certo periodo di incomprensioni, però, il giovane si faceva
sempre più aggressivo con la moglie e diede sfogo alle sue frustrazioni con
scenate di gelosia che mettevano la ragazza in grande imbarazzo.
L’uomo
le faceva l’interrogatorio, su chi avesse incontrato e perché fosse stata via da
casa così tanto tempo, in presenza di estranei, compresi i due missionari e i
clienti del negozio. Una sera, per fare un esempio, volle sapere perché fosse
uscita nel cuore della notte e chi avesse incontrato. Alla risposta che era
uscita dalla manyatta per fare pipì, volle essere condotto nel punto preciso in
cui l’aveva fatta. Corinne, in quell’occasione, invece di provare rabbia per
l’ennesima accusa d’infedeltà, si mise a ridere e gli mostrò la pozza dove,
dietro la capanna, aveva fatto i suoi bisogni, ma il suo riso peggiorò la
situazione e la gelosia di Lketinga ebbe nelle settimane successive
un’andamento progressivo di tipo parossistico. Anche quando Corinne dovette
assentarsi per partorire in ospedale e per curarsi prima della malaria e poi anche
dell’epatite, la gelosia del masai non cessò, finché la donna, per una sorta di
autoconservazione, non prese la decisione che mai avrebbe sospettato di dover
prendere: fuggire.
A
un certo punto, sapendo che il marito non le avrebbe mai concesso l’autorizzazione
di andare in Svizzera con la bambina, dovette far ricorso all’inganno e dirgli
che sarebbe stata via solo un paio di settimane, insieme a Napirai, per
mostrare ai nonni la piccola che non avevano ancora visto. Fino all’ultimo
momento Lketinga era restio a firmare il documento di espatrio per la bambina e
solo per puro miracolo alla fine, quando l’autista dell’autobus diretto
all’aeroporto di Nairobi aveva suonato il clacson per la terza volta, per
sollecitare la salita di Corinne, Lketinga si decise. Dalla Svizzera Corinne
Hofmann scrisse una lettera al marito scusandosi per averlo ingannato, ma
spiegandogli che se non avesse agito così sarebbe morta. Ed era vero. Gli
augurò di trovarsi altre ragazze della sua etnia e di avere molti figli, cosa
che, anche se il libro non lo dice, probabilmente si è avverata.
Io
e Tina non abbiamo figli. Lei ha una bambina di undici anni e io una figlia di
19. Non ho intenzione di scappare dal Madagascar perché nonostante tutte le
difficoltà non mi sento in pericolo di vita. Un libro come quello in oggetto
potrei anche scriverlo, volendo, benché uno ne abbia già scritto nel 2007, di
ritorno dal mio traumatizzante secondo viaggio. Per ora tengo aggiornato il mio
blog e spero che i miei lettori siano ugualmente soddisfatti. Di sicuro, non
sarò pubblicato da Mondadori.
Roberto, in quanto conoscitore della donna africana...ti farò una domanda pratica, visto che ne sto frequentando una: le nere della costa orientale dell'Africa secondo te sono più o meno inibite in generale rispetto alla ragazza italiana media? Grazie, g
RispondiEliminaTutte le africane, secondo me, a livello cerebrale considerano il sesso un evento naturale e il maschio dominatore sulla femmina, ma a livello pratico, cioè di performances, sono limitate dalla carenza storica di acqua, che impedisce una corretta, deodorante, igiene intima.
EliminaPer questa ragione, sessualmente parlando, sono meglio le donne occidentali, pre o post femminismo.
Beh però il fatto che considerino la sessualità come una cosa naturale, senza tante seghe mentali...per dirla chiara...mi sembra una grande qualità, impagabile, visto che al giorno d'oggi la donna occidentale, per dirla con il grande Serafino Massoni, appare totalmente "incaptivita"! g
RispondiEliminaSì, ma se poi le performances lasciano il tempo che trovano, è meglio rivolgersi altrove.
EliminaResto del parere che la donna bianca è la migliore, anche quella che non ha letto il Kamasutra.
Ciao, dove posso trovare il tuo libro sulla tua esperienza in Africa? Sono curiosa, attualmente pure io sono in Africa
RispondiEliminaMmm...marito masai e moglie italiana . Siamo sposati da 17 anni e msi pentiti. Assolutamente in.disaccordo che i masai siano tutti uguali. E' l'istruzione che hanno che fa la differenza. Le tradizioni vengono rispettate all'interno della tribu' ,ma si fermano quando in famiglia non vengono accettate o ben viste dal partner non masai.
RispondiEliminaDona e John (viviamo sempre in Kenya da dicembre 2000)
Io direi che sarebbe meglio se tu non lo scrivessi un libro.Sei noiosetto,scontato e scorretto. Io non sono sposata con un masai,ma con un musulmano e trovo ridicole le tue analisi ed offensive le tue conclusioni.
RispondiEliminaMi dispiace per te, ma di libri finora ne ho scritti sei, tra cui l'ultimo quello sul Madagascar.
EliminaNessuno mi ha mai giudicato noiosetto. Solo tu lo fai probabilmente per motivi ideologici.
Se trovi ridicole le mie analisi, vedremo se riderai ancora quando tuo marito musulmano ti riempirà di botte come prescritto dal loro immondo testo sacro e dai loro maschilisti imam.
Ne riparleremo quando finirai in un letto d'ospedale per le botte ricevere dal tuo padrone musulmano.
Bellissima recensione... Avrei voluto condividerla su fb ma mi viene bloccato il post
RispondiEliminaSì, purtroppo a Facebook non sono simpatico.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaNaturalmente non è così.
RispondiEliminaIo e mio marito, musulmano, conviviamo da 7 anni e siamo sposati da 2, con piena felicità di entrambi. Purtroppo è vero, esistono gli uomini che picchiano le donne, mi è capitato anche a me. Era un italiano nostalgico del ventennio che abitava alla considerevole distanza di 15 km da casa mia. In effetti troppo, avrei dovuto scegliermelo più vicino.
Il mio attuale marito, invece, musulmano (ripeto) non mi mette le mani addosso neppure per scherzare. E' dolce, simpatico, non praticante, pieno di idee, di vita e di cultura. Come dice la Sig.ra donamasai è la famiglia a fare la differenza, l'istruzione che è stata data alla persona dalla famiglia, dalla scuola, dai parenti tutti.
Quindi mi associo alla risata della SIg. ra Elena, e vi si associa anche mio marito, con quel bellissimo e puro sorriso che lo contraddistingue :-)
Sono contento per voi, anche se la risata finale te la puoi risparmiare.
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