mercoledì 30 luglio 2014

Il mio testaimone di nozze



Il mio testimone di nozze si chiama Aimone Del Ponte, è originario di Aviano, dove faceva il macellaio, e ora vive a Tulear da dieci anni. Qui lo vediamo all’estrema sinistra, il più serio del gruppo di cinque. Sono andato a trovarlo a casa sua per chiedergli in prestito un paio di libri, lasciandogli in cambio quello che ho finito di leggere da poco. Sapevo già che non ha un buon rapporto con gli animali, visto anche il lavoro che faceva in Italia, ma quando sono entrato in cortile e ho visto i due alika molto magri gli ho fatto notare che per essere cani di un macellaio sono piuttosto magrolini. Al che mi ha risposto che lui non se ne occupa, se mangiano è solo perché Ivette, la sua compagna malgascia,  gli dà qualcosa di commestibile, perché se dipendesse da lui li avrebbe già fatti fuori. La ragione è che sono cattivi: gli hanno mangiato i gattini appena nati, due tacchini e una papaia, la prima che l’albero in giardino aveva prodotto, benché l’avesse appoggiata su un’alta mensola, fuori dalla loro portata. Forse gli hanno combinato anche altre malefatte, così il suo odio nei loro confronti è ormai irreparabile. 


L’ultima volta che ero stato da lui, aveva un lemure Catta di nome Tigellino,  legato alla vita con uno spago. Mi ha spiegato che non gli è morto solo quello, ma anche tre cuccioli avuti da un’altra femmina perché probabilmente il latte che dava loro era infetto. Tenere lemuri di qualsiasi specie è illegale in Madagascar, ma lo fanno tutti, vazaha residenti e gasy indigeni, compresi coloro che dovrebbero dare l’esempio, come l’ispettore di polizia di Mahajanga che mi ha fatto koly koly, cioè mi ha spillato denaro mettendomi in uno stato di colpevolezza per aver denunciato un taxista disonesto. Oltre a questo, la prigionia in gabbia o mediante catenelle legate al corpo è evidentemente un sopruso ai loro danni, ma se si pensa che lasciati liberi correrebbero il rischio di essere catturati e mangiati, ci si deve chiedere se per essi è meglio condurre una vita da schiavi o morire per mano di malgasci incuranti delle leggi di protezione delle specie animali.

E’ lo stesso dilemma in cui mi sono trovato anni fa ad Ankilibe, quando, girando in bici nella brousse, sono finito in un ristorante in costruzione, deserto in quel momento perché domenica. In un basso recinto di pietre c’erano una dozzina di tartarughe sonnacchiose. Non ci sarebbe voluto niente a caricarmene un paio nello zainetto e ad andare a liberarle nella boscaglia circostante, vicino alla montagna della Table, ma non l’ho fatto perché sapevo che anche in quel caso sarebbero state ben presto catturate e mangiate. Quindi ci sono situazioni in cui non è facile capire cosa è giusto fare.

Il cucciolo di due mesi che vediamo in foto ha un’altra storia. Quando l’adulto nella voliera ha visto Aimone che se lo caricava in spalla si è eccitato tantissimo, saltando sulla rete e sulla struttura in legno della gabbia, ma non si è trattato dell’istinto protettivo nei confronti di un esemplare giovane della propria specie, bensì della banana che Aimone teneva in mano e che io non avevo notato. Poco tempo fa un altro italiano residente gli ha telefonato dicendogli che dei bambini in centro città avevano un lemure. Aimone ha preso immediatamente il suo quod ed è andato a riscattarlo per pochi spiccioli, facendo sicuramente la cosa migliore per quell’animale, dato che i bambini spesso non sono consapevoli del proprio comportamento crudele verso gli animali. Sebbene abbia davanti a sé una vita da schiavo, quel piccolo lemure è stato tolto a un destino ancora più nefasto e quindi ciò che Aimone ha fatto è del tutto encomiabile.

Accomodatici in soggiorno, con le pareti ornate di modellini di navi in legno e quadretti di farfalle esotiche sotto vetro, Aimone mi ha raccontato gli ultimi pettegolezzi riguardanti la comunità di italiani di Tulear, argomento su cui sorvolo perché non lo ritengo interessante per i miei lettori, ma che credo sia un passatempo comune a tutti i nostri connazionali che si ritrovano nella gelateria del vicentino Stefano, nella pizzeria del piemontese Giancarlo o nel ristorante dell’altro piemontese Renato. Tralascio di ricordare gli altri due locali gestiti da italiani, di cui magari parlerò dettagliatamente in futuro. Data la gravità intrinseca dell’episodio, io e Aimone non abbiamo evitato di parlare di quella disgrazia capitata recentemente a un nostro connazionale, di cui ho già trattato. L’informazione che può interessare i miei lettori e che rappresenta una novità per me è che a Tanà ci sono due donne, un’italiana e una malgascia, che vengono stipendiate dallo Stato italiano e che hanno funzioni di appoggio per i connazionali permanentemente o temporaneamente residenti sull’isola. Da molti anni, in Madagascar, non esiste una vera ambasciata d’Italia e l’ufficio aperto e gestito da queste due signore rappresenta una specie di succursale dell’ambasciata italiana a Pretoria, che fino ad oggi si occupava anche della grande isola australe.

Per far venire Tina in Italia, per esempio, dopo il matrimonio del febbraio 2011, mi sono avvalso della cortese collaborazione di Aldo Sunseri, all’epoca segretario dell’A.I.M., che spedì i nostri incartamenti in quella città sudafricana, per le vidimazioni necessarie. Nel nostro caso, rientrato in Italia in febbraio subito dopo la cerimonia, Tina mi raggiunse già in marzo, dopo solo un mese, viaggiando da sola come “familiare al seguito”. L’efficienza dei nostri funzionari fu lodevole, ma non sempre la burocrazia risulta così veloce. Ci sono stati casi di persone che avevano smarrito il passaporto e che hanno dovuto aspettare a lungo prima di venire in possesso di un documento sostitutivo. Siccome le autorità malgasce sono molto rigide con i visti e la loro scadenza, mettendo direttamente in prigione il turista che, anche senza colpa, dovesse lasciar passare un solo giorno dal termine del permesso, si può solo immaginare lo stato d’animo di quegli sfortunati viaggiatori che subiscono il furto dei documenti o li perdono. Vengono a trovarsi psicologicamente in una specie di sgradevole limbo.

Infine, a lode del mio testimone di nozze, va detto che in modo del tutto volontario tiene corsi di italiano in una scuola privata, benché ciò non sia esente dalle difficoltà dovute alla mancanza di testi e al gran numero di studenti sotto la sua responsabilità. Io trovo strano tuttavia come i ragazzi malgasci possano scegliere di studiare una lingua che servirà loro a poco, rispetto al francese che ovviamente è la seconda lingua nazionale. Da ciò che mi ha raccontato, penso che Aimone abbia però maggiori soddisfazioni facendo il “mister” in una squadra di calcio femminile, perché evidentemente è appassionato di calcio. In casa, disposti sul tavolo del salotto, c’erano dei fogli rappresentanti gli schemi di gioco del football. Io sono un profano in materia. Gli spogliatoi annessi al campetto sono dotati di docce e le ragazze possono lavarsi con il sapone, sei giorni su sette, cosa che in Madagascar non è scontata e rappresenta un privilegio. La civiltà passa anche attraverso le saponette e grazie a un macellaio in pensione.

2 commenti:

  1. Insomma, Roberto non c'è fine al peggio, se un macellaio è meno peggio di certi soggetti che stanno lì, cosa mi tocca leggere, cazzarola.

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