domenica 26 febbraio 2017

L’inferno è lastricato di buone manutenzioni


Gli altri sono il nostro inferno, diceva Sartre. Se nell’inferno classico ci sono i dannati e i diavoli che li tormentano, due categorie ben distinte, nell’inferno che è la nostra vita di tutti i giorni, su questo pianeta prigione, ciascuno di noi è sia diavolo che dannato, a seconda dei rapporti di forza. E’ inevitabile quindi che ognuno di noi si faccia dei nemici, anche se si conduce una vita irreprensibile e si fa ogni sforzo per vivere santamente. A me, come a tutti, è capitato nella vita di incontrare dei farabutti che mi abbiano imbrogliato, ma il tempo gentiluomo ha cancellato ogni dolore e ora non me li ricordo neanche più. Ma uno, il più recente, me lo ricordo bene, anche se nel suo caso non me la sento di etichettarlo con l’eccessiva parola “farabutto”, bensì con una che comincia con la stessa consonante, la effe di furbo.



Lui si chiama Mauro De Rocco, abita a Monfalcone e fa il fotografo, sempre che sia vero quanto mi disse circa la sua professione. All’inizio dell’estate del 2016 mi vendette la sua vecchia macchina fotografica digitale, una Nikon, assicurandomi che funzionava. Anche comprando mercanzia in un mercatino dell’usato, ci si aspetta che le cose funzionino, specie se il venditore dice che funzionano. Oltretutto, essendo colleghi, in quanto anch’io all’epoca facevo i mercatini, mai mi sarei aspettato di essere imbrogliato da un collega. E invece, di foto sul display del corpo macchina neanche l’ombra. Gli ridiedi indietro l’oggetto, dicendogli che i 70 euro che aveva da me ricevuto sarebbero confluiti in una somma maggiore non appena lui mi avesse procurato un apparecchio digitale funzionante. Così restammo d’accordo per svariati mesi. Alla fine, la nebbia della mia ingenuità caratteriale si dissipò e venne a galla la vera realtà dei fatti: l’uomo era (è) un velleitario truffatore, uno di quelli che truffano il prossimo autoconvincendosi di essere persone oneste. Così convinto di essere corretto e onesto che per diversi mesi riuscì a convincere anche me, tutte le volte che ci siamo sentiti per telefono.




Non ho mai saputo dove abiti e quindi non posso presentarmi a casa sua per farmi ridare indietro i 70 euro che, nell’ottica delle truffe milionarie di cui sentiamo parlare nei telegiornali, sono una cifra ridicola. Ma l’affronto e l’onta non stanno nella cifra in sé, bensì nella presa per il culo a cui, quella persona che sembrava così amichevole e onesta mi ha sottoposto e mi sta sottoponendo tuttora, a distanza di parecchi mesi. Né io ho speranza di riavere il mio denaro, oramai. Ma posso se non altro, avendo il vizio della scrittura e della denuncia sociale, far sapere a chiunque legga questo messaggio in bottiglia che a Monfalcone vive un piccolo truffatore di professione fotografo che è meglio tenere a distanza, con cui è consigliabile non fare affari. Altra soddisfazione non mi è dato di ottenere. E questa è solo la seconda geremiade con cui sottopongo a pubblico ludibrio un truffatore che vive la sua vita imbrogliando la gente. Poi se la vedrà lui con il Padreterno. Se c’incontreremo all’inferno, la prima cosa che gli chiederò sarà di restituirmi i 70 euro.




Nel frattempo, ora che mi trovo a vivere in un posto interessante dal punto di vista fotografico, la mia vecchia digitale Nikon Coolpix è giunta alla fine dei suoi giorni, avendo scattato nella sua carriera 9.964 foto, sostituita da una Canon SD 1500 che, anche se non è Reflex, mi permette almeno di continuare a fare il reporter e di abbellire il mio blog con immagini del paese straniero in cui mi trovo. Ho speso dei soldi e soprattutto tempo ed energie psichiche per arrivare ad ottenerla, giacché nei paesi del Terzo Mondo non è facile procurarsi strumenti tecnologici, a meno che non siano cellulari che sono oggetto del desiderio per qualunque barbone mendicante. Prima di dire addio definitivamente alla Collpix, ho provato a farla aggiustare, ma in tutta Tulear non si trovano in vendita cacciaviti della misura giusta, né tanto meno tecnici in grado di mettere mano all’interno di una macchina digitale tascabile. Se lo chiamano Terzo Mondo è proprio perché mancano quelle cose che nel Primo Mondo diamo per scontate. Manca la conoscenza e gli esperti del ramo, in questo caso fotografico, sono più unici che rari. Forse anche questo rientra nel progetto di obsolescenza programmata tanto caro alle industrie: la scarsità di know how, per usare un termine moderno.




Idem con la Canon: abbiamo dovuto girare tutti i negozi di tecnologia digitale prima di trovare l’apparecchio giusto. Tempo, fatica, sudore e denaro che se ne va, grazie al signor Mauro De Rocco e alla mancata restituzione di 70 euro. Per la cronaca, visto che stiamo parlando di denaro, la Canon mi è costata 180.000 ariary, pari a 51 euro. Non so quanto durerà, perché chi più spende meno spende, ma spero almeno per i prossimi tre mesi. Poi, una volta rientrato in patria, prima o poi una Reflex come Dio comanda me la compro. Alla faccia di Mauro De Rocco!


2 commenti:

  1. anche qua nel soprannominato 1°mondo le piccole digitali non le ripara nessuno....e non solo quelle.

    michy

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