Gli altri sono il nostro inferno, diceva Sartre. Se nell’inferno
classico ci sono i dannati e i diavoli che li tormentano, due
categorie ben distinte, nell’inferno che è la nostra vita di tutti
i giorni, su questo pianeta prigione, ciascuno di noi è sia diavolo
che dannato, a seconda dei rapporti di forza. E’ inevitabile quindi
che ognuno di noi si faccia dei nemici, anche se si conduce una vita
irreprensibile e si fa ogni sforzo per vivere santamente. A me, come
a tutti, è capitato nella vita di incontrare dei farabutti che mi
abbiano imbrogliato, ma il tempo gentiluomo ha cancellato ogni dolore
e ora non me li ricordo neanche più. Ma uno, il più recente, me lo
ricordo bene, anche se nel suo caso non me la sento di etichettarlo
con l’eccessiva parola “farabutto”, bensì con una che comincia
con la stessa consonante, la effe di furbo.
Lui si chiama Mauro De Rocco, abita a Monfalcone e fa il
fotografo, sempre che sia vero quanto mi disse circa la sua
professione. All’inizio dell’estate del 2016 mi vendette la sua
vecchia macchina fotografica digitale, una Nikon, assicurandomi che
funzionava. Anche comprando mercanzia in un mercatino dell’usato,
ci si aspetta che le cose funzionino, specie se il venditore dice che
funzionano. Oltretutto, essendo colleghi, in quanto anch’io
all’epoca facevo i mercatini, mai mi sarei aspettato di essere
imbrogliato da un collega. E invece, di foto sul display del corpo
macchina neanche l’ombra. Gli ridiedi indietro l’oggetto,
dicendogli che i 70 euro che aveva da me ricevuto sarebbero confluiti
in una somma maggiore non appena lui mi avesse procurato un
apparecchio digitale funzionante. Così restammo d’accordo per
svariati mesi. Alla fine, la nebbia della mia ingenuità caratteriale
si dissipò e venne a galla la vera realtà dei fatti: l’uomo era
(è) un velleitario truffatore, uno di quelli che truffano il
prossimo autoconvincendosi di essere persone oneste. Così convinto
di essere corretto e onesto che per diversi mesi riuscì a convincere
anche me, tutte le volte che ci siamo sentiti per telefono.
Non ho mai saputo dove abiti e quindi non posso presentarmi a casa
sua per farmi ridare indietro i 70 euro che, nell’ottica delle
truffe milionarie di cui sentiamo parlare nei telegiornali, sono una
cifra ridicola. Ma l’affronto e l’onta non stanno nella cifra in
sé, bensì nella presa per il culo a cui, quella persona che
sembrava così amichevole e onesta mi ha sottoposto e mi sta
sottoponendo tuttora, a distanza di parecchi mesi. Né io ho speranza
di riavere il mio denaro, oramai. Ma posso se non altro, avendo il
vizio della scrittura e della denuncia sociale, far sapere a chiunque
legga questo messaggio in bottiglia che a Monfalcone vive un piccolo
truffatore di professione fotografo che è meglio tenere a distanza,
con cui è consigliabile non fare affari. Altra soddisfazione non mi
è dato di ottenere. E questa è solo la seconda geremiade con cui
sottopongo a pubblico ludibrio un truffatore che vive la sua vita
imbrogliando la gente. Poi se la vedrà lui con il Padreterno. Se
c’incontreremo all’inferno, la prima cosa che gli chiederò sarà
di restituirmi i 70 euro.
Nel frattempo, ora che mi trovo a vivere in un posto interessante
dal punto di vista fotografico, la mia vecchia digitale Nikon Coolpix
è giunta alla fine dei suoi giorni, avendo scattato nella sua
carriera 9.964 foto, sostituita da una Canon SD 1500 che, anche se
non è Reflex, mi permette almeno di continuare a fare il reporter e
di abbellire il mio blog con immagini del paese straniero in cui mi
trovo. Ho speso dei soldi e soprattutto tempo ed energie psichiche
per arrivare ad ottenerla, giacché nei paesi del Terzo Mondo non è
facile procurarsi strumenti tecnologici, a meno che non siano
cellulari che sono oggetto del desiderio per qualunque barbone
mendicante. Prima di dire addio definitivamente alla Collpix, ho
provato a farla aggiustare, ma in tutta Tulear non si trovano in
vendita cacciaviti della misura giusta, né tanto meno tecnici in
grado di mettere mano all’interno di una macchina digitale
tascabile. Se lo chiamano Terzo Mondo è proprio perché mancano
quelle cose che nel Primo Mondo diamo per scontate. Manca la
conoscenza e gli esperti del ramo, in questo caso fotografico, sono
più unici che rari. Forse anche questo rientra nel progetto di
obsolescenza programmata tanto caro alle industrie: la scarsità di
know how, per usare un termine moderno.
Idem con la Canon: abbiamo dovuto girare tutti i negozi di tecnologia digitale prima di trovare l’apparecchio giusto. Tempo,
fatica, sudore e denaro che se ne va, grazie al signor Mauro De Rocco
e alla mancata restituzione di 70 euro. Per la cronaca, visto che
stiamo parlando di denaro, la Canon mi è costata 180.000 ariary,
pari a 51 euro. Non so quanto durerà, perché chi più spende meno
spende, ma spero almeno per i prossimi tre mesi. Poi, una volta
rientrato in patria, prima o poi una Reflex come Dio comanda me la
compro. Alla faccia di Mauro De Rocco!
anche qua nel soprannominato 1°mondo le piccole digitali non le ripara nessuno....e non solo quelle.
RispondiEliminamichy
Siamo in piena obsolescenza programmata: non si scappa!
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