Fonte: Repubblica
Testare
sostanze chimiche, anche potenzialmente tossiche, senza utilizzare cavie
animali. Studiare la reazione di tessuti, a partire da cellule prelevate da
pazienti e coltivate in vitro, con un nuovo microchip in grado di dare il
maggior numero di risultati, in modo automatizzato e a costi contenuti. La
microfluidica digitale, insomma. Una tecnica di ricerca complessa, sviluppata
prima a Los Angeles e poi a Boston, inesplorata finora in Italia. Fino a che
qualcuno, attrezzatosi per la rivoluzione, l´ha importata al Politecnico e l´ha
fatta diventare uno strumento di ricerca.
Il
campo è quello delle biotecnologie e la scommessa è di Marco Rasponi, 31 anni,
milanese, oggi ricercatore assegnista al Politecnico dopo una fitta trafila
universitaria: laurea in Ingegneria Biomedica «per la curiosità nelle cose,
capire come funzionano», dottorato alla scuola Interpolitecnica tra Basilea,
Pittsburgh e, soprattutto, Boston, al Massachusetts institute of Technology
(MIT), considerata la più prestigiosa università tecnica del mondo. Un paio di
mesi, già nel 2005, poi nel 2007, grazie a una borsa di studio della fondazione
Rocca (circa 60mila dollari), un anno e mezzo nei laboratori d´avanguardia del
Mit a imparare il più possibile nel gruppo di Todd Thorsen, professore di
Ingegneria Meccanica a Cambridge, in Massachusetts. «E cercare di rivoluzionare
il modo di fare ricerca nell´ambito dell´ingegneria dei tessuti», scommette
Marco. Che, al rientro definitivo al Politecnico, l´estate scorsa, in coppia
con il collega Matteo Moretti, non ha ceduto alla tentazione di abbandonare il
mondo accademico - incertezza del futuro, tagli nella ricerca, esperimenti che
non danno i risultati sperati - come molti suoi colleghi hanno fatto per
rifugiarsi nel settore privato. Ci ha creduto fino in fondo e tanti anni in
giro per il mondo a fare ricerca, alla fine, l´hanno ripagato. Con il suo
progetto di ricerca s´è aggiudicato, infatti, il bando della Fondazione Cariplo
«Ricerca scientifica e tecnologica sui materiali avanzati». Tanta gloria ma,
più funzionale, una dote di 150mila euro di cui disporre per i propri
esperimenti, oltre al co-finanziamento di Politecnico e Istituto ortopedico
Galeazzi (stessa cifra ma fornita in laboratori e strumenti).
Da
due mesi il progetto ha preso il volo: due anni, fino all´aprile del 2011, di
progettazione nel laboratorio di Micro e Biofluidodinamica sperimentale del
dipartimento di Bioingegneria del Politecnico e di esperimenti biologici al
Galeazzi, dove lavora il suo compagno in quest´avventura Matteo Moretti, per mettere
a punto un microchip che permetta di fare molteplici analisi in parallelo, in
un´unica piattaforma grande quanto una moneta. «Per ora siamo alla fase di
indagine - spiega Marco sul futuro impiego del microchip - nasce come ricerca
di base ma il suo sbocco naturale è quello farmaceutico». Un Lab-on-chip, un
intero laboratorio integrato in un singolo dispositivo realizzato con materiale
biocompatibile, che verrà progettato in Italia ma realizzato in stampi nei
laboratori di microfabbricazione del Mit, protetti negli ambienti asettici
delle «camere bianche».
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