martedì 6 agosto 2013

La Siberia si sta sciogliendo

 

"Questa è una notizia che non fa piacere scrivere e credo neanche leggere. Però è solo facendo entrambe le cose e facendole fare a quelli che conosciamo che abbiamo qualche speranza di attenuarne le conseguenze. Nature, la più autorevole rivista scientifica al mondo, ospita l'intervento di un gruppo di ricercatori delle università di Rotterdam e Cambridge, coordinati dalla professoressa Gail Whiteman. Il rapporto prende in considerazione lo scioglimento dei ghiacci nella Siberia artica Orientale.
Gli studiosi hanno calcolato che lo scioglimento dei ghiacci in atto potrebbe dar luogo al rilascio nell'atmosfera di 50 gigatonnellate (tonnellate con 9 zeri) di metano. Concretamente questo significa che il temuto riscaldamento globale di 2 gradi (il famoso punto di non ritorno) potrebbe arrivare dai 15 ai 35 anni prima del previsto. Eh sì, lo sappiamo, qualcuno ci ride su pensando di poter fare il vino anche in Scozia o di dover alzare l'aria condizionata. Peccato che non sia una questione di qualche uragano in più o qualche specie in meno.


I professori fanno i calcoli di quanto costerebbe al pianeta e presentano un conto pari a 60 trilioni di dollari (un trilione = mille miliardi) poco meno del Pil globale del pianeta che è di 70. Contemporaneamente c'è chi vede nel fenomeno un'opportunità di business derivato dal fatto di poter navigare dove prima c'erano i ghiacci nonché dalle estrazioni petrolifere che si potrebbero compiere e che potrebbero render qualche centinaio di miliardi di dollari.

Dobbiamo ringraziare Whiteman per aver fatto questo calcolo perché, al di là di come si diceva delle battute, fa toccare con mano (al portafoglio) il costo che pagheremo per il disastro che stiamo combinando. Purtroppo, la crisi globale sta spingendo molti paesi a fermare le politiche antiriscaldamento, con la scusa che è un lusso che in questo momento non ci possiamo permettere. La ricerca dimostra esattamente il contrario e cioè che non possiamo permetterci di non affrontare il problema.

Si chiamano all'azione il FMI (Fondo Monetario Internazionale) e il WEF (World Economic Forum) ma una situazione del genere non si risolve se prima o poi non si considera l'ambiente un valore. E se non si attuano politiche come quelle descritte 15 anni fa da Roodman nel suo "La ricchezza naturale delle nazioni".

E cioè rendere fortemente antieconomiche tutte le produzioni inquinanti.

Questa sarebbe la molla di quella grande innovazione di cui abbiamo bisogno per far ripartire le nostre economie.

Gli stati invece trattano l'ambiente come trattano l'economia, pompando in un caso denaro e nell'altro CO2. Creando debiti ai nostri figli da un lato e riscaldamento nell'altro. Solo che se il pianeta va in default cambiare valuta non basta".

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