Testo di Filippo Giannini
A
loro piace essere chiamati gli Angeli del Bene, incensati dalla Divina
Provvidenza ed inviati su questo triste
pianeta per lottare contro le Forze del Male, in quei tempi impersonati dal
Nazionalsocialismo e dal fascismo. Loro, dopo l’abbattimento delle due bieche
tirannie hanno continuato (e continuano) a lottare contro ogni nemico che, di
volta in volta, è impersonato nel maligno. Loro hanno punito tutti i tiranni
che si sono resi colpevoli di stragi e malvagità. In questa lotta contro le Forze
del Male, gli Angeli del Bene hanno operato su tutto il globo ove hanno
lasciato la loro traccia a Stelle e Strisce. Un volo di questi Angeli è poco
conosciuto e proviamo a proporlo: riguarda un episodio (uno fra i mille e
mille) che avvenne durante la guerra del Vietnam.
My Lai è un piccolo villaggio
vicino alla costa del Vietnam Centrale. Gli abitanti vivono di pesca e di agricoltura. Quanto stiamo per ricordare
proviene da fonti statunitensi e, quindi, al di sopra di ogni sospetto.
La Compagnia Charly del 1°
battaglione di fanteria americano si era formata e addestrata in Georgia e alle
reclute era stato insegnato lo spirito della baionetta che era quello di
uccidere. Niente di strano: erano soldati e loro dovere era quello di
uccidere il nemico. Al termine
dell’addestramento gli uomini della Compagnia Charly giunsero nel Vietnam dalle
Hawaii, nel dicembre 1967. La Compagnia era considerata la migliore del
battaglione, i loro componenti provenivano da ogni parte degli Stati Uniti e
appartenevano a famiglie della media borghesia americana.
La Compagnia Charly per alcune
settimane fu sottoposta a ripetuti scontri con i vietcong della zona di My Lai.
Durante uno di questi combattimenti quattro soldati americani rimasero uccisi e
38 feriti. Immediatamente fu predisposta una
rappresaglia. I servizi segreti statunitensi ritenevano che a My Lai risiedesse
il Quartier Generale dei vietcong. Era una informazione errata.
Il 15 marzo 1968 fu messo a punto
l’attacco contro il villaggio e l’ordine venne dal colonnello Herald Anderson,
comandante della brigata, e trasmesso al capitano Ernest Mandela, comandante
della compagnia Charly. Nessuno del comando ammise mai la
propria responsabilità per ciò che accadde.
Il sergente Kennet Hodges, reduce
di quell’operazione, ha testimoniato: "In pratica era stato dato l’ordine di
uccidere tutti nel villaggio. Qualcuno chiese se dovevamo uccidere anche le
donne e i bambini; l’ordine era di uccidere tutti, donne, vecchi e bambini".
L’attacco su My Lai avvenne, come
in molti altri casi, con gli elicotteri. Erano appena passate le sette del
mattino ed era sabato. Secondo i Servizi Segreti, a quell’ora tutti i civili
erano al mercato e al villaggio sarebbero rimasti solo i vietcong. I primi
elicotteri arrivarono su My Lai alle 7,35; in venti minuti tutti i 120 uomini e
i cinque ufficiali della compagnia avevano preso terra e nessuno sparò alcun
colpo contro di loro, né ci fu alcun cenno di resistenza.
Racconta una donna, Phan Thi
Tuan, scampata al massacro: "Mi stavo avviando al lavoro nei campi, quando
sono arrivati gli elicotteri. Hanno cominciato a sparare. La gente non sapeva
dove nascondersi. Ci dicevano di sederci e noi ci sedevamo; ci dicevano di
alzarci in piedi e noi ci alzavamo. Poi ci hanno spinto in una trincea e hanno
sparato. Io e i miei figli eravamo lì dentro con tutti quei morti".
Un reduce, Varnando Simpson, racconta: "Lei stava correndo, voltandomi le spalle, lungo una fila di alberi. Portava
qualcosa in braccio, non so se era un’arma o qualcosa d’altro, ma sapevo che
era una donna. Non avevo intenzione di sparare a una donna, ma era stato dato
l’ordine di sparare e feci fuoco. Poi vidi il bambino, feci fuoco tre o quattro
volte. Le pallottole attraversarono lei e il bambino. Mi voltai e vidi la
faccia del bambino spaccata a metà; gli mancava proprio la metà. Quel giorno
fui responsabile della morte di venti, venticinque persone. Io ho sparato,
tagliato gole, scotennato, ho tagliato mani e lingue. Sì, ho fatto tutto
questo. Io!".
Fred William, anche lui reduce da
quella missione testimonia: "La cosa più sconvolgente che vidi fu un
ragazzo. È stata una scena che mi perseguita e mi tormenta da allora. A questo,
che gli avevano sparato alle braccia, le braccia gli pendevano lungo il corpo.
Aveva una espressione stupita sul viso per quello che gli stavo per fare… Era
come se mi chiedesse: cosa ho fatto di male? Ho sparato, l’ho ucciso…
preferisco pensare che il mio fu un atto di pietà, perché qualcun altro lo
avrebbe ucciso, alla fine".
Un’altra donna, So Thi Qui: "Cadevamo come anatre con la testa in giù; gridavano: pietà, pietà, lasciateci andare, siamo innocenti, pietà. Fucilarono tutti lo stesso. Poi il silenzio. Bambini piccoli si trascinavano a quatto gambe lungo il bordo della fossa. Ero ferita, ma riuscii a trascinarmi sino a casa. Là, per terra stava distesa una donna nuda: era stata violentata. C’era anche una ragazza con la vagina squartata. Ancora non riusciamo a capire perché si siano comportati così".
E il racconto di una giovane
donna, Phan Thi Trin: "Ho guardato fuori dalla finestra e ho visto mia
sorella Mun; quell’anno avrebbe compiuto 14 anni. Un americano le stava sopra e
lei non aveva niente addosso. Mia sorella tentava di resistere, poi l’americano
si è tirato su, si è rivestito e l’ha uccisa. Usciii dal mio nascondiglio. La
mia casa era stata distrutta dalle fiamme; nel cortile i miei cari giacevano
bruciati vivi. Mia madre stringeva ancora fra le braccia il mio fratellino: mio
fratellino che aveva sette mesi e il suo corpo era quasi completamente
carbonizzato. Mi sono accasciata accanto al corpo di mia madre, a piangere".
Le comunicazioni radio rivelarono
che il comando era a conoscenza del massacro. Il capitano Thompson quel giorno
era a bordo del suo elicottero e in quelle ore volava basso sul luogo
dell’eccidio. Quando vide che i soldati avanzavano verso un gruppo di donne e
di bambini indifesi, ordinò al suo equipaggio di puntare le armi contro i suoi
compagni a terra. Qualora questi avessero sparato contro i civili "avrei
sparato su di essi. In quel momento erano loro i miei nemici. Per fortuna non
fu necessario dare l’ordine di far fuoco".
La testimonianza del sergente
Kenneth Hodges è sintomatica: "Noi abbiamo eseguito un ordine, e penso che
questo sia moralmente accettabile. L’ordine era di distruggere il villaggio e
uccidere gli abitanti. Noi abbiamo eseguito gli ordini e credo di non aver
violato alcuna norma morale".
Malgrado la totale assenza di
qualsiasi resistenza, il tenente William Calley continuò a ordinare ai suoi
uomini di proseguire il massacro. La maggior parte obbedì, pochi si rifiutarono
e fra questi Hanry Stanley che si oppose di eseguire gli ordini, malgrado le
minacce del tenente Calley.
Alle 11,30 la compagnia Charly
fece una pausa per il pranzo, avevano ucciso più di 400 persone. I giornali americani, giorni
dopo, parlarono di una importante vittoria e di molti nemici uccisi.
Quanto è accaduto a My Lai è
stato tenuto celato per molto tempo. Quando la notizia del massacro si sparse
per tutto il mondo, generò una ondata di sdegno e di orrore. A seguito di ciò
gli uomini della compagnia Charly furono posti sotto inchiesta e si
dichiararono "non colpevoli".
Il comandante, capitano Ernest
Mandela, contestò le accuse con queste parole: "Posso affermare che non ho
visto alcun massacro a My Lai quel giorno".
Il tenente William Calley,
accusato di 109 assassinii si difese sostenendo di aver eseguito degli ordini.
Ebbene, dei 46 uomini della
compagnia Charly, colpevoli di assassinii, stupri, mutilazioni, uno solo fu
condannato: il tenente William Calley. Ma l’opinione pubblica americana subì
una metamorfosi: da una situazione di vergogna e di condanna si trasformò in un
atteggiamento di giustificazione e di perdono. William Calley, incarcerato per
tre giorni, fu rilasciato per ordine del presidente Nixon e posto agli arresti
domiciliari. Tre anni dopo la prima sentenza che lo condannava all’ergastolo,
fu rilasciato sulla parola.
A seguito di quanto sin qui
scritto, il passaggio ad un accostamento alle rappresaglie messe in atto dalle
Forze del Male nel secondo conflitto mondiale, risulta automatico. Ma è un
accostamento improponibile, e ci spieghiamo. Le Convenzioni Internazionali di
guerra vigenti sino al termine del
1945 prevedevano, in ben circostanziati casi, il Diritto di rappresaglia, in
questi termini: "La rappresaglia, condotta obbiettivamente illecita,
diventa, per le particolari circostanze in cui viene attuata, condotta lecita
(…). (La rappresaglia) è una reazione all’atto illecito, la cui liceità deriva
dall’esistenza di un precedente atto illecito".
Ne consegue che, pur nella loro
ferocia, stupidità e inutilità, le rappresaglie messe in atto dalle Forze del
Male nella seconda guerra mondiale erano, perlomeno, atti leciti.
Invece, nel dopoguerra, il
Diritto Internazionale, l’atto, allora lecito, venne modificato: "L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1949, in deroga a quanto
prima era consentito dall’art. 50 dei Regolamenti dell’Aja del 1899 e del 1907,
proibisce in modo tassativo le misure di rappresaglia collettiva, di cui si
ebbe abuso delittuoso nell’ultimo conflitto".
Di conseguenza tutte le azioni,
tutte le rappresaglie messe in atto dal 1949 in avanti, non essendo
ammesse – anzi
esplicitamente condannate dal Diritto – debbono essere considerate
semplicemente degli assassinii di massa e gli autori, veri criminali di guerra,
perseguibili in ogni momento.
Ci siamo spiegati.
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