Fonte: Leggo
Allarme nello Jonio, invaso dai
“vermocani”, sempre più numerosi sui fondali rocciosi del
Salento. L’Università di Modena e Reggio Emilia e l'Area marina
protetta “Porto Cesareo” studiano il fenomeno nel mare di Santa
Caterina di Nardò. Ci mancavano solo questi piccoli “serpenti”
di mare dopo l’invasione dell’alga tossica che, dal nord Barese,
si è spostata quest’anno anche a sud di Otranto: segnalazioni e
“avvistamenti” copiosi, a sentire gli esperti scientifici
dell’Arpa, nel mare di Porto Badisco che è uno delle icone della
costa salentina. Prima l’Adriatico, ora il mar Jonio
da Porto Cesareo fino a Leuca: non c’è pace per l’estate
salentina dei record. Non c’è pace per chi frequenta il mare
d’agosto: migliaia di turisti, ma anche molti salentini che si
prendono una pausa dal lavoro.
Sono sempre più frequenti le
segnalazioni da parte di bagnanti e subacquei allarmati dalla
crescente presenza di “vermocani” sui fondali rocciosi anche a
pochi centimetri di profondità. Il suo nome scientifico è
“Hermodice caruncolata” e si tratta di un grande polichete, lungo
fino a 30-40 centimetri, comune in habitat costieri rocciosi dello
Jonio e del Mediterraneo orientale, dotato di difese antipredatorie
costituite da ciuffi di bianche setole su entrambi i lati del corpo,
che l’animale erige quando è toccato o si sente minacciato.
Le setole si staccano facilmente dal
corpo del verme, conficcandosi e frammentandosi nella pelle o nelle
mucose dei potenziali predatori e dissuadendoli dall'attacco. Anche
l'uomo, quando entra accidentalmente in contatto con il vermocane,
avverte un’immediata sensazione di bruciore (per questo conosciuto
anche come “verme di fuoco”) accompagnata da edema, eruzione
papulare che normalmente passano poche ore dopo il contatto. Questo
polichete è sempre stato presente nei nostri fondali, ma negli
ultimi mesi si sta assistendo ad un suo esponenziale aumento.
Spiagge al riparo, dunque, perché i
vermocani prediligono soprattutto le zone rocciose: a nord di Torre
Lapillo, ma soprattutto tra Sant’Isidoro e Lido Conchiglie, tra
Mancaversa e Ugento prima della zona di Leuca. Roberto Simonini, ricercatore di
Ecologia del Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di
Modena e Reggio Emilia, sta conducendo in questi giorni, con il
supporto del dottore Sergio Fai dell'Area Marina Protetta "Porto
Cesareo", studi laboratoriali ed ecologici su questo animale
proprio nelle acque della marina di Santa Caterina in Nardò, al fine
di meglio comprendere il suo comportamento e le sue capacità
predatorie. In base alle conoscenze attuali, infatti, è impossibile
azzardare ipotesi sulle ragioni dell'aumento di questi animali.
«Certamente, però - dice Sergio Fai - sono da evitare inutili
allarmismi. Il contatto con il riccio di mare resta sicuramente il
più frequente e fastidioso incidente con organismi marini durante la
balneazione».
E sempre nel Salento, ma soprattutto
sull’Adriatico, l’Arpa Puglia avrebbe rilevato negli ultimi
quindici giorni di luglio una concentrazione particolarmente intensa
di alga tossica Ostreopsis. Il contatto con l’alga - in
concentrazioni elevate - può comportare per l’uomo malessere
transitorio nei bagnanti o anche riniti, faringiti, laringiti,
bronchiti, febbre, dermatiti e congiuntiviti. In caso di mareggiate,
poi, si può diffondere il cosiddetto aerosol marino, che può
diffondere la tossina nell’aria rendendola nociva anche per
semplice inalazione. E, quel che è peggio per gli amanti dei frutti
di mare, nelle aree dove è presente è sconsigliato mangiare ricci
di mare, in quanto i ricci si nutrono di alghe e possono accumulare
la tossina dell’Ostreopsis.
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