martedì 27 settembre 2011

Rito della Chiesa



Come già si era accorto Guy De Maupassant [1], e molti prima e dopo di lui, ci sono due razze su questo pianeta. Vi sono i figli delle stelle e i figli della terra [2]. Nonostante i primi siano una minoranza, sono anche quelli che comandano su tutti gli altri. Da tempi immemorabili convivono – si fa per dire – assieme, mescolati. E i figli delle stelle, o meglio i loro discendenti, non necessariamente hanno conservato la consapevolezza della loro speciale provenienza, mentre i discendenti dei figli della terra semplicemente non si pongono la questione. Subiscono e basta.
Simbolicamente parlando, i figli dei figli delle stelle vengono anche chiamati discendenti di Caino, mentre i figli dei figli della terra vengono chiamati discendenti di Set. I figli delle stelle cominciarono a creare problemi su questo pianeta fin dall’inizio, fin dal momento in cui furono esiliati, perché avevano lo stesso vizio anche sul pianeta d’origine. Cominciarono, cioè, a far fuori gli sventurati, innumerevoli, paciocconi e, dal loro punto di vista, anche un po’ sciocchini, figli della terra. Avvenne su scala planetaria ciò che capitò in Australia con i deportati gaglioffi e galeotti ivi lasciati dalla Corona inglese: stragi di canguri e d’aborigeni. Perché, se c’è una cosa diffusa in tutto l’universo, oltre all’idrogeno e al tungsteno, è l’istinto di sopraffazione. I figli della terra, infatti, non è che si comportassero come angioletti con gli altri abitanti del pianeta, dalle fattezze non antropomorfe. E forse, questo istinto di sopraffazione, è l’unica cosa che accomuna i figli di Caino e quelli di Set, benché i primi abbiano tutte le malizie e riescano sempre a turlupinare i secondi. Tuttavia, le differenze tra i due gruppi restano enormi.
 
All’inizio dei tempi, ai figli delle stelle/Caino, si presentarono due opzioni: o la forza bruta o l’astuzia. Seppero diventare maestri in entrambe. Ai figli della terra/Set non restò nell’un caso che subire e nell’altro pure, con la differenza che, non accorgendosene, erano meno traumatizzati. E meno recalcitranti. Quando si furono messi a loro agio e si resero conto che i figli della terra erano facilmente ingannabili, da fantasiosi com’erano, i figli delle stelle inventarono un sacco di frottole per tenere occupate le menti primitive dei prolifici figli della terra, da Dio a Toto Cotugno, passando attraverso le religioni, le caste e le gerarchie, per finire con il campionato di calcio, l’immortalità dell’anima e il festival di San Remo. I figli della terra, trastullandosi con questa pletora di distrazioni, si lasciavano facilmente sfruttare, dapprima nelle miniere e, man mano che la cosa prendeva piede, negli uffici, nei campi e nelle fabbriche. Il trucco funzionava! Per anestetizzare ancora di più i loro cervelli e per alleviare le loro fatiche, gli diedero filosofie comuniste e anarcosindacaliste, fino a mettere a punto una variante della filosofia cristica, la cosiddetta Non Violenza gandiana, sempre allo scopo di smorzare il potenziale pericolo derivante da eventuali rivolte contro di loro, giunti dalle stelle ma ormai padroni del pianeta Terra.
Cominciarono ad osservare i loro sottoposti e si accorsero che non erano tutti uguali, fatti cioè con lo stampino, giacché Madre Terra ama la biodiversità anche nei caratteri degli uomini. Infatti, i figli delle stelle si accorsero che alcuni terrestri amavano il sangue mentre altri lo aborrivano; alcuni amavano la guerra, fino al punto di definirla arte [3], altri la rifuggivano considerandola per quello che è. Alcuni si trastullavano ammazzando animali per diletto [4]; altri lo consideravano riprovevole. Per soddisfare gli uni e gli altri - e sempre allo scopo di evitare turbative dell’ordine costituito - crearono inganni per gli uni e per gli altri. A quelli più sensibili, socievoli e solidali diedero la Speranza, agli altri semaforo verde di poter fare tutte le stragi che volessero, indistintamente di uomini e di animali, cioè di simili e dissimili.
Il sangue, per i figli di Caino giunti dalle stelle, divenne un’ossessione. La stessa religione, che fu la più formidabile arma di distrazione di massa della Storia, era intrisa di sangue e dagli altari ne scendeva tantissimo. Se i figli di Caino erano ossessionati, quelli di Set ne erano ipnotizzati. D’altronde, era l’unico modo per far sì che non si accorgessero che, spesso, quel sangue era il loro. Ma, onde evitare inutili rischi, incrementarono i sacrifici animali, specie di quelli definiti domestici a cui la natura aveva dato un carattere mansueto. Bovini, caprini, ovini e pollame vario fornirono la materia prima, il corpore vili di cui servirsi. Non ci fu una sola etnia al mondo, che, su istigazione degli invasori, non accettasse con entusiasmo questo nuovo passatempo e gli animali sacrificati agli Dei, cioè ai figli delle stelle, divennero numerosi come i granelli di sabbia su Saturno. Alcune etnie vollero fare di testa loro e, i Maia soprattutto, eressero piramidi in cima alle quali sacrificare i nemici catturati, o anche gli amici disposti a sacrificarsi. A proposito, il motivo per cui i templi massonici e il nostro – si fa per dire – pianeta sono disseminati di piramidi, è che l’astronave-galera su cui i figli delle stelle giunsero, ospiti inattesi, qui da noi, era di forma piramidale.
Il motivo per cui nelle chiese cristiane non si compiono più da qualche secolo i sacrifici animali non dipende alle proteste del sacrestano che doveva spaccarsi la schiena a pulire, ma dal fatto che i sacerdoti, come già fatto dai Maia, vollero passare a un livello superiore e trasferire i sacrifici sui campi di battaglia, con carne da cannone bipede e implume, piuttosto che quadrupede, villosamente o piumosamente rivestita. Resta il ricordo del sacrificio animale nei laboratori di fisiologia, sede privilegiata dei figli di Caino più cervellotici e sedentari, che quando vogliono sopprimere le loro cavie, dopo averle ben bene torturate, usano espressamente il termine “sacrificio”. La scienza, chiamata anche Feticcio: una delle più recenti armi di distrazione di massa. Come si vede, per distrarre quei tontoloni dei figli di Set, non si è badato a spese e si è data la stura alla più sfrenata fantasia. Tanto, chi paga sono sempre gli schiavi figli della terra!
C’è un popolo su questa terra che più degli altri ha preso sul serio il passatempo dei sacrifici animali. E’ il popolo ebraico, miscellanea misteriosa di genti dalle varie provenienze, di temperamento bellicoso e di dura cervice. Uno dei loro libri sacri, il Levitico, è nient’altro che un manuale d’istruzioni per macellatori rituali. Loro non se ne rendono conto, ma quell’antico testo arriva alla blasfemia nel momento in cui afferma che Dio va in brodo di giuggiole quando sente l’aroma delle carni bruciate sull’altare. Questo potrebbe essere vero per il più rozzo dei frequentatori di sagre paesane o per quei grossi lucertoloni giunti dalla costellazione del Draco, di cui oggi tanto si favoleggia, ma non certo per quella divinità benevola e amorevole che ci viene insistentemente descritta. Delle due, l’una: o è tutta una presa in giro, o veramente questi alieni malvagi giunti dalle stelle sono bramosi di carne animale e umana, distinzione, quest’ultima, più fittizia che reale.
Se il Levitico è la premessa storica, non ci si deve stupire se gli Haredim moderni, letteralmente “timorati di Dio”, sacrificano ogni anno varie migliaia di pecore per celebrare uno dei loro primitivi riti. E non ci si deve stupire se, tradizione nata durante il medioevo, in aggiunta alle pecore hanno l’abitudine di sgozzare anche varie migliaia di galline, in quella che viene chiamata festa di Rosh Hashanà, altrimenti conosciuta come Kaporos, espiazione, e che, al pari del famoso capro espiatorio, prevede che tutti i peccati della comunità siano scagliati sulle galline, le quali prima di essere sgozzate con un affilato rasoio, vengono fatte roteare dal rabbino sopra la testa, mentre pronuncia la formula di rito.
In teoria, le galline macellate dovrebbero essere date ai poveri: peccato che poveri, nelle vicinanze, non ce ne siano, dal momento che il quartiere di Mea Shearim, a Gerusalemme, dove vivono gli ebrei ultraortodossi, benché non ricchissimo, non è nemmeno afflitto dalla povertà.
Se avete lo stomaco forte, potete vedere il video di quattro minuti allegato a una petizione per chiedere la sostituzione delle galline con denaro, questo sì gradito ai poveri:
Mea Shearim, letteralmente “cento cancelli”, fu fondata nel 1874 da ebrei lituani, giunti nella Terra Promessa quando ancora esisteva l’impero Ottomano. Essendo circondati da musulmani, si chiusero nella loro torre d’avorio e prolificarono come il Genesi prescriveva, arrivando quindi ad essere 500.000, un decimo della popolazione d’Israele. Gli uomini vestono di nero e le donne, a parte la faccia e le mani, non possono lasciare scoperto un solo centimetro di pelle. Parlano Yiddish. Il restante 90 % della popolazione ebraica è laico e mal sopporta questa minoranza di fanatici, che probabilmente riesce, nonostante tutto, ad esercitare una certa influenza sulla politica antiaraba del governo. Se Israele, con il genocidio dei palestinesi, si rende odiosa nel mondo intero, è forse proprio per colpa degli Haredim, ma loro non lo sanno perché non guardano né cinema né televisione e di ciò che succede nel mondo esterno si disinteressano.
Un’altra minoranza di religione ebraica ma di lingua araba è quella dei Samaritani, d’evangelica memoria. Vivono a Nablus, in Cisgiordania e anche loro, al pari degli Haredim, si considerano i veri discendenti degli antichi ebrei e gli unici depositari dell’ortodossia. Per fortuna, tra i due gruppi religiosi intercorrono sessanta chilometri e non s’incontrano mai. L’uno accusa l’altro di eresia. Oltretutto, i Samaritani sono solo in 500, arroccati attorno al monte sacro Gerizim, e anche loro usano sacrificare agnelli di un anno d’età, come prescrive il Pentateuco. Sarà stato anche buono, quel Samaritano che si è fermato a soccorrere la vittima di un’aggressione ma, dal punto di vista delle pecore, buoni i Samaritani non lo sono di sicuro. Anch’essi adempiono a rituali di sangue in nome della loro chiesa.
I sacrifici animali, com’è notorio, non sono una prerogativa delle religioni monoteiste, poiché si riscontrano anche nelle culture animiste, sia agricole che venatorie. Del primo caso si possono portare a mo’ d’esempio i Kalash del Kafiristan, cioè di quella zona montana ai piedi dell’Hindu Kush incastonata tra Pakistan e Afghanistan. Qui si tratta di circa 3000 persone, refrattarie ad ogni tentativo d’islamizzazione e per questo motivo Kafiristan significa “terra degli infedeli”. Credono di essere i discendenti dei greci al seguito di Alessandro Magno, i quali, invece di proseguire per la penisola ellenica, si fermarono in quelle ridenti vallate. Che abbiano prevalentemente occhi chiari e capelli biondi potrebbe essere una prova biologica, oltre al fatto che, a differenza dei musulmani, amano il vino e le donne.
Tecnicamente vengono definiti politeisti di tipo sciamanico e quando vogliono festeggiare Kodhai il creatore, o qualcuna delle altre divinità del panteon, sgozzano una capra. Tanto per cambiare. Alcune gocce del suo sangue vengono spruzzate addosso all’uomo della medicina, che osserva la scena. Solo a quel punto, dopo aver emesso i suoni gutturali di rito, il vegliardo recita formule ed esprime buoni auspici per i raccolti. Il che mi ha fatto venire in mente Eusapia Palladino [5] & le sue colleghe medium che, emettendo anch’esse suoni gutturali durante le sedute spiritiche, forse cercavano di imitare gli sciamani. Per fortuna, lo spiritismo ottocentesco è passato di moda, con buona pace di Ernesto Bozzano [6].
Come secondo esempio di cultura animista, ma di tipo venatorio, citerò i famosissimi Ainu dell’isola di Hokkaido. Si tratta di giapponesi di razza europoide e sono conosciuti per il rito dello Iyomande, in cui viene sacrificato un orso. Oggi per fortuna questa pratica è stata abbandonata, dal momento che l’intera tradizione religiosa degli Ainu è in via d’estinzione e ormai gli abiti tradizionali vengono indossati solo a beneficio dei turisti, come avviene nelle riserve indiane degli USA.
Fatto sta che nei tempi passati veniva catturato un orso, legato con corde, fatto camminare nel villaggio da una casa all’altra e portato davanti a quella del capo tribù. Infine immobilizzato e, messogli sul collo un tronco d’albero, soffocato dal peso di quattro uomini che vi si sedevano sopra. Indi la testa e la pelle arrotolata venivano portati nella capanna sacra e da quel momento in poi l’orso diventava l’ospite d’onore. Che privilegio!
La sua carne veniva fatta a pezzi e arrostita. La birra scorreva a fiumi e cominciavano le danze. Fosco Maraini [7], il papà di Dacia, assistette a tale sanguinaria cerimonia nel 1954. Gli antropologi tendono ad evidenziare il lato positivo della faccenda, ovvero la capacità di aggregazione sociale di tali riti, senza preoccuparsi del fatto che l’orso da quelle parti è in via d’estinzione e un simile trattamento, benché antico e folcloristico, difficilmente può definirsi anche etico.
Mentre gli ebrei, con il capro espiatorio di biblica memoria e le galline della festa di Kaporos, si scaricano di tutti i peccati, ben sapendo di essere il popolo eletto e di non aver bisogno d’altre referenze, gli animisti usano gli animali come messaggeri per far sapere agli Dei che si stanno comportando secondo le regole e che non trascurano i doveri religiosi. Nel caso degli Ainu, anche che gli orsi vengono ammazzati con rispetto e devozione, sia durante la caccia che nel corso del rito di Iyomande. La qual cosa mi ricorda i nostri cacciatori: anche loro hanno la pretesa di uccidere la selvaggina nel rispetto della natura. Solo che con noi, laici smaliziati, non attacca!
A questo punto, i malvagi figli delle stelle potrebbero anche tornarsene sul loro pianeta, ché tanto – noi figli della terra - la lezione l’abbiamo imparata. A fare sacrifici animali ci abbiamo preso gusto. Camuffati o meno che siano, i riti delle nostre varie chiese includono sempre il versamento di sangue e di altri liquidi corporei. Siamo talmente assuefatti a comportarci da carnefici che non ci accorgiamo che, a volte, ad impersonare il ruolo di vittime siamo noi. La differenza è che mentre noi possiamo andare a lamentarci a Forum, condotto da Rita Dalla Chiesa, gli animali non possono andare a lamentarsi da nessuna parte.


Note:
[1] “Siamo due razze, sulla terra: la razza di coloro che hanno bisogno degli altri, per essere calmi e sereni, e che nella solitudine sono spossati, affranti, come per l’ascensione ad un formidabile ghiacciaio o per la traversata d’un deserto; e la razza di coloro che invece per la presenza di altre persone provano stanchezza, fastidio, oppressione, mentre l’isolamento li calma, li riposa profondamente nell’indipendenza e nel capriccio del loro pensiero”. (tratto da “Chi sa?”)
Bibliografia:
Rivista Airone del settembre 1992, pag. 64: Ainu
Rivista Airone del maggio 1996, pag. 62: Samaritani
Rivista Airone del dicembre 2001, pag. 82: Kalash

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