venerdì 16 settembre 2022

La bambina e il serpente


Quando, negli Anni Sessanta, i padroni ebrei decisero di...allentare la corda dell’economia, dando luogo al Boom economico, a Parigi iniziava quello che sarebbe passato alla storia come il Maggio Francese, ma a Codroipo i geometri del comune rilasciavano le autorizzazioni alla costruzione di nuove case in periferia. La Democrazia Cristiana imperava. I nostri genitori, garantiti da adeguati e sicuri stipendi, costruirono case da lasciarci in eredità, che andavano ad occupare o campi coltivati o terreni incolti e relativamente naturali. In questo secondo caso, noi bambini, animati da spirito di esploratori, si andava a tormentare piccole creature inoffensive nel loro ambiente, ma mentre i miei coetanei lo facevano con istinti predatori, io già all’epoca avevo un interesse di taglio scientifico, un approccio meno cruento nei confronti degli animali. Avevo un amico con cui andavo spesso in giro a vagabondare. Lui possedeva una fionda e il nostro passatempo preferito era quello di mettere piccoli sassi sui binari del treno, per poi nasconderci quando ne arrivava uno e sentire il rumore dei sassi che si frantumavano, spesso anche con frammenti che sibilavano sopra le nostre teste. Quel giorno venne anche sua sorella Patrizia.


A me piaceva Patrizia. Anzi, a dire il vero, a me piacevano tutte le bambine e poterne vedere una così da vicino (le classi scolastiche non erano miste) fu piuttosto eccitante. Non sapevo perché, ma mi rendevo conto che le bambine erano diverse dai bambini e qualcosa dentro di me mi diceva che quelle, e solo quelle, erano il soggetto da prendere in qualche modo in considerazione. Avevano un fascino particolare, qualcosa che le rendeva degne di attenzione: saranno stati i capelli lunghi, ma forse più probabilmente le loro movenze, la vocina stridula, che avevamo anche noi bambini, tra l’altro, il loro modo di porsi. Fatto sta che, mentre ci stavamo avviando verso la strada ferrata, camminando lungo le capezzagne che circondavano i campi, c’imbattemmo in una bella biscia d’acqua, lunga più di un metro. L’istinto mi disse di catturarla, per fare lo sborone, anche se dalle nostre parti la parola corrispondente è “spandone”. Volevo fare colpo su Patrizia, mostrarle il mio indomito coraggio. Era la prima volta che catturavo un serpente con le mani. Il risultato fu che la bambina scappò terrorizzata e la biscia mi si attorcigliò sulla mano e sul polso, liberandosi di quella sostanza nauseabonda che le Natrici dal collare usano per difendersi dai predatori. La bambina era già lontana quando, liberatomi del rettile, mi sciacquai le mani in una vicina canaletta dell’irrigazione.


Non ricordo la reazione dell’amico, ma non era certo il tipo da farsi intimorire, visto che l’idea di mettere sassi sui binari era sua e in fatto di marachelle era un piccolo “genio del male”. Dopo quell’avventura, incontrai molte altre volte serpenti, sia vivi che morti e questi ultimi li mettevo nei barattoli di vetro, sotto formalina, come mi aveva suggerito mio padre. Sassi sui binari io non ne misi più, perché avevo la vaga sensazione che le vite dei passeggeri potessero essere messe a repentaglio. Patrizia non venne più in giro con noi. Oggi, finito il Boom economico, ma non le aggressioni alle aree naturali, di bisce d’acqua lunghe un metro non se ne trovano più perché non fanno in tempo a diventare adulte, e quelle che si trovano sono per lo più i giovani dell’anno. Come quello da me catturato, con le mani, pochi giorni fa e che potete ammirare in tutto il suo splendore grazie all'elaborazione fotografica effettuata da Francesco Spizzirri. Il video sulla giovane Natrice dovreste averlo già visto.

4 commenti:

  1. Bella prosa scorrevole. Mi ricorda la mia infanzia, in periferia, solo che da me, al massimo, incontravi lucertole, ramarri, poco altro.... Le bambine erano antipatiche, noi maschi non le frequentavamo. Forse perché eravamo imbranati, arretrati.

    Da fine gennaio a fine febbraio , la tramontana gelida sferzava le nostre gambe ignude, e dove il lembo del cappotto fregava sulla pelle intirizzita e lìvida, si formavano delle piaghe dolorose. Le reseghe. Nessuna pietà. I pantaloni lunghi in prima media, a volte pure dopo. Era la regola. Punto.

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  2. Ah ok, forse risega, non resega, mi ricordo male io. Sul Treccani la risega identifica anche il segno di un laccio sulla pelle, e quindi, per estensione..... Nel mio quartiere si parlava un discreto italiano. Ogni tanto riesumo un termine "dialettale" che spesso compare sul vocabolario. A volte no. Scherzi a parte, questi segni, ferite sulla pelle, facevano un male boia. A volte usciva pure il sangue...

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